Pubblichiamo di
seguito l’introduzione di James L. Walker a The Ego and his Own, titolo scelto da Benjamin Tucker per la
traduzione inglese, da lui edita nel 1907, del classico stirneriano Der Einzige und Sein Eigentum.
James L. Walker*
introduzione
all’Unico
Cinquant'anni
o meno di ritardo fanno poca differenza nel caso di un libro così
rivoluzionario. Esso vide la luce quando un cosiddetto movimento rivoluzionario
andava preparandosi nelle menti di uomini la cui agitazione era, comunque, solo
una smania dovuta al desiderio di partecipare al governo, e di governare ed
essere governati, in una maniera diversa dalla prevalente. I “rivoluzionari” del 1848 erano
stregati da un'idea. Non erano per nulla padroni delle idee. La più parte di
coloro che da allora si sono inorgogliti della patente rivoluzionaria sono
stati e sono nient'altro che schiavi di un'idea - cioè della diversa
distribuzione dell'autorità. C'è la tentazione, naturalmente, di fornire una
spiegazione per il pensiero centrale di questo libro; ma tale sforzo appare
superfluo a chiunque stringa il volume tra le mani. La preoccupazione
dell'autore nell'illustrarne il senso mostra che egli comprese quanto incline sia l’uomo dominato a mal interpretare
qualunque cosa non sia plasmata secondo il pensiero alla moda. La dottrina
dell'autore era notevole, la sua abilità espressiva forse ineguagliata, ed egli
ritenne utile sviluppare i propri argomenti in maniera molteplice. Così coloro
che entreranno nel suo spirito avranno poche speranze di impressionare altri
con la medesima conclusione in modo più conciso. L'autore ha elaborato una base
sicura, pur se in attesa del proprio pubblico; ma, allo stesso tempo, la
ricezione del libro da parte dei suoi critici prova ampiamente la verità del
detto che se ne possono fornire altri argomenti ma non aumentarne la
comprensione. Chiunque finora ha costruito e creduto nei sistemi non può levarsi dalla testa che ogni discorso
sulla natura dell'ego deve far riferimento alle comuni caratteristiche degli
ego, per formare un quadro sistematico di ciò che condividono come generalità.
I critici si
chiedono di quale tipo d’uomo parli l’autore. Ripetono la domanda: In
cosa crede? Falliscono nell'afferrare il tenore della
risposta chiara: "io credo in me stesso" che è attribuita ad un
soldato semplice molti anni prima di Stirner. Essi chiedono quale sia il
principio dell'egoista cosciente di sé, l'Einzige. A queste perplessità,
Stirner replica: Cambiate la domanda; mettete "chi" al posto di
"quale" e si potrà allora dare una risposta nominandolo! Questo,
naturalmente, è troppo semplice per persone governate da idee, e per persone in
cerca di nuove idee governanti. Essi vogliono classificare l'uomo. Ora, quel
che in me si può classificare non è il sé che mi distingue.
"Uomo"<man> è l'orizzonte o lo zero della mia esistenza in
quanto individuo. Sopra questo io mi elevo per quanto posso. Come minimo, sono
qualcosa più che "uomo in generale".
L’ereditata devozione verso gli ideali e il disprezzo verso il sè hanno
fatto dell'ego al massimo un Qualcuno, più spesso un recipiente vuoto da
riempire con la benevolenza e gli avanzi di una
dottrina tirannica; un Nessuno, dunque. Stirner scaccia
l'insana soggezione, e riconosce che chiunque sappia e senta sé stesso come sua
proprietà non è un umile Nessuno né un ottenebrato Qualcuno, ma d'ora in poi un
risoluto ed equilibrato Sig. Questunico, con
carattere e sensibilità suoi, proprio come ha un nome tutto suo. I critici che
attaccarono il lavoro e cui l’autore replicò nei suoi scritti minori, salvati
dall’oblio grazie a John Henry Mackay, quasi tutti danno prova di stupefacente
volgarità e impotente malizia. Dobbiamo a E.von Hartmann il servizio imprescindibile
da lui reso nel volgere l’attenzione verso il presente libro nella sua Philosophie
des Unbewubten, la cui
prima edizione risale al 1869, ed in altri scritti. Riconosco a von Hartmann la libertà di critica da lui usata e
penso che gli ammiratori dell’insegnamento stirneriano debbano apprezzare una
cosa che von Hartmann fece un po’ più tardi. In “Der Eigene” del 10 agosto 1896
apparve una lettera da lui scritta e che forniva, tra le altre cose, dati certi
da cui desumere che, quando F. Nietzsche scrisse i suoi ultimi saggi, non
ignorava il libro di Stirner. Von Hartmann avrebbe desiderato che Stirner
continuasse a sviluppare il suo principio. Von Hartmann suggerisce che tu ed io
siamo realmente lo stesso spirito che osserva attraverso due paia d’occhi.
Allora, si potrebbe obiettare, non ho bisogno di interessarmi a te, poiché in
me io ho- noi; e se è così, von Hartmann sta solo manifestando la sua
inconsistenza: perché, quando Stirner scrisse il libro, lo spirito di von
Hartmann pure lo stava scrivendo ed è un vero peccato che von Hartmann nella
sua forma presente non sostenga ciò che disse nella forma di Stirner- che
Stirner era differente da ogni altro uomo; che il suo ego non era il
trascendentale generico di Fichte, ma “questo ego transeunte di carne e
sangue”. Non è in quanto generalità che tu ed io differiamo ma in quanto coppia
di fatti che non possono essere ridotti ad uno. “Io” è in qualche modo
Hartmann, e così Hartmann è “Io”; ma Io non sono Hartmann, e Hartmann non è-
Io. Né Io sono l’”Io” di Stirner; solo Stirner stesso era l’”Io” di Stirner. Si
noti quanto a paragone poco importi in Stirner che uno sia un ego, e quanto
invece conti che uno sia un ego autocosciente- una persona conscia di sé e del
suo volere. Chi non è consapevole di sé e non vuole sé agisce comunque per
motivi d’interesse, ma li traveste in vari costumi. Osserva quelle persone da
vicino e alla luce dell’insegnamento stirneriano e sembreranno ipocriti, dotati
di tanti buoni piani morali e religiosi in cui l’interesse per sé sta in cima e
al fondo; ma loro, supponiamo, non sanno che questo è più di una coincidenza.
In Stirner abbiamo la fondazione filosofica della libertà politica. Il suo
interesse nello sviluppo pratico dell’egoismo, la dissoluzione dello Stato e
l’unione di uomini liberi è chiaro e pronunciato armonizzandosi perfettamente
con la filosofia economica di Josiah Warren: tenuto conto della diversità di
temperamento e linguaggio, c’è un sostanziale accordo fra Stirner e Proudhon.
Ognuno vorrebbe esser libero, e vede in ogni crescita del numero di persone
libere e della loro comprensione una forza coadiuvante contro l’oppressore. Ma,
d’altro canto, qualcuno può seriamente per un solo attimo sostenere che
Nietzsche e Proudhon marcino uniti nello scopo e nella tendenza generali- che
abbiano qualcosa in comune se si eccettua l’osar profanare il tempio e sepolcro
della superstizione? Si è molto parlato di Nietzsche come discepolo di Stirner
e, in base a scelte opportune dagli scritti nietzscheani, è capitato che in qualche
suo libro si sia visto più senso di quanto non ce ne fosse- almeno finché ci si
è limitati a leggerlo per estratti. Nietzsche cita liste di centinaia d’autori.
Aveva letto tutto, e non Stirner? Ma Nietzsche è dissimile da Stirner quanto un
esercizio da funamboli è diverso da un’equazione algebrica. Stirner amava la
libertà per sé stesso, ed amava vedere ogni singolo uomo o donna assumere la
propria libertà, e non aveva brama di potere. Per lui la democrazia era una libertà impacciata, e l’egoismo la libertà
genuina. Nietzsche, al contrario, considera con disprezzo la democrazia
perché non è aristocratica. E’ predatore rapace al
punto di chiedere che vada predicata una rassegnata sottomissione a chi deve
soccombere alla rapacità felina. Quando parla di “cani anarchici” che
scorrazzano per le strade delle città civili- è
vero, il contesto mostra che intende i comunisti- ma la sua devozione verso
Napoleone, la sua goffa raffigurazione di una sorgente aristocrazia che
governerà l’Europa per migliaia d’anni, la sua idea di trattare le donne al
modo orientale, indicano che Nietzsche si è infilato in una vecchissima strada-
facendo l’apoteosi della tirannia. Noi egoisti Anarchici individualisti,
comunque, possiamo replicare alla scuola nietzscheana, per non essere
fraintesi: non chiediamo ai napoleoni d’avere pietà, né agli avidi e rapaci
magnati di esser giusti. Essi troveranno conveniente per il proprio benessere
giungere ad un accordo con uomini che hanno imparato da Stirner qual uomo sia
chi non venera nulla, a nulla obbedendo. Alle rodomontate nietscheane sulle
aquile predatrici, nate per cacciare agnelli industriali, opponiamo piuttosto
in maniera canzonatoria l’ironica domanda: Dove sono i vostri artigli? Che
succede se le “aquile” si rivelano semplici animali da cortile cui polli più
stupidi hanno allacciato speroni d’acciaio per
colpire le vittime, che, comunque, hanno le
risorse per disarmare le false “aquile”? Stirner
mostra che gli uomini creano i propri tiranni come i propri dei, ed il suo
scopo è abbattere i tiranni. Nietzsche predilige il tiranno. Stilisticamente il
lavoro di Stirner offre il maggior contrasto possibile con la puerile,
pleonastica fraseologia dello “Zarathustra”
nietzscheano e della sua falsa simbologia. Chi ha potuto mai immaginare un tale
innaturale incontro come un’aquila avvinta ad un serpente? Evento raccontato in
vuote frasi, ma da cui nulla deriva. In Stirner siamo introdotti in una viva e
onesta discussione rivolta a menti serie, ed ogni lettore avverte che la parola
è indirizzata a lui, per la sua istruzione ed il suo beneficio, nella misura in
cui sia dotato di indipendenza mentale e coraggio per assumerla e servirsene.
La sorprendente intrepidezza di questo libro è infusa di commovente amore per
l’umanità, evidenziato dal fatto che l’autore non rivela una briciola di
pregiudizio o alcun’idea di divisione degli uomini in ranghi. Egli vorrebbe
metter da parte ogni governo, ma vorrebbe instaurare ogni regolazione ritenuta conveniente, e a tale scopo è consultata solo la
nostra convenienza. In tal modo, ci sarà libertà generale soltanto quando la
disposizione verso la tirannia è contrastata da un’intelligente opposizione che
smetta di sottomettersi a quell’autorità. Oltre questo la virile simpatia e la
filosofica disposizione di Stirner sono tali che il dominio autoritario appaia
per contrasto cosa vana, un’infatuazione d’orgoglio pervertito. Non sappiamo se
verso il nostro autore proviamo più amore o ammirazione.
L’atteggiamento di Stirner verso la donna non
mostra specificità particolari; pure essa è individuo quando lo decida, non
handicappata da quel che dice, sente, pensa, o progetta. Questo fu esemplificato nella vita di Stirner
più ampiamente che in questo scritto; ma non c’è frase nel libro che ponga o
tenga la donna in posizione inferiore all’uomo, né c’è qualcosa di simile alla
casta o all’aristocrazia. Similmente, nulla c’è d’oscurantismo ed affettato
misticismo. Ogni cosa è resa dall’autore il più semplice possibile. Chi non fa
così non è discepolo di Stirner né successore o continuatore della sua opera.
Qualcuno chiederà: Come si concilia il
netto, assoluto Anarchismo con l’egoismo sfrenato proclamato da Stirner? La rigorosità non è un feticcio, ma una convinzione
intellettuale, e l’egoismo è un fatto universale della vita animale. Nulla mi
appare più chiaro del fatto che la realtà dell’egoismo deve innanzitutto
entrare nella coscienza degli uomini, prima che l’imparziale Einzige subentri al bipede prevenuto che si
presta a sostenere tirannie milioni di volte più pressanti del naturale
interesse personale di ogni individuo. Quando una dottrina, dritta come filo a piombo, è travisata come dovere
tra uomini intellettualmente diseguali- come una religione dell’umanità- questo
è dovuto alla confusione di chi cerca di leggere senza conoscere l’alfabeto e
di porre la filantropia al posto del contratto. Ma, se la dirittura, il rigore
è scientifico, è o può essere in mio possesso, proprietà, e ne scelgo l’uso-
quando le circostanze lo consentano. Dal lato pratico della questione dell’egoismo
rispetto all’abdicazione di sè e per un giudizio dell’egoismo
in politica, si può affermare: la credenza che uomini non mossi da un senso di
dovere saranno duri o ingiusti verso gli altri è solo una confessione indiretta
che chi sostiene quella credenza ha tutto l’interesse a che gli altri vivano
per lui piuttosto che per sé stessi. Ma non chiedo o mi aspetto tanto. Sono
soddisfatto se altri individualmente vivono per loro stessi, e così smettono in
tante maniere di agire in opposizione al mio vivere per me stesso,- al nostro
vivere per noi stessi. Se il Cristianesimo ha fallito nell’allontanare il mondo
dal male, non per questo dobbiamo sognare che il razionalismo di devota
impronta morale rilevi quel compito. Il
Cristianesimo, o tutto l’amore filantropico, è collaudato alla non-resistenza.
E’ un sogno che l’esempio possa cambiare i cuori di dominatori, tiranni, folle.
Se fallisce la più estrema resa del sé, come può aver successo un misto di
amore cristiano e accortezza mondana? Almeno questo deve essere abbandonato. La
condotta di Cristo e Tolstoi può
essere sperimentata, ma la fede di Tolstoi non è soddisfatta della prova
e del fallimento presenti. Mostra l’infatuazione di chi persiste perché così
dovrebbe essere. L’egoista che pensa “Mi piacerebbe fosse così” tende a
percepire che non tutto è concluso nel momento in cui taluno crede e si
rassegna, fintanto che altri sono pronti a depredare i sottomessi. I Faraoni sono ancora tra noi.
Molti passi di questo notevole libro rivelano che
l’autore era uomo pieno di simpatia. Quando riflettiamo sui sentimenti ed
opinioni apertamente espressi- il suo rifiuto del senso di obbligazione morale
come ultima forma di superstizione- possiamo non essere autorizzati a pensare che la completa scomparsa della
supposizione sentimentale del dovere liberi energia nervosa per una generosità
più pura e illumini
l’intelletto per una più discriminante scelta di obbiettivi meritevoli?
(a cura di Erik Stark)* |
Intorno al 1890
cominciarono ad apparire sulla rivista californiana “Egoism” le prime pagine di quella Philosophy
of Egoism di James L. Walker poi stampata postuma, nel 1905, per le cure
di moglie ed amici. Qui, nelle righe finali, l’autore dichiarava di essere
venuto a conoscenza del testo stirneriano solo nel 1872, trovandovi esposti
in chiare lettere i pensieri che andava indipendentemente elaborando ed
“organizzando” e che in seguito avrebbe divulgato, a firma Tak Kak, anche su Liberty
di B. Tucker, organo di quell’Anarchismo Filosofico (ma vi apparvero pure
scritti di Shaw e Pareto) da lui preferibilmente definito Anarchismo
Egoistico. Nato a Manchester
nel 1845 da famiglia agiata e di educazione liberal, dopo studi in
Europa continentale (ove completò una vasta conoscenza di lingue classiche e
moderne) Walker si era trasferito a Chicago e successivamente in Texas
lavorando intensamente per diversi giornali, tra le altre cose occupandosi
pure di chimica e stenografia; fu grazie a lui che nel “Galveston News” “prosperò” una fronda anarchica
cui posero termine gli strilli interessati della concorrenza. Walker
perfezionò quindi gli studi in legge, praticandola brevemente, prima di
recarsi in Messico all’inseguimento di nuovi progetti editoriali, il cui
infelice esito l’avrebbe spinto a riprendere l’attività di medico, già
esercitata in gioventù. Là trascorse anche gli ultimi sette anni, morendovi
(debilitato da un’epidemia di febbre gialla) a Laredo, il 2 aprile 1904. Di
lui un necrologio, esaltandone lo spirito logico-argomentativo, ricordava la
fluente conversazione in una mezza dozzina di lingue e come, a conferma di un
tranquillo egoismo, “fosse pronto a discutere ogni argomento del giorno e
qualsiasi soggetto storico con la massima prontezza, ma avesse poco da dire
sui propri affari privati” non per questo mostrandosi riservato o distante. |