Massimo Bacigalupo

Walcott, l’Omero caraibico

Colombo sbarcò nell’ottobre 1492 a San Salvador, nelle Bahamas. A qualche migliaio di chilometri a sud-est, nei pressi delle coste del Venezuela, nelle Antille, sono nati 440 anni dopo due scrittori premi Nobel. A Trinidad nasce nel 1932 V.S. Naipaul, accigliato romanziere-viaggiatore di famiglia indiana che ha avuto il Nobel nel 2001, e nel romanzo-saggio Una via nel mondo torna sull’argomento della Scoperta evocando scenari spagnoleschi ed elisabettiani (Walter Raleigh, il corsaro che condusse una spedizione in Guyana). A St. Lucia, isoletta britannica, nasce nel 1930 Derek Walcott, intellettuale agguerrito di sangue inglese e nero (figlio di un pittore e una insegnante), poeta e pittore e drammaturgo e saggista prolifico, che la Musa ha tirato su con tutti i crismi perché fosse maturo per l’appuntamento del 1992, quinto centenario del viaggio di Colombo, quando appunto il Premio Nobel  andò a Walcott (decurtato, protestò, dalle troppe tasse imposte dal fisco americano).

      Infatti Walcott, nonostante la sua attività soprattutto teatrale in patria, ha dovuto emigrare negli Stati Uniti, dove ha insegnato all’Università di Boston e ha trovato editori disposti a pubblicarlo e promuoverlo: quella Farrar Strauss che è un po’ un’Adelphi newyorchese, guidata da un gentile poeta dal nome italiano, Jonathan Galassi, ma prima da Robert Giroux, amico ed editore di Robert Lowell, il poeta più autorevole del dopoguerra (in Italia le Poesie di Lowell sono edite da Guanda e un altro volume,. Giorno per giorno, negli Oscar Mondadori).

     Walcott à dunque uno degli scrittori che, pur non americani, hanno trovato in America la spinta necessaria per fare il balzo a Stoccolma, preceduto dal russo naturalizzato Josip Brodskij e dall’irlandese Seamus Heaney: anch’essi familiari con le università le riviste e i giornali americani, anch’essi in qualche modo americanizzati nello stile quando non per cittadinanza. Quest’ultimo è il caso di Brodskij, che divenne addirittura poeta laureato degli Stati Uniti, ma poi volle essere sepolto a Venezia accanto ad altre glorie dell’emigrazione, Diaghilev e Stravinskij.

     Non è facile collocare Walcott. Nelle università italiane da tempo esistono corsi sulle “culture dei paesi di lingua inglese”, da cui per convenzione di escludono gli Stati Uniti, che fanno parte a sé. Chiaramente Walcott è un cittadino britannico di una colonia con 160.000 abitanti (su cui ci informa il sito www.stlucia.gov.lc). Ma la sua poesia fa parte a sé, attinge a tutta la tradizione inglese e per l’area moderna guarda soprattutto all’America, al denso profetismo di Lowell. Il linguaggio più semplice della generazione del primo Novecento (Eliot, Pound, Williams) cede nel secondo dopoguerra al barocchismo. Walcott, uno dei cui primi volumi fu prefato da Lowell, è autore di poemi densi di materiali storici, sempre legati alla sua condizione di isolano. 

      Il suo ultimo libro, Il segugio di Tiepolo, è un’indagine su Camille Pissarro, il pittore impressionista nato anch’egli nelle Antille, condotta tramite intricati episodi in versi. Il penultimo, trattato abbastanza severamente dalla critica, è The Bounty, titolo a doppio senso in quanto Bounty è sia il nome della nave del fatale ammutinamento, sia un “dono”, una “ricchezza”, un “bottino”. Nell’edizione pubblicata da Adelphi il titolo è diventato Prima luce. In realtà la vicenda del Bounty avvenne nel Pacifico, ma di mari e occidentali alle prese coi tropici e forme di oppressione e sovversione sempre si tratta. (Che sono i temi cari all’altro nostro scrittore post-colombiano, Naipaul..)

      Ma l’opera più ambiziosa di Walcott era uscita alla vigilia della scadenza colombiana, nel 1990, ed è un poema di oltre 8000 versi intitolato Omeros, cioè un rifacimento delle saghe omeriche, naturalmente ambientato a St. Lucia (che fra parentesi si pronuncia “Lùssia”). Walcott, abilissimo formalista, pittore in versi, ha voluto sovrapporre Dante e Omero (come già aveva fatto Pound nei Cantos): Omeros è scritto in terzine dantesche, anche se con una certa libertà. Di quest’opera, tale da far tremare le ginocchia al lettore, Adelphi ha pubblicato recentemente un’ottima edizione italiana, tradotta con mano leggera e precisa da Andrea Molesini (pp. 581, €35,00), autore anche di una utile Nota esplicativa. Molesini non idolatra Walcott ma lo conosce ormai molto bene avendone tradotto due libri e avendone in corso altri, e sa indicare i punti di forza dell’opera, in cui non è facile orientarsi visto che come in Omero (e in Dante) i sette libri in cui è suddivisa (divisi a loro volta in 64 capitoli) non portano titolo. I personaggi sono umili pescatori che per una felice coincidenza si chiamano Achille ed Hector, e si contendono l’amore di una  bella cameriera chiamata Elena; un altro personaggio ha nome Filottete e naturalmente porta una ferita insanabile.

Se apriamo il  massiccio tomo leggiamo all’inizio: “ ‘Così al sorgere del sole abbiamo tagliato quelle canoe’. / Filottete sorride per i turisti che cercano di rubargli / l’anima con la loro canon”. 540 pagine oltre la chiusa recita: “La luna piena brillava come una fetta di cipolla cruda. / Quando [Achille] lasciò la spiaggia il mare era ancora mare”.  Non si può che ammirare la volontà strutturale che presiede a un’opera simile: 80.000 parole inguainate in ordine formale; un romanzo-saggio che però si dispone nella forma del verso.

     Il materiale è abbondante; ci sono anche dei personaggi di coloni inglesi, e lo stesso Walcott interviene parlandoci dal suo esilio presso Boston, o dei suoi viaggi in Francia, Inghilterra, Irlanda e Italia; o dedica dei capitoli alla storia degli schiavi e al viaggio sulle navi negriere (il “middle passage” divenuto un fatto centrale per gli studiosi della cultura dei neri d’America).  Walcott mette tutto il suo mondo nelle pagine di Omeros, e si fa leggere lentamente dato l’amore per le metafore, il denso tessuto tropicale delle sue frasi. In questo modo si priva di quella grande risorsa del poeta che è la frase breve, pungente ed essenziale (che pure altrove ha dimostrato di possedere). E’ uno scrittore lussureggiante come la sua terra, verboso e barocco. Solo un gemello di Colombo poteva immaginare un’archittetura così grandiosa, e concepire il progetto di arrivare in Grecia e in Toscana con 80.000 parole disposte in straripanti strutture ternarie. E coloro che con lui si imbarcano non mancheranno di brontolare per il troppo prolungarsi del viaggio, ma poi renderanno omaggio alla determinazione che permette al poeta di St. Lucia di superare la formidabile prova.

Il Secolo XIX, 2 aprile 2004