È questa la nota che ha accompagnato la nuova edizione riveduta de Il dittatore libertario, pubblicata in e-book dalla Fondazione De Ferrari
Wolf Bruno
nota a F.M. Nicosia
Rammentare che la diffusione del termine “libertario”, apparso in un pamphlet pubblicato negli Stati
Uniti nel 1857, si deve all’autore di A bas les chefs !, quel Joseph Dejacque che diresse per
l'appunto a New York Le Libertaire, Journal du mouvement social , mi
sembra il miglior commento al vasto e complesso Dittatore Libertario che
Fabio Massimo Nicosia rilasciò nel 2011 con l’editore Giappichelli e del quale
qui si dà l’edizione riveduta. La ragione è semplice: mosso da un interesse non
specioso e da una non speciosa condivisione delle argomentazioni suggerite dal
movimento libertario “free market”, Nicosia anziché liquidare in una
superficiale contrapposizione – come vorrebbero queste argomentazioni – la
vecchia tradizione della “questione sociale”, se ne appropria invece,
attraverso un’impressionante serie di deduzioni, andando a fondo piuttosto nei
moventi e nelle contraddizioni di tutti senza cedere a eclettiche miscele o
concilianti sentimentalismi.
L’irritualità del
discorso di Nicosia rispetto a una cerchia intellettuale di cui in parte ha
condiviso l’evoluzione in Italia balza subito agli occhi attraverso la critica
di una nozione come quella dei “diritti naturali” che nell’accezione tipica di
quell’ambiente libertario, in specie Rothbardiano, viene fatta coincidere con
la vita stessa la quale vita d’altra parte non si estrinsecherebbe altrimenti
che come “economia”, la quale “economia”, a sua volta, altro non sarebbe che
l’elemento selettivo che decide la fortuna degli uni e la sfortuna degli altri.
Già Adam Smith osservava tuttavia che le differenze nell’ingegno fra gli uomini
sono in verità minime, così che di fatto non è facile stabilire su quale base
si vadano affermando i privilegi, se non attraverso un’oscura forza
regolamentatrice. L’ambizione di Nicosia è quella di cercare di muoversi in
questa oscurità in modo da individuare il processo che porta alla formazione di
tali privilegi i quali, senza che debbano essere respinti, proprio perché
conseguenza di un processo, contraggono strada facendo dei debiti che chiedono
soddisfazione, sicché legittimare il solo esito proprietario finale significa
mortificare quella stessa consapevolezza di una “proprietà criminale” che viene
apparentemente rilevata proprio dall’ambiente libertario riferito sopra.
Critico del
giusnaturalismo, non per questo Nicosia è un assertore puro e semplice del
“diritto positivo”, che tuttavia costituisce un suo importante bagaglio
culturale, tanto da maneggiarne con stupefacente competenza le diverse
incarnazioni. In qualche modo Nicosia è un critico del diritto come poteva
esserlo Karl Marx, non a caso citato anche con ammirazione, a differenza di un
generalmente ostile ambiente anarchico – per non dire di un Rothbard che lo
credeva matto. D’altra parte,
riconoscere nella proprietà della terra il sopruso originario sui comuni
diritti (come anche alcuni teorici del liberalismo, come Mises, non nascondono
che possa esserlo stato) significa anche adombrare l’idea dello sfruttamento
(si lavora un campo per la propria sopravvivenza e tutto il resto per il
padrone). Da ciò deriva per giunta una riflessione fra ciò che si chiama “selezione
naturale” e ambiente umano che rende difficile essere portati a credere nella
superiore intelligenza e insostituibile capacità di, per buttarla lì, un
manager miliardario premiato, come dicevano i preti, con “la giusta mercede”.
E, a questo proposito, non bisogna trascurare come, dai tempi in cui Adam Smith
si dichiarava scettico sull’effettiva gerarchia del talento, sia venuta
crescendo un’ontologia della “genialità” che occupa il discorso comune – si
veda, per esempio, la reputazione di acuta e irresistibile unicità in cui sono
tenuti l’arte e gli artisti.
Nicosia, per giunta, non
nasconde l’ispirazione che gli ha fornito il “marxismo analitico” per decidersi
a definire a sua volta in termini “analitici” l’anarchismo. La filosofia
analitica comporta, nelle sue versioni estreme, la messa in discussione dei
rapporti fra enunciati e referenti così che a farne le spese sono concetti dati
per scontati nel discorso comune come “verità” e “realtà”. Da ciò può derivare
un’accusa di nichilismo che plausibilmente può esser lanciata dal libertarismo
di scuola rothbardiana, ma non solo da quello. Nicosia ha tuttavia più a cuore
l’andare a fondo dei problemi che non lasciarsi impressionare da obiezioni
mosse da apprensioni ideologiche, delle quali dimostra d’altra parte piena consapevolezza
. Questo andare a fondo sembra svolgersi al primo contatto attraverso un
puntiglio inutilmente complicato, ma una volta che, superato l’impaccio, si sia
entrati nell’implacabile rigore del suo ritmo, il libro si rivela essere un’appassionante disamina nella quale nulla è
lasciato all’ossequio, cominciando dalle stesse convinzioni che per anni a
Nicosia sono sembrate ultimative.