Maurizio Cabona
Piero Vivarelli (1927-2010)
Nell’ultima
intervista prima di morire ieri a ottantatré anni, Piero Vivarelli mi diceva
che stava preparando Rosso Avana: protagonista Roberta Mancino, paracadutista,
oltre che nuotatrice. Proprio quello che Vivarelli era stato da giovane, quando
sedicenne vestiva l’uniforme della X Mas nella Repubblica Sociale. Doveva
essere una fine - Vivarelli era iscritto al Partito comunista cubano - per
congiungersi all’inizio, come in Più buio che a mezzanotte non viene (Edizioni
dell’Oleandro), il suo recente romanzo autobiografico.
Vista la vocazione di Vivarelli a schierarsi ora con questo, ora con quello dei
grandi schieramenti sconfitti del ’900, può stupire che lui sia stato uomo di
spettacolo e che la sua prima popolarità gli sia derivata da Il tuo bacio è come un rock e Ventiquattromila baci, scritte per
Adriano Celentano. Stupisce anche di più che Vivarelli sia stato uno degli
amici più stretti di Luigi Tenco, così diverso in tutto da Celentano. Con
quest’ultimo il sodalizio è della seconda metà degli anni Cinquanta. Ancora una
decina d’anni prima Vivarelli era detenuto su mandato delle autorità americane
d’occupazione per via della sua attività di sabotatore oltre le loro linee.
Amnistia Togliatti e guerra fredda avevano contribuito a restituire Vivarelli
alla società, ma non a renderlo un borghese.
Per quella generazione, la morte del Duce significava quel che la morte di Dio
aveva significato per certi lettori di Nietzsche: rendeva tutto lecito. Ci fu
così chi si arricchì fin dagli anni Cinquanta, magari facendo qualche elemosina
al Msi; ci fu chi fallì, dandone la colpa alla democrazia liberale; ci fu chi
si sposò per dimenticare i sogni e non ci riuscì quasi mai. Vivarelli invece
trovò un modo per continuare a divertirsi: per lui anche rischiare la
fucilazione era stato emozionante, dunque divertente. Riuscì poi quasi sempre a
fare per denaro ciò che avrebbe fatto gratis, trovando la chiave della
felicità. Si fece così un nome grazie alle canzoni e poi nel cinema coi
musicarelli. Io bacio, tu baci
mostrava Mina, figlia di un industriale milanese, mentre orientava il denaro
del padre verso un gruppo di ragazzi dediti alle canzonette. Nasceva la società
del benessere, di cui oggi viviamo la morte.
Di un’altra svolta il cinema di Vivarelli fu l’annuncio. Satanik (1968) introduceva un’assassina seriale come eroina. Per la
prima volta delitti sessuali restavano impuniti in un film che non veniva da
Michel Foucault, ma da Romano Mussolini, che il jazz aveva avvicinato a
Vivarelli. Satanik incassò bene,
consolidando la fama di Magda Konopka, il cui seno nudo pareva trasgressivo a
chi aveva visto solo quello materno.
Cinema d’evasione e parallelo ruolo di selezionatore per il Festival di Sanremo
non sottraevano Vivarelli alla politica. Quarantenne, iscritto al Pci fin
dall’amnistia Togliatti dell’immediato dopoguerra, aderiva anzi al gruppo del
manifesto, che dal Pci veniva rudemente espulso, perché certi casi di
«centralismo democratico» non sono nuovi. Nel decennio seguente, così violento
proprio fra i giovani, Vivarelli sarebbe stato l’unico regista ad avere amici
personali ovunque, tranne fra i critici cinematografici (il recupero estetico
del cinema-spazzatura era ancora lontano). Ma non si prendeva sul serio nemmeno
lui. Più attenzione gli venne dal Dio
serpente, che impose Nadia Cassini, grazie a un memorabile nudo frontale e
a un amplesso con l’«abbronzato» Evaristo Marquez, reduce da Queimada di Gillo Pontecorvo, con Marlon
Brando. Finzione o passione? Solo quarant’anni dopo, proprio nell’ultima
intervista, Vivarelli rivelò: «Passione».
(“il
Giornale”, 9 settembre 2010)