Alain de Benoist, lei conosceva Dominique Venner dal 1962. Al di là della
pena o del dispiacere, è stato stupito dal suo gesto? Sebbene egli avesse da
tempo rinunciato alla politica, questo gesto è coerente con la sua vita, la sua
lotta politica?
“Ora mi disgustano soprattutto
certi commenti. «Suicidio d’un ex dell’Oas», scrivono gli uni, altri parlano
d’una «figura d’estrema destra», d’un «violento oppositore del matrimonio gay»
o di un «islamofobo». Senza contare gli insulti di Frigide Barjot, che ha
rivelato la sua vera natura, sputando su un cadavere. Costoro non sanno nulla
di Dominique Venner. Mai hanno letto una sua riga (su oltre 50 libri e
centinaia d’articoli). Ignorano perfino che, dopo una gioventù agitata – che
lui stesso raccontò in Le cœur rebelle (1994), tra
le sue opere migliori -, aveva rinunciato a ogni forma d’azione politica da
quasi mezzo secolo. Esattamente dal 2 luglio 1967. Infatti ero presente quando
comunicò la decisione. Da allora Dominique Venner s’era dedicato alla
scrittura, prima con libri sulla caccia e sulle armi (nel settore era un
esperto riconosciuto), poi con saggi storici scintillanti per stile e spesso
autorevoli. Aveva poi fondato La Nouvelle Revue d’histoire, bimestrale
d’alta qualità.
“Il suo suicidio non mi ha sorpreso.
Da tempo sapevo che – sull’esempio degliantichi
Romani, e anche di Cioran,
per citare solo lui – Dominique Venner ammirava la morte volontaria. La giudicava la più conforme all’etica dell’onore. Ricordava
Yukio Mishima e non a caso il suo prossimo libro, che il mese prossimo sarà
edito da Pierre-Guillaume de Roux, s’intitolerà Un samouraï d’Occident.
Fin d’ora se ne può misurare il carattere di testamento. Dunque questa morte
esemplare non mi stupisce. Mi sorprendono momento e luogo.
“Dominique Venner non aveva
«fobie». Non coltivava alcun
estremismo. Era un uomo attento e segreto. Con gli anni, il giovane
attivista dell’epoca della guerra d’Algeria s’era mutato in storico meditativo.
Sottolineava volentieri quanto la storia sia sempre imprevedibile e aperta. Ci
vedeva motivo per non disperare, infatti rifiutava ogni forma di
fatalismo. Ma era innanzitutto un
uomo di stile.Ciò che apprezzava di più nelle persone era la tenuta. Nel
2009 aveva scritto un bel saggio su Ernst Jünger, spiegando la sua ammirazione
per l’autore delle Scogliere di marmo con la sua
tenuta. Nel suo universo interiore non c’era posto per i cancan, per la
derisione, per le liti di una politica politicante che giustamente disprezzava.
Perciò era rispettato. Cercava la tenuta, lo stile, l’equanimità, la
magnanimità, la nobiltà di spirito, talora fino all’eccesso. Termini il cui
senso sfugge a chi guarda solo i giochi televisivi”
Dominique Venner era pagano. Ma ha scelto una chiesa per porre fine ai
suoi giorni. Una contraddizione?
“Penso che lui stesso abbia risposto
alla domanda nella lettera che ha lasciato, chiedendo di renderla pubblica:
«Scelgo un luogo altamente simbolico, la cattedrale di Notre-Dame di Parigi,
che rispetto e ammiro, perché fu costruita dal genio dei nostri avi su luoghi
di culto più antichi, ricordando origini immemorabili». Lettore di Seneca e Aristotele, Dominique Venner ammirava
specialmente Omero: Iliade e Odissea erano per lui i testi fondanti d’una
tradizione europea nella quale riconosceva la sua patria. Solo Christine Boutin
può immaginare che si fosse «convertito all’ultimo secondo»!
Politicamente questa morte spettacolare sarà utile, come altri sacrifici
celebri, quello di Jan Palach nel 1969 a Praga, o quello più recente
dell’ambulante tunisino che in parte provocò la prima «primavera araba»?
“Dominique Venner s’è espresso anche
sulle ragioni del suo gesto: «Davanti a pericoli immensi, sento di dover agire
finché ne ho la forza. Credo necessario sacrificarmi per rompere la letargia
che ci opprime. Mentre tanti uomini si rendono schiavi della loro vita, il mio
gesta incarna un’ etica della volontà. Mi do la morte per svegliare coscienze
addormentate». Non si potrebbe essere più chiari. Ma si avrebbe torto non
vedendo in questa morte volontaria ben oltre il contesto angusto dei dibattiti
sul «matrimonio per tutti». Da anni, Dominique Venner non sopportava più di
vedere l’Europa fuori dalla storia, vuota d’energia, dimentica di sé. Diceva
spesso che l’Europa è «in letargo». Ha voluto svegliarla, come Jan Palach, in effetti o, in un altro periodo
, Alain Escoffier. Così ha provato la sua tenuta fino in fondo, restando
fedele alla sua immagine del comportamento di un uomo libero. Ha scritto
anche: «Offro ciò che resta della mia vita in un’intento di protesta e
fondazione». Questa parola, fondazione, è il legato di un uomo che ha
scelto di morire in piedi”.