le voci che corrono
Enrico Vanzina
scrittore
Enrico Vanzina: Il
Mistero del rubino birmano. Newton Compton, 2014
A Roma il momento in
cui la notte lascia posto alla luce abbagliante del giorno è un momento magico
e carico di aspettative. Ed è proprio all’alba di un giorno qualunque che Max
Mariani, sciagurato detective con una passione per la vodka e le ragazze a pagamento,
si è appena abbandonato al sonno ristoratore quando riceve una telefonata da
una donna misteriosa.
Chi è la
sconosciuta che lo chiama in preda al panico, dicendo di aver sparato a un uomo
e implorandolo di tirarla fuori dai guai? Max, come al solito, non sa resistere
a una voce femminile che chiede aiuto, anche se stavolta si sta per infilare in
un pasticcio degno di un thriller di Hitchcock. La bionda dall’altra parte del
telefono, infatti, è nientemeno che una contessina russa con una forte dipendenza
dalla polvere bianca, un datore di lavoro pericoloso e al dito un gioiello che
scotta. Al fianco dell’eterno amico-nemico Giuliani – ruvido poliziotto –,
Mariani si ritroverà, suo malgrado, in un intrigo internazionale che lo porterà
dalle periferie di Roma, popolate da spietati gangster colombiani e pusher
ivoriani, fino alle strade piene di insidie di Sofia, in Bulgaria. Non male,
per un ex avvocato dei Parioli senza un soldo in tasca. Solo che in questo
complicato puzzle, il detective rischia davvero di rimetterci molto più della
reputazione e del conto in banca…
l’editore
§
Enrico Vanzina e Max Mariani
(Giacomo Airolid, Ciak” -
http://www.ciakmagazine.eu/ 28 dicembre 2014) Nel
nuovo romanzo Il mistero del rubino birmano Enrico
Vanzina riporta in libreria il detective Max Mariani, il suo “Marlowe a Roma”,
perfetto personaggio da film (ispirato all’attore Pierfrancesco
Favino). E del cinepanettone dice:«Come prodotto nazionalpopolare e come
forma quasi filosofica, è morto».
Avevamo lasciato Max
Mariani alla sua prima indagine, Il gigante sfregiato, e un anno dopo lo
ritroviamo alle prese con Il mistero del rubino birmano(Newton Compton, €
12). Ma che tipo è questo strano e per molti versi misterioso detective?
Ecco come lo descrive il suo creatore, Enrico Vanzina: «Da tempo,
dopo aver scritto tanto, cercavo la strada per un romanzo dalle atmosfere
hard-boiled americane degli anni Quaranta, il genere letterario che più ho
amato nella mia vita. Finalmente, due anni fa mi sono alzato una mattina con
l’idea giusta per una storia come quelle, ma ambientata in Italia: Max
Mariani è Marlowe a Roma. Arriva da una famiglia agiata, è stato avvocato
della Roma bene, ma oggi fa l’investigatore privato. È un po’ misogeno, ma in
realtà è romantico. Frequenta le donne a pagamento per non avere problemi, ma
lui si innamora di loro e loro si innamorano di lui. Non ha soldi, legge molto,
ma non è un intellettuale; è un solitario, non ha paura di niente, sa menare se
necessario, veste elegante (anche se ha pochi abiti), si confronta sempre con
storie impossibili, assolve le debolezze degli altri perché sa di averne tante,
ma soprattutto ha un enorme senso dell’umorismo».
Agisce in una Roma
violentissima.
«Ma reale, attuale. Ho voluto descriverla e raccontarla così, perché questa
città troppo spesso viene oscurata da quella della commedia rappresentata dai
nostri film, da quelli di Verdone e da tanti altri prima. La Roma di Mariani è
quella multietnica, con la criminalità delle grandi metropoli, delle gang
cinesi, sudamericane, dell’Est. E delle spie, come scopriamo soprattutto in
questo secondo libro (dove la storia arriva anche in Bulgaria, a Sofia ndr),
in cui sono riuscito a mettere tutto quello che volevo. Il romanzo scorre
veloce, pieno di colpi di scena, con riferimenti a Hitchcock: se uno vuole, in
due ore e mezza se lo legge tutto. Vorrei avere un amico come Mariani e Roma è
molto importante per un personaggio come lui che, inutile dirlo, visto anche il
successo di critica ottenuto, vorrei portare avanti».
Quindi nella terza
avventura…
«…scopriremo che c’è un motivo profondo e importante che ha spinto Mariani a
fare il detective».
Ha detto che,
delineando questo personaggio, ha pensato all’attore Pierfrancesco Favino.
«Sì, ma in questi due anni si sono fatte avanti altre ipotesi, suggerite dai
lettori: Valerio Mastandrea e Ricky Memphis. E poi c’è stata l’autocandidatura,
durante una presentazione al Circeo, di Marco Giallini. Tutti grandi
interpreti, ci mancherebbe. Anche se l’estrazione borghese del mio Mariani mi
fa ancora propendere per Favino».
Quindi il film…
«…non voglio dirigerlo io per mantenere un certo distacco. Un altro regista può
aggiungere qualcosa. Forse potrei scrivere la sceneggiatura».
Anche se entrambi i
romanzi sembrano già dei film.
«Diciamo che sono tagliati cinematograficamente, ma quando scrivo l’intento è
di fare letteratura non cinema. È importante, però, che si ricominci col cinema
di genere in Italia. Con questi due libri ho cercato di dimostrare che si
possono raccontare “storie americane” credibili anche se ambientate in Italia».
Restiamo al cinema:
cinepattone da rottamare o no?
«Direi che è De Laurentiis ad aver decretato la fine di questo genere di film,
che io e mio fratello abbiamo inventato. Prima con la rinuncia a Boldi, poi con
quella a De Sica e infine con quella a Neri Parenti. Senza di loro ha aperto
una nuova pagina, ma di cinema comico. Il cinepanettone, come prodotto
nazionalpopolare e come forma quasi filosofica, è morto».
§
Enrico
Vanzina, Il gigante sfregiato. Newton Compton, 2013
§
Enrico Vanzina. È nato a Roma nel 1949. Suo
padre, Steno, era un regista. Il fratello Carlo, un regista. Lui, invece, fa lo
sceneggiatore. Ha firmato circa cento film, alcuni dei quali famosissimi. Fa il
giornalista, ha scritto per il teatro e ha pubblicato dieci libri. Nel 2013 con
la Newton Compton ha pubblicato il suo primo romanzo giallo Il gigante
sfregiato, acclamato dalla critica, con cui ha vinto il premio di letteratura
della Città di Penne.