Mario Graibanous

Van Ronk

Dave Van Ronk – Elijah Wald: MANHATTAN FOLK STORY. Il racconto della mia vita. Rizzoli, 2014

Quando si ebbe notizia di Inside Llewyn Davis (A proposito di Davis, 2013), il film dei fratelli Cohen su un folk singer degli anni sessanta al Greenwich Village, si diede per certo che traeva ispirazione dall’autobiografia di Dave Van Ronk, un libro che già al momento della pubblicazione aveva ottenuto la fama di un’opera  speciale. Poco prima dell’uscita nelle sale italiane del film (prevista per il febbraio del 2014)  anche i lettori italiani, grazie alla Bur di Rizzoli, poterono rendersi conto di quanto ciò fosse o non fosse vero.

Che si tratti di un’autobiografia è affidabile solo in parte. L’intenzione di Van Ronk era di raccontare in dettaglio la storia del Village quando affiorò sulle scene il folk revival, negli anni cinquanta e sessanta, descrivendone tipi umani e bizzarrie varie. Elija Wald, col quale la scrisse, consigliò un obiettivo più modesto, quello di salvaguardarne il clima, e insieme ci sono riusciti alla grande, conservando per altro molta succulenta aneddotica. Van Ronk purtroppo non poté godere della pubblicazione  poiché morì di cancro nel 2002.

Il Village era una meta turistica e i visitatori erano all’epoca attratti soprattutto dal fenomeno dei “beatnik”, curiosi di assistere alle letture di poesia nei vari caffè e al loro insolito modo bohémien di abbigliarsi (era un’epoca che fra i maschi, in giacca e cravatta, dominava il taglio di capelli alla militare). I turisti non facevano troppa distinzione fra poeti e musicisti folk, erano tutti beatnik, ma i padroni dei locali utilizzavano i secondi – a loro giudizio fonte di noia -  per spopolare la sala e far posto a nuovi  clienti, quantunque da lì a poco la situazione cambiasse.

I musicisti folk alimentavano il loro repertorio andando a  pescare i brani nei vecchi dischi a 78 giri, come qualche anno prima aveva fatto Harry Smith, uno stravagante personaggio, filmaker e pittore, un po’ occultista e un po’ etnologo, millantatore, che aveva pubblicato nel 1952 con la Folkways una raccolta, American Folk music, ricavata perlappunto da vecchie incisioni. Van Ronk e i suoi colleghi - fra i quali c'era Sam Charter, antesignano degli studi sul blues - pensavano che i protagonisti di quelle incisioni fossero ormai tutti defunti, e rimasero stupefatti quando scoprirono che moltissimi di loro erano ancora in attività.

Fra gli episodi divertenti che Van Ronk racconta c’è quello di quando, dovendo rientrare a New York dopo una esibizione a Cambridge (Mass.), ottenne un passaggio sull’automobile del Rev. Gary Davis. Si sedette nel posto a fianco del guidatore, mentre il Reverendo (che era cieco) rimaneva dietro a pizzicare la chitarra. La cosa andò avanti per un pezzo e il giovane musicista era inizialmente estasiato dalle variazioni che il vecchio bluesman apportava a un suo celebre brano, Candyman. Tuttavia, nei dintorni di Providence, cominciò ad averne abbastanza. Alla fine prese il coraggio per dire all’anziano signore, che per lui era un mito, di cambiare. Girandosi si accorse che il Rev. Gary Davis suonava da sonnambulo, dormendo.

Storielle a parte, la goduria è data anche dalle numerose battute di spirito. In una nota a piè di pagina verso la metà del libro, per esempio, Van Ronk si rivolge al lettore in questa maniera: “chiunque sia arrivato fin qui probabilmente si starà chiedendo: ˵Tutte queste chiacchiere sulla vita da bohémien e da beatnik – ma dov’è il sesso?˵. Credetemi, anche noi all’epoca ci facevamo la stessa domanda”.  A dire il vero non è che la situazione cambi nelle pagine successive: a parte le cantanti come Odetta, le femmine citate sono sostanzialmente due, la moglie e Lee Hoffmann la quale, dopo aver curato col marito una fanzine di fantascienza, si mise a pubblicare nel 1957 “Caravan”, una rivista ciclostilata dedicata alla musica popolare che ebbe Van Ronk fra i collaboratori. Interessante è un articolo che viene riprodotto, firmato con lo pseudonimo Blind Rafferty, dove se la prende con la precedente scena del folk.

La visione di Van Ronk di questo filone musicale è ortodossa: il folk si basa su un repertorio le cui origini sono indecifrabili, o a malapena conosciute, il cui incremento è determinato da una sequenza incontrollabile di esecutori e interpreti che l'adattano alle proprie esigenze.  Si rende conto tuttavia che con "folk" si designavano (e si designano ancora oggi) i prodotti che ne traevano in varie maniere l'ispirazione. Il libro è anche questo, cioè una storia del revival folk, pur con tutte le distinzioni del caso, in una definizione più ampia, con Leadbelly, Woody Guthrie, Cisco Huston, Big Bill Broonzy, Pete Seeeger, Sonny Terry, Brownie Mc Gee e compagnia cantante come padri fondatori.

 A questa tradizione non erano estranei i maneggi del partito stalinista e ci fu chi nel corso del maccartismo e della guerra fredda pagò caro il proprio orientamento politico. Van Ronk, di orientamento trotzchista fino alla fine dei suoi giorni, non si faceva troppi scrupoli ideologici e frequentava la lega libertaria, i giovani socialisti e l'IWW. Non digeriva quindi personaggi interessati alla musica popolare che come Burl Ives avevano sciorinato una lista di nomi di fronte al Comitato per le attività antiamericane. A certi cantanti di night club in smoking e colletto rigido che inserivano pezzi folk nei loro spettacoli o a giovani marmotte come il Kingstom Trio che li edulcoravano guardava ovviamente con sufficienza, senza tuttavia nascondersi che è anche a loro che si dovette poi il successo discografico delle più nobili espressioni che difendeva. Allo stesso modo non si scandalizzò al momento della cosiddetta "svolta elettrica" di Bob Dylan al festival di Newport e pronosticò un futuro da "dentisti" ai giovani "puristi" che lo contestarono. A Dylan rimproverava piuttosto certi banali cedimenti nella vena poetica delle sue troppo gratuite associazioni. Qualcuno ricorderà Van Ronk dire queste cose nel bel documentario dedicato a Dylan da Martin Scorsese.

Di Dylan racconta uno spassoso episodio. Quando giunse a New York, il giovanissimo menestrello del Minnesota improvvisava ogni improbabile storia che lo potesse rendere interessante agli occhi delle personalità locali. Una concerneva le sue presunte origini indiane. Quando nel corso di una conversazione saltò fuori che "Ramblin" Jack Elliott, il compagno "cowboy" di Guthrie, era in realtà un ebreo di Brooklyn, Dylan scoppiò in una irrefrenabile risata e tutti capirono che era ebreo anche lui.     

Si è detto del sesso, ma in un libro che parla degli anni cinquanta e sessanta è strano che non si parli di Elvis Presley o Johnny Cash. Van Ronk chiarisce però a un certo punto la sua opinione sul rock and roll e manifesta le sue preferenze in Little Richard e Chuck Berry. Per un giovane che era cresciuto "a pane e Jazz" persino il buon rock doveva apparire "semplicistico". E Van Ronk era cresciuto così, abbandonando gli studi per il jazz tradizionale ed è sbalorditivo apprendere come un appassionato sedicenne dei primi anni cinquanta (era nato nel 1936) potesse avere l'occasione di suonare coi suoi eroi.

Dimenticavo, la prefazione è di Lawrence Block, il creatore di Matt Scudder e Bernie Rhodenbarr: Loro, come lui stesso, abituali al Village. “Fogli di Via”, marzo-luglio 2014