Charles
de Jacques
Tristan Tzara, una
biografia
Diciamocelo: ci voleva! Di fatto quello che abbiamo appreso della
vicenda di Tristan Tzara lo abbiamo appreso nelle antologie, nelle prefazioni, nelle
storie di Dada e del Surrealismo, negli schizzi di storia delle idee, nelle
monografie su Breton o altri, e dunque principalmente in materiali spesso indiretti,
anche se più o meno solleciti e abbondanti. Mancava, e quasi non ce ne eravamo
accorti - tanto per dire come si diano per scontate e “già avvenute” troppe
cose - una vera, ampia, documentata,
attendibile e appetitosa ricerca biografica. Ora c’è. Se ne è occupato François
Buot, già autore di un volume consacrato a Crevel (1991) dallo stesso editore,
Grasset, che oggi pubblica questo Tristan Tzara, l’homme qui inventa la
Révolution Dada (2002).
Veramente impagabile è la ricostruzione dell’infanzia di Samuel
Rosenstock (Samy), il futuro Tzara, nato il 16 aprile 1896 a Moinesti, nella
provincia rumena di Bacu, periodo sul quale il dadaista fu parecchio reticente,
per cui si è fatta perfino l’ipotesi - che Buot non nasconde ma ridimensiona,
attenendosi innanzitutto ai documenti – di una dissimulazione delle influenze
ricevute in terra natale, questione sollevata a suo tempo principalmente da
Eugène Ionesco nel saggio Les Précurseurs roumains du surréalisme pubblicato
da “Les
Lettres nouvelles” all’inizio del 1965 e riferita innanzitutto al
bizzarro poeta Urmuz “In effetti”, nota Buot, “le storie di Urmuz circolavano
nell’ambiente letterario di Bucarest”. Urmuz era lo pseudonimo dietro al quale
si celava Demetru Demetrescu Buzau, un magistrato piuttosto conservatore la cui
opera letteraria, non più di una sessantina di pagine, costituì tuttavia “una
deliberata sovversione della letteratura di inizio secolo” (*).
Ma il grosso del volume riguarda, com’è naturale che sia, la storia
culturale dalla Grande guerra ai
primi anni sessanta, un periodo emozionante non meno che catastrofico, di certo
ben studiato e conosciuto, ma che qui si ripercorre attraverso un personaggio
tra i più significativi, abbandonato purtroppo molto spesso ai primi anni venti
e osservato per quelli successivi attraverso fatti altrimenti determinati.
Ritroviamo dunque lo Tzara del Dada parigino, quello che manifesta alcune
riserve nei confronti degli amici surrealisti, lo Tzara comunista, la Spagna, la
resistenza, quello delle nuove polemiche con Breton dopo il ‘45, quello col
monocolo e quello senza, quello della fama e quello dell’oblio, il poeta
nichilista e quello lirico, fino allo Tzara solitario studioso di Villon.
(*)
Sulla questione tornerà un altro profugo rumeno, Stefan Baciu, in
un saggio che abbiamo pubblicato nella sezione archivio della nostra “circolare”
del 2002 (Urmuz, l’anarchico).