Carlo Romano

Schermi e stimoli

David Thomson: LA FORMULA PERFETTA. Una storia di Hollywood. Adelphi, 2022

Ci sono libri che pensi possano sollecitare una lettura perfino sensuale e che, malgrado il cospicuo numero di pagine, si possano leggere tutto d’un fiato. Mi ero convinto che il libro di Thomson potesse essere uno di questi, ma sbagliavo.  L’ammaliante avvio è una disamina della sceneggiatura di Chinatown e un profilo del suo autore, Robert Towne, coi problemi suscitati dal regista Roman Polansky avendo questo voluto modificare il finale in modo da renderlo scioccante. Con Gli ultimi fuochi, inconcluso romanzo di Fitgerald divenuto film tramite Elia Kazan, e, in parte minima, col classico romanzo hollywoodiano di Nat West Il giorno della locusta, le vicende relative a Chinatown percorrono tutto il libro in una chiave di fatti ma soprattutto di metafore non sempre chiare.

Thomson presenta i suoi sforzi come quelli di uno storico, ma come storia di Hollywood La Formula perfetta ha un montaggio ben strano per quanto poi un ordine cronologico si palesi in mezzo a numerose digressioni. Come “storia” è più che altro una storia delle case di produzione riflessa soprattutto in pochi eroi: Irving Thalberg, Louis Mayer e David Selznick. Alla fine è tutto un fare i conti in tasca ai tycoon e alle star con un’attenzione che sa più di ragioneria che di pettegolezzo, ragione per cui lo spasso non è per niente assicurato.

Anche quando scrive dei singoli film Thomson sembra aver fretta di arrivare al botteghino ed è inconcludente sul piano critico. Il bello è che l’editore italiano ha ornato il libro di una fascetta che strillail più grande critico cinematografico vivente”, parola di John Banville, il bravo scrittore irlandese al quale non sfugge l’umorismo nero. Thomson è interessato a definire ciò che è artistico e ciò che non lo è, così Quarto potere è artistico mentre non lo è I migliori anni della nostra vita benché con l’altro abbia in comune Gregg Toland, il direttore della fotografia universalmente celebrato come un grande artista, ma evidentemente per Thomson la differenza è quella che corre fra Welles e Wyler. La “formula” evocata nel titolo del libro è quella che dovrebbe combinare in maniera per l'appuntoperfettail businnes e l’arte. Quando un film non è artistico Thomson si ritiene comunque appagato se è “intellettualmente stimolante”. Unica frase che mi va di riprodurre dal libro è “ma dove sta scritto che i film devono essere una forma d’arte? Non vanno già bene così?” Difficile stabilire con quale e quanta convinzione Thomson l’abbia scritta.

fogli di via” n. 35, luglio 2023