Scritto a caldo, in ricordo
dell’amico scomparso, Our Nestor Taken from Us (e qui proposto con la consueta cura nella traduzione del nostro Eric
Stark) apparve su “Liberty” del
28-05-1887 a delineare la qualità esemplare di un’esistenza, quella di Lysander
Spooner, nello stesso momento in cui si adducono ragioni per non farne un monumento;
al di là delle comuni e certe idealità,
sembra dire Tucker, conta soprattutto misurarsi con la libertà di sperimentazione spooneriana,
partendo dall’infedeltà alla parola e all’autorità di alcuno: se l’esperienza è
l’autorità, non si impara al posto di un altro e l’esperienza brucia.
Benjamin
Tucker
tributo a Lysander
Spooner
Pressoché ogni giorno, escluso domenica, per tanti anni quanto chi scrive ricordi, un frequentatore della Biblioteca Atheneum di Boston, tra le nove e le tre, avrebbe potuto notare, in una delle nicchie che dominano Tremont Street attraverso il cimitero dell’Old Granari, la figura curva di un anziano, piegato su di uno scrittoio zeppo di polverosi volumi di storia, giurisprudenza,, scienze politiche e leggi costituzionali, ed attivamente assorto nello studio e nella scrittura. Se il vecchio avesse sollevato per un momento la testa, il visitatore avrebbe visto, incorniciato da una lunga capigliatura e una barba candida, uno dei volti più fini, miti, dolci, forti e grandi che mai abbiano allietato occhio umano. Ma, per quanto impressionati dalla visione, pochi avrebbero intuito di aver avuto il privilegio di intravvedere una di quelle sublimi forze dell’intelligenza la cui sincerità ed onestà di intenti, ed il cui cuore schietto e caldo lo avrebbero reso caro alle seguenti generazioni; ancora meno quanti avrebbero sospettato che ogni frase quietamente uscita dalla penna stretta da dita lentamente intorpidentisi era un potente contributo all’avanzare irresistibile di un torrente di logica e di collera sdegnata destinato ad inghiottire la struttura malata dalle fondamenta di una falsa società. Tale, tuttavia, era la verità. Ma non ci saranno aggiunte ai suoi sforzi. Poiché lo scorso mese la sua sagoma familiare è scomparsa dal luogo abituale, e gli abitudinari di quella biblioteca non lo vedranno più. Perché è morto. Il suo nome era Lysander Spooner, un nome, per l’avvenire, memorabile tra gli uomini.
È morto all’una del pomeriggio di sabato 14 maggio, nella sua stanzetta al 109 di Myrtle Street, circondato da bauli e casse zeppi di libri, manoscritti e pamphlet raccolti nella sua attiva battaglia di polemista durata più di mezzo secolo. Da oltre un anno era visibilmente declinato dal lato fisico ed era ormai impossibilitato a muoversi senza una stampella, e il due di questo mese era caduto in una febbre da cui non si è ripreso. Tenacemente ostile ad ogni scuola di medicina e fiducioso nella conoscenza della propria costituzione fisica, non aveva tollerato la presenza di un dottore fino a tre giorni prima di morire, ed anche allora, con la fermezza tipica del suo vivere, aveva rifiutato di descrivere i suoi sintomi o di accettare consigli e medicine. Né avrebbe prestato attenzione alle sollecitazioni di quanti, certi di un’impossibile guarigione, lo imploravano di dare disposizioni per i suoi preziosi manoscritti. “ Oh ! ci sarà tempo per occuparmene” rispondeva con voce debole ma serena. Gradualmente scivolò nell’incoscienza, che durò circa ventiquattro ore, e poi spirò senza resistenza. Un giorno o l’altro la storia della sua gloriosa vita durata ottant’anni sarà narrata nei dettagli come merita. Qui non c’è spazio né tempo per consentirmi più di uno sguardo fugace ad alcune sue fasi.
Essa cominciò in una fattoria di Athol, Mass., il 19 gennaio 1808, e in quella fattoria, appartenente al padre, il giovane Spooner passò la giovinezza e pochi anni della maturità. A venticinque anni, fornito dell’istruzione allora usuale per un ragazzo di campagna, si recò a Worcester, dove ottenne un impiego al registro di Deeds. L’esperienza in quell’ufficio, unitamente ad una natura diligente e metodica, ne fecero un fidato funzionario verificatore di titoli, competenza in cui, comunque, raramente in seguito poté illustrarsi. Abbandonato l’incarico, intraprese la pratica legale nello studio di John Davis, noto membro del foro di Worcester ed in seguito praticò nell’ufficio di Charles Allen, annoverato tra i più rinomati avvocati del Massachusetts. Probabilmente quegli uomini di talento nulla intuirono della grande intelligenza che maturava sotto i loro occhi. Invero, è più probabile che scarse fossero le loro speranze circa il futuro di un giovane cui già i dettagli, i formalismi e le assurdità e verbosità degli ordinamenti parevano una ragnatela da spazzar via per raggiungere una visione più chiara di quel vero e reale che egli definiva come i principi della giustizia naturale, la cui mente aveva cominciato a sollevarsi, oltre il regno delle cavillosità, in quello della filosofia, e che, invece di perfezionarsi nell’arte di salassare clienti, si dedicava a scrivere un primo pamphlet intitolato “ Risposta di un Deista alle Prove Soprannaturali addotte dal Cristianesimo”. Questo ed un successivo scritto, “ L’Immortalità del Deista, con un Saggio sulla Responsabilità dell’Uomo nel proprio Credo “, sono i primi ed acerbi frutti della sua mente, ma testimoniano di sicura indipendenza di giudizio e singolare inclinazione verso un’originalità di pensiero. Anche solo per questo, essi sono preziosi. Il metodo di attaccare la superstizione è stato tanto rivoluzionato dalla teoria dell’evoluzione e dal progresso scientifico che l’argomento utilizzato in quei pamphlets, scritti prima del 1835, sembra antiquato e contraddittorio. Ma il loro autore mai l’oltrepassò. Morì come aveva vissuto, un deista vecchio stampo credente in una vita futura, e totalmente ignaro della grande mole di evidenze e logica che ultimamente ha ridotto le idee di Dio e immortalità a fantasmi tale che gli uomini assennati sono pressoché unanimi nel rifiutare di soffermarvisi a riflettere. Nella sfera della religione e della teologia i suoi discepoli più giovani ed attivi avevano poco in comune con lui oltre la condivisione di un amaro scorno verso il clericalismo e le istituzioni religiose.
Come indice del suo atteggiamento verso i preti e le chiese è appropriato ed interessante il seguente aneddoto. Al tempo in cui la follia “millenarista” era all’apice, e la fine del mondo attesa da un momento all’altro, molti credenti abbandonavano il lavoro e trascuravano il raccolto, in vista dell’imminente catastrofe. Ad Athol ne furono arrestati molti con l’accusa di vagabondaggio, in seguito alla denuncia delle sette più ortodosse. L’accusa si assicurò avvocati dalle città vicine e si preparò a torchiare le vittime che erano non-resistenti, senza avvocati, trascinati in massa davanti alla corte. Spooner era presente e nel momento critico fece rilevare un difetto nell’imputazione che mise in libertà i prigionieri. Gli ortodossi furono parecchio indignati da tale esito ed un ministro disse a Spooner: “ Ma quanto ha ricavato dalla sua condotta in questa causa? “. Al che Spooner replicò:” La soddisfazione “ con tono sarcastico così sottile che probabilmente il ministro non lo gradì “ di far tutto quanto in mio potere per instaurare la religione Cristiana”. Ma lo spirito di ribellione contro l’ingiustizia non si palesò solo in rapporto alla libertà religiosa. Il suo primo atto come avvocato fu di sfidare ed infrangere la legge. In quel tempo gli statuti del Massachusetts richiedevano, come condizione di ammissione alla professione, più anni di praticantato per chi non provenisse dal college. Non curandosi di questa condizione, Spooner aprì uno studio legale a Worcester, e questa mossa audace, rafforzata da argomentazioni da lui stampate e fatte circolare tra i legislatori, affrettò l’abrogazione senza indugi della detestabile normativa. Così fece valere i suoi diritti ad esercitare. Ma la carriera di avvocato non fu di gran rilievo. Le inclinazioni emerse durante gli studi andarono crescendo e, intuendo di esser destinato a compiti più alti, egli mise da parte la giurisprudenza. Dopo una permanenza di sei anni in Ohio durante la quale, in collaborazione con Noah H. Swayne, divenuto poi giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, fece un tentativo infruttuoso di impedire allo State Board of Public Works di drenare il fiume Maumee, allora navigabile, egli ritornò all’est per quella che risultò una delle mosse decisive della sua vita. Tra i mali che affliggevano il paese, in misura anche maggior di adesso, c’erano il monopolio governativo sui servizi postali e le conseguenti elevate tariffe di spedizione. In opposizione a questa oltraggiosa violazione della libertà, Spooner diede avvio alla riforma economica. Considerò che al male si può rimediare con la competizione, e cercò di convincere i cittadini di come il governo non avesse il diritto di monopolizzare il trasporto postale. Ma le sue tesi non ebbero effetto. Così, ripensando al successo ottenuto sfidando la legge nel momento in cui chiedeva l’ammissione nell’avvocatura, decise di contestarla nuovamente. Di conseguenza, nel 1844, avviò un servizio postale privato tra Boston e New York, presto esteso a Philadelphia e Baltimore, tassando soltanto cinque centesimi una lettera tra ognuna di queste destinazioni – una cifra sensibilmente inferiore a quella richiesta dal governo. L’impresa riportò un successo immediato e crescente. Ma poiché ogni trasporto di lettera costituiva un’infrazione distinta, il governo fu in grado di coprirlo di accuse e schiacciarlo in pochi mesi sommergendolo di spese legali. Il suo scopo era di portare un caso davanti alla Corte Suprema, ma i funzionari erano troppo scaltri per fargli far questo. Altri, che ne avevano seguito l’esempio, furono trattati similmente. Ciò nonostante l’affare aveva creato un certo trambusto e Spooner aveva ottenuto tanti riconoscimenti da uomini del congresso circa la superiorità del suo sistema da far sì che l’anno seguente il sentire popolare costringesse ad una notevole riduzione delle tasse governative sulle spedizioni. Che Spooner procurasse con la sua decisa iniziativa gran beneficio ai propri simili nessuno può negarlo, e certo gli spetta il titolo di “padre delle spedizioni a basso costo”. Ma non era questa la vittoria cui mirava; non era la vittoria su cui riposare. Ciò cui Spooner tirava colpi era il monopolio, e questo permane ancora oggi, più stabile e radicato che mai, favorendo una quantità di danni cui la competizione potrebbe subito rimediare. La gente è stata dissuasa dal chiederne l’abolizione grazie alle ripetute riduzioni concesse come altrettanti bocconi. Quando un quotidiano propose perciò pochi giorni fa – con buone intenzioni, senza dubbio – che il profilo di Spooner fosse apposto su di un nuovo francobollo, in effetti insultò Spooner. Egli sostenne fino alla morte – e la maggioranza dei corrieri concorda – che c’è un profitto nel trasportare lettere per tutti gli States ad un centesimo l’una, e che solo il monopolio governativo in quest’affare impedisce alla gente di godere quel vantaggio. Se c’è qualcosa, allora, in grado di farlo rivoltare nella tomba, è proprio la consapevolezza del fatto che la sua immagine possa essere usata in modo da glorificare congiuntamente lui stesso e il monopolio che si sforzò di distruggere.
Spooner deve gran parte della reputazione di pubblicista ad un pamphlet che, a dispetto della grande abilità, non è sicuramente il suo lavoro più importante. “L’incostituzionalità della schiavitù” lo rese subito importante nel conflitto abolizionista e per qualche anno la sua fama fu notevole. Garrison ed i suoi seguaci avevano agito in base alla teoria che la Costituzione fosse un documento pro-schiavitù e che dovesse essere calpestata. Perciò quando Spooner si fece avanti con un argomento legale tanto solido da mostrare che la schiavitù era incostituzionale, destò naturalmente molta attenzione. QQQQQuelli che erano a favore dell’abolizione con metodi politici – tra cui Garrit Smith ed Elizur Wright – sostennero vivamente la tesi, ed il libro divenne il trattato del Partito della Libertà. Wendell Phillips fece del suo meglio per rispondergli, ma come logico Phillips stava a Spooner come un pigmeo ad un gigante. La lotta infuriò fin quando gli eventi spinsero la contesa anti-schiavista a volgersi verso un altro sbocco, e la palma della vittoria non è mai stata assegnata. Si dovrebbe tenere a mente che era semplicemente un problema di interpretazioni; l’autorità della Costituzione in quanto tale non era in discussione; se questo fosse stato il caso, l’opposizione di Spooner ad essa sarebbe stata più radicale di quella di Garrison. Oltre a questo libello Spooner ne scrisse altri due connessi alle dispute anti-schiavitù – “Una difesa degli schiavi fuggiaschi” ed un “Appello ai Costituzionalisti Liberi ”.
Spooner era un leale patrocinatore del sistema delle giurie come miglior metodo per amministrare giustizia – non il sistema delle giurie odierno, ma quello originariamente salvaguardato dalla Magna Carta. A tal proposito scrisse un ampio lavoro dal titolo “Trial by Jury” in cui sosteneva che nessuno dovrebbe essere punito per un’infrazione se non mediante verdetto e sentenza unanimi di dodici uomini scelti a sorte tra i cittadini chiamati a giudicare non solo i fatti ma la legge, l’imparzialità della legge, e la misura della pena, e che la graduale intromissione di giudici nelle prerogative delle giurie aveva reso queste praticamente senza valore nell’organizzazione della giustizia. Buona parte di quanto sosteneva in quel volume è già prevalso in Illinois ed in altri Stati. Il libro si chiudeva con il rifiuto della tassazione obbligatoria.
Di tutti i libelli che scrisse, quello che ottenne maggior circolazione apparve in forma anonima col titolo “Rivoluzione”. In esso egli trattava la questione irlandese della terra col suo stile vigoroso, esponendo il proprio pensiero in forma di lettera al Conte di Dunraven. Sottomise il manoscritto ad un notabile irlandese di Boston che ne fu tanto soddisfatto da consultare altri irlandesi a New York, e come risultato ne venne stampata un’edizione di centomila copie. Ne fu inviata una copia ad ogni membro dell’aristocrazia inglese, della Camera dei Comuni, e ad ogni funzionario di qualche importanza dell’impero britannico, ed il resto dell’edizione fu distribuita nelle democratiche città di Canada e Inghilterra ad eccezione di poche migliaia che furono inviate in Irlanda. Era intenzione degli irlandesi all’origine di tutto questo di continuare tale propaganda, e Spooner s’impegnò a scrivere una serie di pamphlets a tale scopo, ma qualcosa interferì impedendo l’esecuzione del progetto. Ricordo di aver letto il secondo della serie in manoscritto, ma credo che non venne mai stampato.
Altri suoi lavori restano in simile stato d’incompiutezza. Mancandogli i mezzi per pubblicare un trattato tutto in una volta, avrebbe frequentemente stampato in maniera separata il primo capitolo titolandolo “Parte Prima”. Quindi, prima di aver il tempo ed i soldi per scriverne e stamparne un secondo capitolo, qualche nuova materia avrebbe assorbito la sua attenzione ed il vecchio lavoro sarebbe rimasto incompiuto.
Molti suoi scritti furono prima stampati su giornali e riviste, spesso a puntate. Sulla “Radical Review” apparvero per la prima volta “Our Financiers. Their ignorance, usurpations, and Frauds”, “The Law of Prices: A Demonstration of the Necessity for an Indefinite Increase of Money” e “Gold and Silver as Standards of Value”. Su “New Age”, il settimanale edito da J.M.L. Babcock una dozzina d’anni orsono, apparvero What is Dollar ? e la serie incompleta di Financial Impostors. E su “Liberty”, come i lettori ricorderanno, fu pubblicato l’ultimo importante lavoro, la Letter to Grover Cleveland, oltre alla Letter to Thomas F. Bayard e alla sua magistrale argomentazione contro il suffragio femminile, ripreso da “New Age”. Posso inoltre adesso rivelare che molti dei migliori editoriali apparsi in queste colonne erano scritti da Lysander Spooner. Era lui l’autore degli editoriali firmati “O”, stampati nell’ultimo anno e di altri comparsi in precedenti numeri (…) A volte scrisse parti di lavori firmati da altri nomi. Ad esempio, la lunga discussione contro la proibizione intitolata I vizi non sono crimini, incorporata nel libro di Dio Lewis sul problema della temperanza, era opera di Spooner, e lo stesso dicasi per una parte dell’articolo di George W. Searle su Chief Justice Tancy edita nel “National Quarterly Review” di aprile 1865. Tra i titoli di scritti che non ho ancora citato in questo rapido schizzo ricordo: “Poverty:its Illegal causes and legal Cure”, “A New System of Paper Currency”, “No Treason: The Constitution of No Authority”, “The Law of Intellectual Property” ( certo l’unico lavoro debole mai uscito dalla penna di Spooner )…
Porterei acqua al mare se riesponessi qui gli insegnamenti di Spooner. Comunque egli si chiamasse o rifiutasse di designarsi, era in pratica un Anarchico. Le sue inclinazioni furono fin da principio anarchiche e, sebbene si adoperasse nei primi anni ad attaccare certe fasi del governo, in seguito egli sostenne la necessità di puntare le sue armi contro lo stesso principio di governo. Distruggere la tirannide, completamente, era il maggior obiettivo della sua vita. Era del tutto d’accordo con gli insegnamenti centrali di questa pubblicazione – che non vi è nulla di più importante della libertà, e che qui ed ora non c’è libertà tanto necessaria quanto la libertà di emettere moneta. E come difendeva tali dottrine ! Nessuno tra noi può scrivere con la sua forza argomentativa. La sua maggior qualità sta nel potere di analisi acute e discriminanti. Era un maestro di logica deduttiva. La sua era quel che solitamente chiamava una mente aderente alla legge, l’unico ordine mentale per cui mostrava apprezzamento. Una delle peculiari debolezze di questo grand’uomo era che, a dispetto della gratificante scoperta di un nuovo credente nelle sue teorie, aveva poca simpatia intellettuale per quelli che vi giungevano attraverso processi distinti dal suo. Fallì completamente nel riconoscere la sostanziale identità degli insegnamenti politici di Herbert Spencer con i suoi semplicemente perché Spencer raggiunge le proprie conclusioni con metodi del tutto diversi. Le chiare induzioni di quel filosofo non gli fecero alcuna impressione. “Non è un giurista” avrebbe detto. La sua predilezione andava al buon conoscitore di leggi. Su questi soprattutto contava per la rigenerazione del mondo.
Il suo temperamento colmo di fiducia mai venne meno, ed era sempre certo che il prossimo libello avrebbe conquistato i giuristi e, attraverso loro, il mondo. Era divertente ascoltarne i commenti sugli uomini. Pensava che John Stuart Mill fosse parecchio sopravvalutato nel suo dire cose indiscusse in maniera tanto solenne. Il suo disprezzo per Charles Sumner faticava a trovar parole e, quando l’incontrò, rifiutò di stringere la mano a quell’opportunista di Henry Wilson. Wendell Phillips era un cuor nobile che non sapeva pensare, e Gesù Cristo era un ambizioso di fresca notorietà desideroso d’essere il Re degli Ebrei, e che, in vista di tal fine, tenne il Sermone della Montagna come un comizio all’aria aperta.
Sono al termine dello spazio concessomi, e non ho detto metà di quel che avevo in mente. Sarebbe agevole riempire questo numero di “Liberty” con aneddoti e reminiscenze concernenti il suo delizioso carattere, con un panegirico sulle sue insuperabili doti e virtù, con una critica dei suoi limiti. Ma non devo farlo, non ne ho bisogno. Il suo lavoro non parla per lui meglio di me ? Sta a noi lettori continuare il lavoro cominciato. E non gli avremo reso pieno riconoscimento se di noi non si dirà, quando a nostra volta deporremo le armi, che combattemmo una lotta valorosa quanto la sua avendo la stessa fede.
Termini dunque qui questo povero tributo…
Benjamin R. Tucker
Boston,
Mass.