Guido Araldo

I Templari nella Liguria di Ponente


Osiglia

Che il controllo delle strade fosse un interesse prioritario dei Templari si evince nella località di Osiglia. Questo piccolo paese deriva il suo nome da “auxilia”, per la protezione offerta a mercanti, viandanti e pellegrini in procinto di superare il Colle del Melogno o il Pian dei Corsi, per poi scendere al mare nel Finalese. Un’altra dipendenza templare è stata individuata anche al Colle di San Giacomo, che unisce Mallare al Finalese e che tradisce nel nome una stazione di sosta iacopea.

Bianca Capone, ricercatrice e storica, autrice del libro “i Templari in Italia”, scrive testualmente : “Ad Osiglia, sulla strada in curva, si affaccia una lunga e massiccia costruzione che, malgrado i restauri e gli ammodernamenti, non ha perso le antiche caratteristiche di complesso fortificato. In analoga posizione si trova Masone, sotto il passo del Turchino, alle spalle di Genova, il cui nome lo identifica come antica mansione…”

Sulla presenza templare a Osiglia è stato recentemente pubblicato un libro che non riguarda l’antico centro abitato, ma la sottostante frazione Ronchi dove sorgeva una chiesa consacrata a San Giacomo (la magione di San Giacomo dei Ronchi). In questo luogo recenti ricerche hanno messo in luce una mansione templare con annessa foresteria.Ne consegue che l’esatta posizione del ricetto di proprietà dei Cavalieri del Tempio resta oggetto di dibattito: se in località Ronchi o nel centro dell’abitato di Osiglia. A mio parere si tratta palesemente della “Rosa” e della “Spina”: secondo il più classico dualismo templare. La casa fortificata in un centro abitato o nelle sue immediate vicinanze e la commenda, solitamente vasta proprietà agricola, “la Spina” per l’appunto, a una certa distanza, in questo caso corrispondente a una vasta proprietà boschiva, dove si potevano pascolare grossi branchi di maiali. E’ indubbio, ad ogni modo, che ad Auxilia fosse presente un’importante commenda templare.

In un documento del 1267 il precettore della mansione (praeceptor domus Templi de Oxilia), frate Manfredo da Villanova, lamentava le inadempienze del vescovo Lanfranco di Albenga, dal momento che non corrispondeva i fitti e i censi dovuti all’utilizzo di beni di proprietà templare situati nella fertile pianura ingauna. In questa disputa intervenne addirittura il templare Bianco, luogotenente generale dei Templari in Lombardia e precettore a Piacenza. Alcuni labili indizi lasciano supporre che la “magione di Auxilia” sia stata abbandonata dai Templari prima della distruzione dell’Ordine, poiché nel 1283 fra Giacomo da Montaldo, precettore degli Ospedalieri di Savona, concedeva in fitto alcuni beni posseduti dai Templari di Osiglia. Molti anni dopo, nel 1573, la magione templare di San Giacomo di Osiglia, passata definitivamente in proprietà agli Ospedalieri, risultava costituita da “Una chiesa campestre, mezza coperta di coppe e mezza di paglia, priva di calice e di ogni altro oggetto atto a celebrazioni liturgiche. Accanto alla chiesa vi sono due case con le stalle per il bestiame…”

Finale

Al di là del Colle di San Giacomo, in direzione di Finale, lungo la strada “Berretta”, riadattamento di un’antica via romana, si trova il toponimo “casa della Magione”, che lascia supporre una presenza templare a protezione di quell’importante via di comunicazione tra il Finalese e la Val Bormida. A Finalpia è documentata (Archivio Diocesi di Savona) la presenza di una chiesa ospedale di probabile origine templare che in seguito divenne monastero degli Olivetani nell’anno 1447. Questo ospedale era di proprietà dei cavalieri Templari per un motivo peculiare: Varigotti, Finale, Noli e Savona erano gli sbocchi tradizionali delle vie marenche, prima fra tutte la Magistra Langarum, che univano le Langhe e il Monferrato alla Riviera, utilizzati durante le crociate come porti d’imbarco.

Il porto di Varigotti, considerato tra i più sicuri di tutto il Ponente Ligure, fu abbandonato dopo che i Genovesi lo interrarono al termine della “prima guerra con il Finale” (anno 1341). Nel XVIII secolo, quando i Finalesi si diedero alla Spagna per non finire sotto le grinfie dei Genovesi, millenari avversari, il re di Spagna progettò personalmente di ripristinarlo. Non a caso l’approdo di Varigotti fu a lungo considerato il porto più sicuro verso le Fiandre, dopo che il Canale della Manica e il Mare del Nord erano diventati inaccessibili alla flotta spagnola in seguito alla sconfitta dell’Invincibile Armata. Qui sbarcavano le truppe del re di Spagna inviate a reprimere la ribellione nelle Fiandre e in Olanda; percorrevano la “via della Regina” che attraversava i feudi imperiali della Val Bormida di Spigno, evitando i possedimenti sabaudi quanto quelli della Repubblica di Genova. Ad Alessandria entravano nel Ducato di Milano, possedimento spagnolo. Da qui due vie puntavano verso settentrione: quella della Valtellina, che proseguiva per la Valle del Reno; e quella del Vallese, che si collegava ai possedimenti imperiali spagnoli della Franca Contea e della Lorena…

Albenga

La ricercatrice Bianca Capone annota che tra le più importanti precettorie liguri spicca quella di Albenga, dedicata a San Calogero: tribuno romano decollato in prossimità della città nel luogo detto Calende. In questa località, di non facile identificazione, sorgeva un’antica chiesetta consacrata a San Calozero de Pratis o de Campora, che divenne sede di una mansione templare. Sulla presenza templare in Albenga l’avvocato Paolo Accame pubblicò 17 documenti inediti di cui, il più antico, risale al 1143. In quell’atto una certa Lombarda, figlia di Oddone da Legeno, dichiara di ricevere dal templare Oberto 14 Lire Genovesi per la vendita della metà di un manso situato nella piana di Albenga, prossimo “ab pontilo prope ecclesiam beati Calozeri de Campora” (il ponticello vicino alla chiesa del beato Calozero de Campora). Da questo manoscritto si desume che la mansione templare di Albenga, collocata in prossimità del mare, apparteneva ai Templari già nel 1143 e, quindi, figura indubbiamente tra le più antiche in Italia.

Un manoscritto del 1167 riporta l’atto di donazione dei coniugi Giusta e Ribaldo Marabutti a frater Bonifacius, templare responsabile della mansione di San Calozero. Quest’atto riveste un peculiare interesse, giacché risulta che messer Ribaldo aveva fatto voto di entrare nell’Ordine del Tempio qualora fosse rimasto vedovo. Cosa che effettivamente accadde, alla morte della moglie Giusta. Un altro documento, di poco successivo, documenta la donazione di un prato al cavaliere Robaldo de Templo da parte di una certa Caita.

Gli atti pubblicati dall’avvocato Paolo Accame documentano un lungo contenzioso tra il clero ordinario, con in testa il vescovo, e i Templari. Riguarda la lite tra il precettore templare della Lombardia e il vescovo Oberto di Albenga: una contesa che si protrasse trent’anni. Riguardava la vendita alla diocesi di Albenga di alcuni beni situati nel Ponente Ligure, incluso un immobile in località Zerbulio, “ultra Vigintimilium civitatem” (al di là della città di Ventimiglia), e un campo in prossimità del Castello di Teico (Pieve di Teco). Nella controversia, poiché il vescovo si rifiutava di pagare quanto concordato con il De Gannand, precettore templare della Lombardia, fu coinvolto papa Onorio III che, a sua volta, demandò la sentenza a un collegio arbitrale formato dai vescovi di Tortona e Savona, e all’abate di Santo Stefano a Genova. A questo punto il collegio arbitrale condannò il vescovo Oberto a corrispondere ai Templari 100 Lire Genovesi, così ripartite: metà alle calende di Gennaio e metà all’ottava di Pasqua, più 16 soldi di censo annuo da corrispondersi all’ottava di San Martino.

Imperia

La presenza dei Templari a Imperia è invece documentata da un evento drammatico allorché la città fu devastata da un violento terremoto e la popolazione fu soccorsa dai cavalieri del Tempio che avevano una “domus” in loco.

Nizza

L’antica Nicea, all’epoca capitale di un’importante contea, fu tra le prime città che ospitarono mansioni templari. Nell’anno 1135 il vescovo Pietro si prodigò in diverse donazioni ai Templari, sette anni dopo che il concilio di Troyes, voluto da san Bernardo di Chiaravalle, aveva istituito l’Ordine della “Militia Templi”. Il secolo successivo, il “Duecento”, fu caratterizzato in tutta Europa da una diffusa conflittualità tra le autorità ecclesiastiche, vescovi, canonici e pievani, e gli ordini cavallereschi, soprattutto i Templari che vantavano notevole autonomia, poiché dipendevano direttamente dal papa. Un documento del 1274 accenna a divergenze tra i Templari presenti in città e il vescovo di Nizza, per le immunità ecclesiastiche che vantavano i “monaci guerrieri”. In quell’occasione Bonifacio, vescovo di Digne e difensore dei Templari per conto della Santa Sede, scrisse all’abate di San Ponzio, monastero in prossimità di Nizza, affinché invitasse il vescovo a comparire di fronte a lui per giustificarsi. Le immunità dei Templari andavano rispettate! Un altro documento di poco successivo, datato 1284, accenna a un certo Giordano de Cereys, che all’epoca era precettore del Tempio nella Contea di Nizza, dettaglio che lascia trasparire un’indubbia presenza templare in quella contea.

Il Colle delle Finestre

Anche il Colle delle Finestre, un valico assai faticoso per la quota di 2.471 m., ma alquanto frequentato in epoche remote poiché alternativo al Colle della Cornia (Tenda), era sotto controllo dei Templari giacché immetteva in Val Vesubya, salendo da Borgo San Dalmazzo e dalla borgata di San Giacomo (nome non casuale). Quel colle era, infatti, frequentato nel periodo estivo, poiché la Val Vesubya è più agevole della Val Roya e immette a Nizza. Fu reso inutilizzabile dai genieri sabaudi nel XVII secolo, quando a Nizza Marittima (l’attuale Nice), si manifestarono i primi casi della peste di manzoniana memoria. E poiché in tutto il Piemonte si temeva il contagio, anche il Passo del Duca in Alta Val Pesio fu minato. A Torino si era deciso di privilegiare esclusivamente il Colle di Tenda. Già in epoca romana in prossimità del Colle delle Finestre, a metri 1905 di quota, sorgeva un tempio dedicato a Giove, protettore dei passi montani (il Colle dei Giovi alle spalle di Genova e il Colle dei Giovetti sopra Massimino attestano la tradizione pagana). Un tempio simile a un rifugio montano, che serviva da provvidenziale riparo per mercanti e viandanti. Ricerche recenti hanno evidenziato fondamenta romane, se non più antiche, confermando inequivocabilmente la presenza di una strada che percorreva il Colle in epoche antichissime. Pare che il primo santuario mariano, al posto del tempio pagano, sia stato edificato dai monaci benedettini di San Dalmazzo al Borgo: lo avevano dotato di una preziosa foresteria per tutti coloro che si avventuravano sulle Alpi Marittime. Una tradizione vuole che all’inizio del X secolo il santuario e la foresteria fossero distrutti dai Saraceni. Vi potevano mancare i Templari?

Tra i loro compiti, infatti, primeggiava l’assistenza ai pellegrini. Non a caso i Cavalieri del Tempio assicuravano il controllo di passi montani, porti, ponti e punti nevralgici lungo le strade dei pellegrinaggi. La studiosa Bianca Capone riferisce che nel tardo autunno dell’anno 1307, dopo l’arresto del Gran Maestro a Parigi, nel santuario - rifugio del Colle delle Finestre furono sorpresi i Cavalieri del Tempio che vi avevano cercato un precario rifugio in fuga da Nizza e vi furono massacrati senza pietà. Dopo l’eccidio, quel prezioso santuario montano passò sotto la gestione di un dignitario del capitolo della Cattedrale di Nizza.

Tratto da I Templari e il filo segreto di Hiram - vento largo