Tratti, e accostati per vicinanza tematica, dalle Lettres Familières del 1904, seguono (per quanto li possa rendere in italiano la pur ottima traduzione del nostro Jean Montalbano) tre esempi della lingua ricchissima e provocatoria che, insieme alla notorietà, avrebbe portato anche in prigione il suo autore nella Parigi di fine ottocento. I surrealisti, con l’erudizione in meno e l’asciutta consequenzialità in più, se ne sarebbero ricordati in alcuni tracts pur se, nell’invettiva, mancò loro quella minaccia dei fatti che, accompagnando la verve pamphlettistica di Tailhade (1854-1919), ne rendeva retoricamente efficace e pericolosamente persuasiva la propaganda anticlericale ed antimilitarista. L’invito, spesso equivocato, a sparare casualmente sui passanti ne fu forse l’estremo, impotente e disperato, esito.

Laurent Tailhade

tre lettere familiari

AL PARACLETO

UCCELLO DI PARADISO

23 luglio 1903

      Ancorché il discorso alla terza persona giunga molto a proposito nel rivolgersi a voi, vogliate gradire, Terza Persona di Dio, fecondatore di vergini, che qui s’impieghino formule meno pregne di domesticità. Del resto, i cattolici, vostri fedeli, hanno da molto ridotto al minimo necessario il culto con cui vi onorano. Il “puro concetto” che voi rappresentate non pare commisurato al loro intendere. Essi vi offrono, non senza economia, una volta l’anno, il giorno di Pentecoste; dopo di che vi ricoverano nel profondo della sacrestia, con i baldacchini fuori uso, i paramenti pidocchiosi e i cibori coperti di verderame. Non coprite le spese. La gente devota s’attiene alla freddezza rispettosa e non caccia fuori grandi somme, quando siete voi a tendere la mano.

      Intelligenza del Padre, Saggezza del Figlio, Minerva cristiana, cosa potrebbero afferrare delle vostre manifestazioni teologiche (permettetemi di non qualificarle punto d’ipostasi) i semplici bigotti inginocchiati davanti a Mme Pailhasson o alla carne sanguinante di Paray-le-Monial ? Domandare a Monsieur Nisard, ambasciatore presso la Santa Sede, a Loubet, principe cristiano e figlio primogenito della Chiesa, di comprendere una minima cosa  nelle divagazioni neoplatoniche, è come cercare di raccogliere pere sull’olmo. Comunemente non è tra i presidenti, i re ed altri mammiferi più o meno coronati, che l’istruzione brilla di vivo fulgore. Perché, malgrado la  devozione nota e la sua deferenza ai voleri vescovili, il vegliardo amico dei nunzi avrebbe sulle origini del cristianesimo la più vaga indicazione ?

      La contessa di Escarbagnas scambiava Marziale per un venditore di guanti. A Nicola II, poco ferrato nel politeismo ellenico oltre che nell’arte decorativa del “grand siècle”, il quale chiedeva chi fosse Latona, davanti alle vasche di Versailles: “Latona, è un nome”, affermò il padre di Lucia, visibilmente felice di essere istruito al riguardo.

      Loubet forse indovinerebbe senza troppo sforzo che Giamblico è un nome ed ugualmente Plotino. Ma non domandategli di sapere come siete nato dalle cogitazioni barocche in cui si compiacque la scuola d’Alessandria. Per i dottori “ronzanti sulla chimera nel vuoto” voi foste il Nous, lo Spiritus, lo Spirito che dà la vita, la respirazione e la coscienza dell’Essere, l’Intelligenza divina in movimento o qualunque altra frottola di eguale chiarezza. Ma andate a far capire quei discorsi ai lettori della Croix !

      Era tuttavia malagevole escludervi dall’eterna triade, ancorché lo spirito non sia ben visto dalla Chiesa e che voi puzziate un poco d’eresia, malgrado la vostra quota parte di divinità. Lo spirito ! ma è l’antagonista del prete, dei dogmi e del casuista ! Dunque, importava dipingervi sotto forme adeguate alla mentalità dei vostri adoratori.

      Per questo l’ortodossia s’è premurata di raffigurarvi come colombo calzato, cosa che non ha niente di troppo intellettuale e che, in più, offre il vantaggio di fornire un certo numero d’immagini piamente anacreontiche. I seminaristi, scaltriti dal Manuale (ah ! che manuale !) dei confessori, immaginano voluttuosamente la colomba del Santo Graal, il colombaccio celeste che copre con le ali tese il sesso di Maria, come Leda stretta dal cigno, mentre accoglie da un uccello celeste la divina semenza. Le vostre rappresentazioni liturgiche provengono dal cortile e non dai dialoghi di Platone. Voi avete, grazie ad esse, una zampa nella metafisica e l’altra nel becchime. Né i concili né i Padri vietano la doppia venerazione che in tal modo ispirate. Libere le persone pie di adorarvi tanto in guazzetto che sull’altare.

      Emanazione del Verbo, emanazione della cucina, voi avete di che dilettare i più infervorati e i più gastronomi, secondo che vi si arrangi come Dio  o come pietanza; voi divenite commestibile al modo di Gesù, vostro collega in Trinità: Spirito Santo, discendi in noi !

      Avendo il vostro vicario di quaggiù, il vecchio Pecci, esalato ciò che i “filosofi spiritualisti” e i minus habentes di tutte le confessioni religiose chiamano stupidamente la propria anima (dimenticando che questa parola non significa altro che “soffio o respiro”, come il vostro stesso nome) che lo distingue così dal tangibile e quotidiano individuo, questa congiuntura deve rendere ben penosa la vostra situazione nella convivenza a tre in cui interpretate l’intelletto. Siete voi, nevvero ? Spirito luminoso, che con la bocca comunemente sdentata del “Sovrano Pontefice” annunciate alla terra le verità essenziali che a quanto pare gli altri pianeti e gli arcipelaghi senza numero delle costellazioni debbono accettare, in tal sorta che i pidocchi di Benedetto Labre sono venerabili nell’Alpha del Cane minore, e la transustanziazione, articolo di fede per i seleniti, i marziani, per i borghesi di Sirio e gli indigeni di Aldebaran.

      Finché il papa occupa un trono sublunare, l’Universo sa chi rivolgersi quando gli prenda smania di conoscere le “verità essenziali”. L’infallibilità si trova dal Santo Padre, come i vestiti da Paquin e i dolciumi da Boissier. Pagando bene si può baciare la pantofola dell’Oracolo, intascare la sua benedizione, o indulgenze il cui unico difetto è di non guarire il mal di denti o i calli ai piedi. Questo è chiaro, facile da capire, anche per Millevoye, Coppée e Déroulède.

      Ma una volta morto il papa, finché dura il novemdium in uso già tra i becchini di Petronio, e poi quando i cardinali, mettendo allo scoperto le loro anime di avvelenatori, si accapigliano con quella ferocia che non è l’ultima prerogativa della Chiesa, quando gli abati Tigrane, di ogni rango e nazione, simili a cani allupati per fame, si sbranano nel circo del Conclave, Spirito Santo, che ne è dell’Infallibilità ?

      Non è un oggetto da lasciare in deposito nei forzieri di una banca o dal gioielliere della bella Otero. Coppée, avendo messo tra le mani dell’Altissimo la sua fistola posteriore, salirà alla Gerusalemme celeste per veder glorificata quella fistola dal coro degli angeli e dei santi.

      Ma l’Infallibilità, mia Terza Persona Divina ? L’Infallibilità, voi non potreste, nell’interregno, riporla in guardaroba, né affidarla agli Assunzionisti, che ve la scroccherebbero per riportare clienti ad Antonio da Padova, il quale si sdora a vista d’occhio. E nemmeno prestatela a Barrès, che l’impiegherebbe per raggiungere Syveton tra i grandi servitori della Patria francese.

      No, date retta a me, affidate quell’inestimabile gioiello, quell’Infallibilità vacante, al Grande Difensore del Papato, al Signore dei cattolici, al nobile Arthur Meyer, che una simile prova di fiducia rimetterà in piedi, nonostante il dolore in cui l’immerge la morte di Leone XIII.

      Egli discende dalla stessa razza del Padre, vostro capofila; inoltre, la distinzione delle sue maniere gli permette di dare allo Spirito Santo lezioni di comportamento. Grazie a lui avrete foerse la gloria di fornire agli Oreglia, ai Vannutelli e agli altri sciacalli, ispirazioni scritte nel medesimo stile che formulò una volta, in Bianca d’Antigny, dopo molte notti felici, le parole immortali del Dare e Avere.

 

§

 

AL BRAV’ UOMO SARTO

VICE-DIO

13 agosto 1903

     Con aurea papalina, vestito di bianco, carico di pietre preziose come la bella Otero, “flabellato” con piume di struzzo come il sultano Mizapuf, calzato di scarpette lustrate dai baci dei fedeli, voi incarnate, da una settimana, l’Infallibilità della Chiesa, del Padre, del Figlio e dello Spirito, senza aver fatto, per questo, altro sforzo che installarvi su di una seggetta.

I turiferari della stampa cattolica, i giudei ben pensanti, i monaci, gli ignorantini dissoluti, i pretonzoli si rimpallano le vostre lodi. “Il popolo ha talvolta il suo papa o il suo cesare” ed eccovi rinomato come pontefice del popolo, tra i socialisti cristiani, negli istituti del Buon pastore, nei patronati dell’abate Santol.

     La cosa deriva dal fatto che decifrate con fatica la lettera stampata e che la vostra educazione non supera di molto la cultura dell’ultimo dei villani. Uscito dalla trattoria per entrare nel “papalista”, voi conservate il sapore paesano. L’ignoranza di cui vi ornate fa presagire ai fedeli un’epoca deliziosa d’abbrutimento e di infami superstizioni. Voi siete pio come il cardinale Richard il quale una volta passava per essere, con voi, il più inetto dei porporati, il cardinale Richard che domandava, a proposito della marcia del Lohengrin: “Questo Vagnié, non è uno dei nostri organisti, un uomo di Dio ?”

     Voi siete pio e ghiotto; è il ruolo che s’addice al curato di campagna. Il vostro gusto per il vino Marsala edifica ampiamente l’intelletto delle vostre pecorelle. È lecito supporre che al Vaticano non mancherà mai il prezioso liquido. I vignaioli che credono all’influsso della Trinità sulla fillossera non mancheranno di captare i favori del dio che fa il sole per le messi e le cimici per Benedetto Labre, umettando il suo vice-dio.

     La vostra elevazione al papato sembra, a prima vista, non aver altra causa che la profonda inintelligenza di cui siete ornato. Gli Oreglia, i Gotti, i Vannutelli, per mettersi d’accordo, hanno scelto il confratello più balordo.

     È così, d’altronde, che tutti gli elettori dei sovrani hanno costume di procedere. L’ambizione trova il proprio tornaconto nel portare sugli scudi un idiota incontestabile. E l’invidia ne trae un qualche sollievo. I vari zucconi che regnano e non governano, nella terza Repubblica, i Félix Faure, i Carnot, i Loubet, forniscono un luminoso esempio di questa verità.

     Eccovi perciò installato sulla “Cattedra di Pietro”, se vogliamo imitare lo stile di Boyer d’Agen, a benedire urbi et orbi, a promulgare dogmi, scomunicare, assolvere, a farvi baciare l’alluce, mentre gli eunuchi della Sistina cantano a capella mottetti di Pergolesi, di Vittoria o di Nani. Parlerete nelle encicliche generalmente oziose, parlerete alle nazioni nel latino di cui non capite un’acca; “poiché, disse Joseph de Maistre, se il popolino non capisce le parole, è meglio. Il rispetto ne guadagna e l’intelligenza non ci perde nulla !”.

     Sarete gioviale: dell’Europa, della civiltà moderna, del pensiero e dell’affrancamento degli uomini, conoscerete solo i fatti graditi al vostro camerlengo, ai vostri segretari di Stato, ai facchini del ponte Sant’Angelo.

     L’imperatore d’Austria non ha accolto Rampolla come rivoluzionario. Questo pericolo qualcosa rappresenta, pare, nei dintorni del bel Danubio blu. In compenso, Umberto non poteva non temere il compare di Delcassé, ma, stavolta, come reazionario.

     Andate al Quay d’Orsay. Chiedete allo gnomo dell’Ariège, come all’ultimo fattorino, il loro parere sulla questione romana. L’uomo del portafogli e quello del pennino formeranno, in una commossa unanimità, voti appassionati per il ristabilimento del potere temporale, cosa ben lontana dal piacere agli eredi di Vittorio Emanuele.

    Ma, ancora una volta, voi ignorate tali contingenze. Il clero cattolico si compone di uomini istruiti e accorti, che sono perfette canaglie, oltre che di molte persone perbene che sono incurabili idioti. Ora, signore e santissimo padre, voi aveste il pensiero di classificarvi tra le persone dabbene. Dalla vostra parte avrete le devote da scaldapiedi, i pellegrini di Lourdes, quelli che giudicano senza alcun motivo la loro anima spirituale e che preferiscono alle medicine ippocratiche le fontane miracolose per guarire da tutti i loro mali. Le cuciniere mistiche, i mantenuti allevati dai Frati delle Scuole Cristiane, intenti a giaculare orazioni alla madonna affinché guidi nel travaglio le loro “spose”, i gesuiti che badano alla faccende delicate, ai ratti delle eredi, alla captazione dei testamenti, non ebbero mai un più fedele sostegno. Le vostre difficoltà con il Quirinale saranno d’ordine puramente ecclesiastico, dato che il vasto Mondo non esiste rispetto a persone pie come voi.

     Ed è proprio a causa di ciò che voi apparite come il gran papa, il Clemente VII dell’avvenire. È un costume, che presto o tardi si affermerà, il non eleggere più al posto da voi occupato i cittadini di un popolo civilizzato. Il cardinale Gibbons avrà un bel da fare. I cristiani di Chicago, di Baltimora, i credenti del Far-West saranno sempre degli ugonotti più o meno specializzati in tale o tal’ altra usanza, dal momento che il cattolicesimo non può adattarsi ai costumi degli uomini liberi e coltivati.

     Quel che non è riuscito ai Wiseman, ai Manning, ai Newman ed ad altri puseisti non potrebbe essere preteso dai cattolici americani.

     Così dunque, importa scegliere il papa tra i vescovi spagnoli, marocchini, sudamericani, o negri, quegli stessi che decretarono, nel 1869, l’ “infallibilità” del vecchio megalomane Mastai.

     Sì, voi siete il papa del cattolicesimo futuro. Quanti bei giorni ancora per la fede dei Polacchi ! Se gli occidentali abbandonano poco per volta i sacramenti e non sono più attaccati alla religione delle tenebre se non allo scopo di conservare la loro cassaforte; se l’Altissimo, per cui voi e i vostri villani, ordite tante parate e commedie, esercita in Europa le modeste funzioni di guardia campestre o di giudice di pace, voi fondate, a giusto titolo, grandi speranze e immensi progetti sul Zululand, sulla Cafreria, sul Dahomey.

     Il cattolicesimo, religione negra, non può non affascinare i nostri “fratelli inferiori”. Avuto accesso all’acquavite, al mal francese, ai santi usi sodomitici, troveranno tra i missionari i fattori delle loro beatitudine, con l’amore della bassezza ed i metodi più certi d’abruttimento.

     Pio X, mio vecchio tonto, siate il papa dei negri. È il dominio che s’addice giusto al vostro comprendonio, alla mente dei gallonati, delle mondane, del presidente Puget e delle dame di chez Maxim’s.

     Conquistate per l’Appeso giudeo i moretti di tutte le sfumature, dal cioccolato fino al Beau Noir della rue du Jour. Reclamate il dominio di Baldassarre, il re Tinto. Senza dubbio, sarà lusingato di rendervi omaggio e Cassagnac vi farà da ambasciatore.

 

§

 

AL CARDINALE RICHARD

PASTOFORO

 2 agosto 1900

     Voi esercitate, signore, una professione la cui stramberia tocca i più alti fastigi del ridicolo umano. I diversi saltimbanchi, quelli che lavorano alla barriera di Trône e quelli che allentano, a Neuilly, la cintura delle peccatrici curiose di brividi nuovi: esibitori di cani, intrattenitori, barnum di donne-siluro o di foche intelligenti; la tribù dei clowns, degli acrobati, dei baggiani; i tenutari di porcelli ambulanti; i gestori di tombole in cui si può, con molta fortuna, vincere un ricordino, paiono, confrontati a voi, intenti ad un serio e grave impiego. Escluse le ore del banco e del teatrino, abbigliati in maniera modesta, non si distinguono dal volgo che veste dalla Belle-Jardinière e acquista cappelli da Quatre-Huit. Li si confonde con qualunque persona poco provvista di distinzione: Barillier, Gaston Méry, Georges d’Esparbès già Thomas. Solo Drumont e Barrès, custoditi dalla trascendente laidezza che li onora, vivono al sicuro da una tanto riprovevole confusione.

     Voi, signore, una volta finito di partecipare, in cappa, alle devote pasquinate, alle sante ciurmerie, per la cui manutenzione i contribuenti indigenti, proletari della gleba, dell’officina e della fabbrica mantengono la vostra prelatura a forza di banconote, voi attraversate gli incroci, le piazze che conducono al palazzo offertovi dal bilancio dei culti, in una zimarra di tessuto rosso che vi fa somigliare ad un boia da melodramma, quando non ad un bracchiere. Il vostro naso ha subito il contagio degli stracci fiammeggianti. Rutila e s’espande al modo di una rossa patata o di un peperone troppo maturo, di pomodoro vermiglio, o di qualsiasi altro purpureo legume illuminato dal sole al tramonto. La plebe dei “paonazzi istitutori” s’accontenta di un vestito ametista e di una proboscide in tinta melanzana; ma voi, signore, in qualità di Eminenza e di principe ecclesiastico, vi spingete fino al rubino.

Corredo a parte e spogliato dei gingilli, del cardinalizio vestito d’occasione, una volta abbandonati gli ornamenti, i guanti ricamati, il pastorale e la mitra allorché uscite, in mutande, dallo spogliatoio, ritengo che, per quanto ortodosso, il vostro cameriere debba faticare un po’ a ritenervi un grand’uomo. Inferiore al barone di Wormspire, voi benedite male e, riguardo all’eloquenza, voi scrivete –salvo il rispetto dovutovi- come un cane o, se ciò vi offende, con i piedi.

     Ordunque, voi siete a nolo nella terza Repubblica, al solo fine di impartire senza sosta benedizioni e lettere pastorali. La tariffa è vantaggiosa. A parte certe cagne di spie, si faticherebbe a trovare un’industria altrettanto ben stipendiata e che dia meno impiccio. Come quelle signorine, voi assumete frequentemente la postura inginocchiata, ancorché l’età avanzata vi vieti di farne lo stesso uso. Di conseguenza, vi tocca benedire nelle lunghe ore lasciatevi, ogni giorno, dall’elucubrazione delle lettere. Benedite e vaticinate ! È perciò che non possiamo bere un bicchiere di vino o comprare un francobollo senza pagarvi, su queste modeste “consumazioni”, un diritto di prelievo di cui si compiace la vostra rapace umiltà. Perché, simile agli uccelli dell’Isola Sonora, “voi non lavorate, né coltivate la terra, tutta la vostra occupazione essendo godersela, borbottare e cantare”. Ebbene, per un cacatua così vicino al pappagallo supremo, quel vecchio sornione di Pecci, permettete che vi trovi un po’ biascicone, se così posso esprimermi. La vostra retorica difetta di nerbo. Si vede che voi non siete stato abituato a parlare a dei volti e che foste, per lungo tempo, il cappellano insufficientemente priapico di bigotte e baciapile.

     Ai soldati che vanno a farsi bestialmente scannare in Cina per difendere i vostri commessi viaggiatori, quegli schifosi missionari su cui Il giardino dei supplizi rovescia tormenti troppo dolci e cui i buoni mandarini non riuscirebbero a infliggere torture abbastanza lente da castigare i loro crimini imbecilli, ai soldati in partenza per la Cina, voi prodigate esortazioni in una epistola mellifua e vaneggiante. Voi offrite loro le consolazioni del pattugliottismo e della religione, le due oscenità complementari. I poveri cristi se ne vanno laggiù, in quel mondo giallo che, tanto logicamente, rifiuta la turbolenza, la cupidigia occidentale di cui i vostri monaci sono i più nauseabondi rappresentanti. Ma essi avranno, voi dite, la consolazione di portare con sé un cappellano che potrà ungerli di olii santi, quando non crepino per tifo, febbre gialla o vomito negro. Deve, inoltre – siete voi ad attestarlo- dare alla loro famiglia una gran gioia, una sacrosanta consolazione il saperli manipolati nell’ora estrema da un piazzista di sacramenti. “Il purgatorio è il pane dei monaci”, la morte è la razione di tutto il clero. Ben pochi sanno infatti conformarsi al piano del mondo e disprezzare i terrori che voi tutti, cardinali, vescovi, monaci e pretonzoli, sfruttate con profittevole cinismo. Se, dall’infanzia fino all’ultimo giorno, voi insozzate l’esistenza umana col vostro immondo contatto, è per spogliare con più agio, una volta giunta l’ora suprema, il cliente che avete tanto pazientemente “cucinato”.

     Nondimeno, la tirata a favore del cappellano non è il pezzo migliore del vostro banco. Subito ne esce questa perla, come dall’ostrica paterna, con un fulgore senza eguale.

     “La Cina, affermate con devotissimo tono nasale, la stessa Cina comprenderà che non andiamo da nemici, ma come difensori della civiltà”.

     Questo è parlare. Se i misirizzi non crepano di risa sulle loro verdi porcellane, se le grottesche figurine non si rivelano inferiori nella scurrilità, se il drago imperiale non si torce fino a farsi saltare il bronzo dal ventre, è solo perché la gaiezza sarà per sempre fuggita da questo mondo sublunare. La civiltà, signore, la civiltà di Benedetto Labre, di Maria Alacoque e delle prigioni di Montjuich ! La civiltà di Lourdes e dei nazionalisti ! Ernest Hello, Coppée o Léon Bloy, il gonzo arrabbiato che pure le sacrestie, disgustate, vomitano, non avrebbero arrischiato tale santocchieria. Voi solo, gioviale prelato, le contate tanto grosse, sotto l’occhio benevolo dei ministri e del Presidente !

     Questo giustifica pienamente il vestito che portate. Come i vostri colleghi della fiera preferiscono la coda di rondine, voi indossate un abito rosso, e questa sorta di acconciatura si armonizza miracolosamente con l’allegria del vostro stato: “gli apedeuti linostoli” come direbbe il signore di Voltaire, fanno coi pagliacci un gradito visavì.