Eric Stark
Village Sylvia
Leonard Michaels: SYLVIA. Adelphi, 2016
Per i temi e tipi
ricorrenti spesso nelle sue storie, Leonard Michaels
talora veniva, a suo dispetto, confrontato con Philip Roth. Nel 1981 ci fu
anche quel The Men's Club ad alimentare pigre
accuse di misoginia, ma lo sentiamo più affine all'ambiente beat, visto quel
suo vagabondare tra le due coste oceaniche fin dagli anni cinquanta e non solo
per motivi di studi. Due volte in Sylvia (Adelphi 2016, precedente
edizione e/o 1994) appaiono le sagome distratte di Kerouac e Ginsberg, giusto per ricordare da dove venga quel provare
droghe d'ogni tipo (anche il peyotl) ed ingurgitare
bevande (assenzio compreso) comune all'ambiente in cui cresce e matura Michaels: nel suo mondo si fuma, beve e scopa, ma sul
comodino compare Wallace Stevens al posto dei testi tibetani. Un beat con
titoli accademici, dunque, le cui frequentazioni di malavitosi (veri o, se
presunti, debitamente smascherati) risultavano bilanciate da occupazioni nell'
insegnamento che ne calmieravano gli altrove frequenti eccessi mistico-
alcolici. Lui stesso ricordava di preferire, fin dal college, la compagnia di
tipi marginali perché sembravano originali ed aristocratici, ma le persone
istruite (insegnanti, ricercatori, piccoli scrittori) che vedeva di giorno
erano le stesse che, dopo aver cagato sangue e perso i capelli sentendo Krusciov denunciare i misfatti stalinisti, sopravvissute,
in qualche maniera avrebbero poi svolto un ruolo nel discorso pubblico in
America. Tra un corso e l'altro di inglese, poesia romantica o psicologia, tra
indecisioni e ripensamenti, le distrazioni non gli impedivano di ascoltare
Dylan Thomas, Billie Holiday
o il Budapest String Quartet
facendosi attraversare dal fervore della New York pre-kennedyana.
Lì Michaels conobbe agli inizi del successivo
decennio Sylvia Bloch: immersa nel tramonto di una bohème che aveva eletto il Village a capitale, la tempestosa relazione, finita con il
suicidio di lei alla vigilia di un inevitabile divorzio, venne ripensata anni
dopo sulle tracce del diario privato.
Quando un amore è finito,
scrive Michaels, riandare ai brutti momenti fa meno
male del ricordare ciò che si amava. Anche per questo il racconto è fitto di
litigi, urla, distruzione e Lettere22 che volano. Quando l'autore legge in una
vecchia pagina (gennaio 1962) l'annotazione di aver sposato una pazza, noi
l'avevamo già sospettato e tifando per Michaels quasi
gli avevamo suggerito, al di qua del muro di rabbia in cui i due amanti si
erano rinchiusi, di scappare lasciando al suo destino clinico colei che era
“tecnicamente matta”. Ma niente: un confuso impegno di lealtà, uno smisurato
debito di sentimento (e lo sguardo ammonitore dei genitori) impedivano
all'aspirante scrittore l'abbandono della “povera Sylvia” e lo scioglimento di
un patto destinato a mimare un rito sacrificale.
Per frasi brevi, tese e
secche come solo certi rapporti costruiti su una mutua distruzione sanno
essere, Michaels, ricordando un'intimità feroce
cresciuta intorno ai litigi, rende conto dell'origine e consunzione di una
tipica coppia anni sessanta, basata sul “prima si va a letto” e dopo,
tardivamente, ci si osserva per accertarsi con chi si è stati precedentemente.
Ogni discussione innesca la miccia dei malintesi e Sylvia conduce le danze, fa
smorfie, si piega come un'epilettica facendosi venire attacchi isterici fino al
pieno di acredine al culmine del quale chiede di essere adorata. Quando le
difese dell'angoletto in cui rifugiarsi per scrivere o leggere vengono
travolte, si può sempre cedere all'abbraccio distraente
della comunità newyorkese, purchè non si chieda
troppa partecipazione agli amici con cui ci si intrattiene. Allora ci vengono
incontro nomi e luoghi già consegnati ad una piccola mitologia: Mac Dougal Street, il bar San
Remo e il Café Wha?, i
molti club jazz e la poesia della conversazione corrente. E soprattutto i tanti
cinema, anche quelli pidocchiosi in cui ingannare la notte e ripassare la
lezione del cinema classico, abbandonando la solitudine delle strade per il
buio della sala: là, in coppia o soli, come il frequentatore di cinema di Walker Percy, piombati nel
completo anonimato, forse capiterà di incontrare momenti di grazia e occasioni
di redenzione, gratificati anche dal tedio di un Antonioni.
“Fogli di Via”,
marzo-settembre 2017