Svisti dai vicini: Montemont
Albert Montemont Voyage aux Alpes et en Italie, tome second, Paris 1821
Eravamo
già carichi di rimorsi per aver trascurato Venezia; solo Genova poteva
risarcirci. Tutte e due presentano tra loro grandi analogie; l'una e l'altra
occupano un rango distinto negli annali del mondo, ed hanno avuto la stessa
forma di governo, una simile specie di gloria e identiche disgrazie.
L'una e l'altra, situate in riva al mare, sono
dotate di un porto magnifico e di edifici che ne attestano la passata
grandezza. Se, dal profondo dell'Adriatico, Venezia ha imposto nel tempo le sue
leggi all' Oriente, Genova ha esercitato l'identico dominio sul Mediterraneo… (…)
l'una e l'altra città, un tempo libere, sono ancora oggi sotto un giogo straniero
(…) Da qualunque punto si arrivi a Genova, per mare o per terra, si godono dei
bei colpi d'occhio. Ciò che rende mirabile la prospettiva, è il numero di
palazzi, di case di campagna che dominano le alture e che da una certa distanza
sembrano far parte della città stessa. (…) Le case si innalzano fino a sei
piani, ed i raggi del sole non salutano mai il pianoterra. Sotto questo
profilo, Genova è la Cairo d'Italia, poiché al Cairo le strade sono altrettanto
strette, e le case molto alte. (…) A Genova si respira un'aria purissima e vi
si beve dell’acqua eccellente, fornita da un superbo acquedotto lungo circa
quattro leghe. Oltre a diverse fontane monumentali, che ricordano tutte qualche
soggetto mitologico, ogni casa ha, come a Londra, delle condutture che
forniscono sovente ad ogni abitazione l'acqua necessaria. (…)
A
levante c'è il porto franco dove sono sistemati i magazzini dei commercianti.
Occupa da solo quasi un intero quartiere; è delimitato da mura e, in qualche
modo, isolato. È il deposito di tutte le merci straniere che arrivano a Genova
e che riforniscono la Svizzera e la Germania. Bisogna evitare gli spintoni dei
facchini; non si concedono deviazioni, carichi o no. Frantumerebbero, nella
corsa, una montagna di bronzo (…) il passante non resiste ai facchini
bergamaschi di cui Genova formicola, e che corrono, volano, senza che alcun
ostacolo fermi le loro burrasche. Se i nostri facchini parigini sono meno
agili, sono pure meno zotici, e spesso li si vede cedere il passo alle donne
eleganti ed ai tipi distinti della nostra capitale. (…) Il commercio è il dio
dei genovesi e l'industria la loro divinità. Eccellono nel lavorare la seta, i
velluti e la maglieria (…)
I
genovesi sono attenti al denaro; devoti in apparenza e scettici nella realtà.
Anticamente li si accusava di essere portati all'omicidio; gli stiletti, si
diceva, erano le loro armi favorite. Come in altre zone d'Italia, c'erano anche
dei sicari che si occupavano dell'esecuzione, soprattutto quando era ordinata
da un nobile iscritto nel libro d'oro. I nobili disponevano di guardie
personali, chiamate sbirri, che benché incaricate dell'ordine
secondavano le inimicizie dei loro padroni. Questi li impiegavano per compiere
vendette, e le donne e le figlie di quegli sbirri avevano un ruolo nella
dissolutezza dei nobili. Esisteva un pregiudizio favorevole verso quelle uri
genovesi; passavano per essere tutte molto belle. Gli sbirri formavano una
classe a parte ed in qualche modo estranea alle altre classi popolari. Tale
separazione è scomparsa, grazie ai progressi dei lumi. (…) L'abito di gala
delle genovesi è nero. Soprattutto portano un velo detto mezzaro,
che sostituisce il cappello delle francesi, e sotto quel velo appaiono tutte
carine. Hanno un bel colorito, begli occhi, pelle delicata. Non amano i piaceri
chiassosi: terranno meno a uno spettacolo che a un bouquet, poiché il bouquet
svolge per loro un gran ruolo; e il clima genovese è tanto dolce che hanno
fiori tutto l'anno. Il cicisbeo o patito è il loro uomo di
fiducia; ne seconda i piaceri ed ha il ruolo dell'amico di famiglia; la cosa
non impedisce loro di intrecciare altre relazioni all'insaputa del confidente.
Alla fine di un anno di matrimonio, è raro che le donne continuino a vivere con
i mariti che, del resto, danno loro l'esempio (…).