Svisti dai vicini (Valerie de Gasparin Voyage d’une ignorante dans le midi de la France et l'Italie. Paris 1835)

È una singolare città San-Remo; misera, dalle strade sporche, con case tanto alte che, dal basso, si potrebbero (come dal fondo di un pozzo) osservare le stelle in pieno giorno. I seminaristi, quei ragazzi che una dama italiana definiva spiritosamente la speranza della futur'ignoranza , vi formicolano; li si nota, sottratti alle gioie dell'infanzia, con in testa un cappello a tre punte, le gambe imprigionate nei pantaloni stretti, i piedi nelle scarpe a fibbia, la vita stretta in un'aderente redingote, mentre vanno con la gravità di patriarchi, e posano occhi spenti sui bambini che giocano vicino a loro.

La Monaca di Monza mi torna senza posa in mente; non posso pensare senza terrore agli anni della giovinezza che cadranno uno alla volta, con le loro passioni e torture, su quelle teste tonsurate!

Savona, 14 dicembre 1833

Che scomoda macchina da trasporto è il corpo! Quanto più piacevoli sarebbero i viaggi senza di esso! Quante cure puerili, quante azioni idiote richiede, e come sciupa i piaceri che non siano unicamente adattati alle sue volgari inclinazioni!...

Il corpo ha freddo, ha fame, avverte la stanchezza; trema nei passaggi pericolosi, la sera vuole arrivare in un hotel elegante: là riprendere le forze con una cena delicata, stendersi indolentemente su di un letto di piume, dormire; l'indomani, alzarsi tardi, e ogni giorno applicarsi a diminuire le fatiche della strada. Poi, se qualcuna di queste mille comodità gli viene per caso a mancare, esso si vendica sull’animo per le contrarietà subite, interrompendo i piaceri con ridicole lamentele.

Essendo ogni involucro umano sofferente, la riviera di ponente non dovrebbe essere visitata se non da puri spiriti!...- Una notte trascorsa su due sedie, un mantello che fa allo stesso tempo da materasso, lenzuola e coperta, sono motivi di martirio per il corpo; la mente ne fa un tema per cento originali fantasie…- Quattro o cinque pesci fritti nell'olio, in guisa di cena, provocano nel corpo una smorfia tremenda; lo spirito ride di tali delusioni, e le sventure del compagno ravvivano la sua allegria! Torrenti attraversati nell'oscurità, terreni pietrosi, una strada malagevole, fanno disperare, indeboliscono il povero corpo: lo spirito incurante nota appena la sua angoscia.- Eppure, anch'esso ha le sue pene, e le molestie di cinquanta persone che sollecitano una moneta; quella per un fiore colto, questa per la frusta raccattata, la terza per aver allontanato l'asino, la quarta perché leverà una pietra sotto la ruota; questi fastidi l’assillano. Questa sete di guadagno che si manifesta senza veli; questa umiltà da dar la nausea, davanti all'uomo da cui si spera di ricevere qualche soldo; quelle labbra mai stanche di mendicare ma che non vogliono muoversi, coraggiose, per reclamare la libertà; quelle mani che avanzano infaticabili verso la portiera, ma non saprebbero tenere un'arma per difendere i diritti della nazione; tali scoperte rattristano, e ci si dice, con la sensazione di una reale delusione: questo popolo è schiavo poiché si compiace della sua schiavitù, perché essere messo sotto i piedi, perché avvilirsi, gli sembra una cosa sopportabile, purché che gli sia lanciato un po' di denaro in cambio della vergogna che accetta!...Come stupirsi se, allo scopo di ottenere qualche pezzo d'oro, questi uomini vendessero un fratello, un amico, il proprio onore, l'avvenire?...Come stupirsi se nell’udire una condanna, nel vedere fucilare un coraggioso, essi hanno paura…abbandonano la propria causa?...- Tolto ciò, questa gente, ha tutto, una natura incantevole, una terra benedetta, tutto…eccetto un cuore di cui mancano.

Il sorgere del sole tra le acque: quella linea purpurea unita all'altra azzurra; il profilarsi fiammeggiante del globo d'oro che avanza piano e proietta nel mare una colonna di fuoco; le meraviglie dell’aurora, in breve, oggi ci hanno colto di sorpresa. Si scorgevano tra le frasche conventi le cui campane rintoccavano senza sosta, poi un gruppo di cappuccini in poetica divisa! L'aspetto di quegli istituti di fannullaggine, in cui vegetano tanti esseri le cui facoltà, i cui talenti, la cui esistenza sarebbero stati utili alla società, è rivoltante!- Che un uomo abbattuto dalla disperazione, lacerato dalle passioni, tormentato dal mondo, abbandoni il mondo; si seppellisca, lui con i suoi dolori ed odi, tra le mura di un chiostro; che, sottomettendosi a regole austere, domi i propri desideri, soffochi le voci tumultuose che gli lottano nel petto; che, per alleviare le sofferenze dell'anima, egli la pieghi costringendola a severe pratiche; tutto ciò può essere, va bene, è comprensibile. Ma, quest'uomo non arriverà a far voto di oziosità in un qualche pigro ordine; ed a colpi di disciplina, imponendosi crudeli privazioni, assoggettando la restante vita a dure osservanze, tentare di sfuggire a sé medesimo!

·         Ma quelle persone fanno tanto bene, pregano per noi!...mi si dice.

·         Pregano!...E perché pregare per voi?...Non sapete implorare la misericordia divina?...C’è bisogno di un intermediario tra il Creatore e la creatura?...Se, nel momento in cui si aprisse la segreta per accogliere un criminale, voi vi foste messo al posto suo; e se, per cinque, dodici, vent’anni, aveste subito la sua pena; vi accontentereste (mentre il vostro beneficato baderebbe tranquillamente ai propri affari, coltiverebbe il suo campo, venderebbe i prodotti del suo lavoro, godrebbe di un perdono frutto dei vostri dolori) vi accontentereste delle parole di un emissario che, per conto di lui, vi ringraziasse freddamente, chiedendovi protezione e continuazione dei benefizi per l'avvenire?...E allorché, invece che dalla prigione, è dalla morte eterna che Dio, attraverso il figlio, ci ha salvati, voi non sareste in grado di cadere in ginocchio? Con tutto il cuore, semplicemente, caldamente, adorandolo per quell'amore infinito che voi non riuscite a concepire, non sapreste ringraziarlo, dirgli che volete servirlo, restargli fedele?...Per questo invece occorrerebbero migliaia di esseri inoperosi, ci vorrebbero mura, grate, giuramenti; tutta una separazione tra fratelli, una completa violazione dei rapporti stabiliti da Dio stesso fra gli uomini?...Ah, no, no! l' Onnipotente vuole solo un'anima ingenua, davvero commossa, la giornata di un buon padre di famiglia, la giornata del contadino che, riposta la vanga, volge gli occhi e i pensieri verso il cielo, la giornata di un uomo caritatevole che visita la casa del bisognoso, seminando al suo passaggio qualche parola cristiana, insieme ad aiuti disinteressati: quelle giornate sono preghiere efficaci che salgono fino al trono del Padre, come tanti canti di ringraziamento!

Ah, perché non posso aprire quelle porte, limare quelle sbarre, strappare quegli uomini alla loro santa oziosità! Perché non posso consegnare a questi una pala, a quegli un martello, al terzo un piccone, e per cominciare degnamente una nuova vita impiegarli tutti per allargare, riparare il sentiero della Corniche!... (…)

 

Genova, 15 dicembre 1833

Era un incanto vedere stamane le donne della Riviera recarsi a messa, avvolte nelle pieghe aggraziate del loro velo bianco! Quelle teste italiane dai tratti ben definiti, dai grandi occhi neri, dalla folta chioma, dalla pelle di un bel colore, sembrano nobili, avvolte in un’aureola di mussolina, e le ondulazioni di quel tessuto trasparente sollevato dalla brezza, le sue lunghe pieghe che velano il viso a metà, conferiscono alla loro fronte un non so che di timidezza, di pudore timoroso, che incanta quanto il profumo della rosa(…)

Sono arrivata a Genova stasera: la vista del porto mi è parsa bella ma senza sorpresa.

-Palazzi di marmo chiaro!- si esclamava. Vedevo solo vecchi edifici schierati l'uno dopo l'altro, a spalliera, per così dire. Oltre le porte, la strada “costruita per un congresso di re" ci si è spalancata davanti. Cosa non si può trasportare verso la riva di masse decorate, facendone una fascia per il mare, una corona per Genova!

La città mi è parsa parecchio triste, malgrado la folla benvestita che la percorreva in ogni direzione. Quei palazzi solitari, quelle gallerie in ombra, quelle scalinate, quei corridoi, dove gli sguardi si perdono senza incontrare esseri viventi, testimoniano apertamente del suo decaduto splendore. Chi passeggia sta in silenzio o parla a bassa voce; si direbbe che tema di turbare quel momentaneo riposo; si direbbe che attenda in raccoglimento un qualche prodigioso risveglio!

Fedele ai miei usi, mi sono diretta verso il porto. Il porto!...ahimè! è un muro alto trenta piedi su cui solo i soldati o i barcaioli sfidano le vertigini; occorreva, per salire lassù, una fermezza che non ho e, ritornando sui miei passi, ho lasciato quelle false apparenze di banchine, per rinchiudermi con i ricordi nell'appartamento…vale a dire, nella sala a volta, buia, larga e lunga, tanto da non riconoscervi il proprio padre, che mi hanno assegnato come camera da letto. Mi pare d'essere in una chiesa; i bagagli, i mobili che mi circondano, il fuoco che ho fatto accendere per intiepidire le membra e l'animo, mi sembrano un’indegna profanazione!...Ho paura della mia ombra, ho paura delle poltrone, dei tavolini, dei cassettoni gargantueschi (…)

 

Genova, 16 dicembre 1833

Non è senza un certo timore che si vede spuntare il mattino del giorno riservato al Cicerone!- Quei palazzi, quelle chiese, quei giardini, quelle strade, stancano anticipatamente; la prospettiva di nove ore impiegate a osservare, ascoltare, memorizzare, fa rabbrividire. Ci si nasconde ben bene sotto le coperte, si riappoggia la testa sul cuscino, si chiudono gli occhi, si cerca di annullare pensiero e timori, si vuol ottenete qualche istante di calma prima dell’agitazione; ci si ripete che non è tardi, ci si volta verso il muro per evitare i raggi del sole che dorano il parquet; poi il sonno dilegua, un leggero moto di curiosità afferra l'animo; l'immaginazione (questo gran pittore, il solo le cui opere superino, per varietà di colore, quelle della natura) l'immaginazione passa i suoi pennelli sulle nostre speranze, riscalda il nostro zelo, ci butta fuori dal letto forzandoci, per amore o per forza, a seguire l'uomo che deve farci da guida.

Preceduta dal mio stradario vivente, ho visitato quei palazzi che, ieri, avevo intravisto. – Che fasto! Quanto orgoglio manifesto! Quanti milioni spesi per la massima scomodità della vita!

Marmo semplice, marmo con rivestimenti in oro, marmo scolpito; specchi, affreschi, splendido mobilio, quadri di pregio; ecco quel che arreda le dimore delle nobili famiglie genovesi, ecco ciò che attira l'attenzione, ciò che colpisce il viaggiatore strappandogli grida di sorpresa. Ma abitare in seno a tanta magnificenza regale, equivale ad abitare in un museo, un bazar; e l'esistenza in quei palazzi, l'esistenza con i suoi dettagli volgari, le sue mille esigenze, la dipendenza da altri, l'amore del benessere, l'esistenza qual essa è, mi pare insopportabile…per non dire impossibile.

La sporcizia dei domestici, il loro scarso numero, costituiscono un contrasto sgradevole col lusso delle abitazioni. Quelle scale, quegli immensi saloni sono deserti; solo vi risuonano voci, passi estranei, e quell’abbandono accresce la pena ispirata da tanto vano sfavillio.

Nell’anticamera del palazzo S****, fra i valletti, chino sul braciere, c’era un anziano, dai nobili tratti e d'aspetto distinto. Gli occhi si soffermarono con interesse su quella figura importante.- “Riuscireste mai a indovinare chi è quel tipo?...”

·         Credo proprio di no.

·         Addirittura il primogenito della casata, l’erede degli S****!

·         L'erede?

·         Si! Un povero imbecille che non vuole conoscere nessuno, se ne sta rinchiuso, rifiuta di mangiare col nipote, attuale proprietario del palazzo, e dà tutti i suoi beni ai poveri. Borsa piena, borsa vuota, borsa piena, borsa vuota, in maniera che, se non lo si sorvegliasse, il Signor marchese finirebbe i suoi giorni sul pagliericcio dei miserabili.

Quel volto pallido, quell’espressione sofferente, quell’aspetto scoraggiato, quell'uomo, erede di una considerevole fortuna, circondato solo da mercenari; quell'uomo vagante con sguardo tetro per saloni tanto splendidi; tali dettagli fanno male alla vista, e da lì nasce un contrasto che appanna il lustro del marmo, altera le dorature, e poi diffonde su quella esibita felicità una tinta livida difficile da cancellare.

 

Genova, 17 dicembre 1833

C'è qui una razza miserabile senza dubbio, ma assillante, brutta in senso morale, ed atta ad indurire anche il cuore più tenero e compassionevole: è la razza dei mendicanti. La Porte-St-Martin, la Gaite, l'Ambigu, Paris, niente al mondo dà l'idea di un tale spettacolo! Le strade, le piazze ne sono ingombre; i portali delle chiese, le botteghe dei commercianti, persino l'anticamera dei palazzi ne rigurgitano. Si vedono stracci al cui confronto quelli del Frederik parrebbero abiti di corte. Si sentono voci lamentose che straziano; s'incontrano vecchi, donne, bambini che vi afferrano un braccio, si danno il cambio e, per tre, quattro, cinque, dieci minuti vi si trascinano dietro; in una parola, vi si trova quanto lo spirito umano può immaginare di più desolante, ad eccezione delle piaghe la cui messinscena si è fermata alla frontiera.

È di notte, soprattutto, di notte quando soli nel buio che nessun lampione attenua, camminate nelle viuzze fuori mano; è di notte che vi circondano quei disgraziati cenciosi. Qualche moneta distribuita qua e là li fa sorgere in folla al vostro passaggio; le sollecitazioni diventano pressanti, vi si attaccano, crescono di numero a velocità incredibile, e senza qualche gendarme che passa poco lontano, sareste tentati di offrire loro la borsa, l'orologio, o i gioielli che indossate.

Da loro inseguita, ed accompagnata dall'ottimo signor D…., e da mia zia (deboli sostegni in simile occorrenza) passeggiavo iersera quando un suono di strumenti, un forte chiarore che uscivano da una porta socchiusa stuzzicarono la mia naturale curiosità; entrai e fui colpita dalle luci, dal chiacchiericcio della gente, dal volume dei suoni che scendevano dalla volta.

Migliaia di ceri e di candelabri, una profusione di fiori, lunghe strisce di taffettà a rivestimento delle mura con le loro pieghe, o drappeggiate intorno ai pilastri; piume, trofei mi strapparono un’esclamazione: Carina la sala da ballo!

Però si trattava di una chiesa.

Le donne velate in modo grazioso, gli ufficiali in grande uniforme, i soldati, i preti riempivano ogni spazio. Molti sguardi intelligenti, molti sorrisi, molte occhiate a superare le distanze, si ripetevano di sedia in sedia, come i segnali telegrafici da una collina all'altra.

Sistemata nella galleria superiore, un'orchestra e delle voci eseguivano o accompagnavano, alternandosi, cavatine di Rossini, cori di Bellini, ouverture di Donizetti. Quei graziosi motivi, cantati, suonati approssimativamente avevano un effetto strano, e l'eccessivo chiarore delle luci, la vista del gente distratta, i suoni di una musica più buffa che seria, mi spinsero a lasciare il tempio. Mi chiesi come lì fosse possibile affidare il cuore a Dio. Mi chiesi se ci si disponesse a pregarlo in un ballo, in un ricevimento, in un'assemblea. Mi domandai se, quando si è presi nelle seduzioni del mondo, se quando uno sguardo risponde al vostro, un sorriso al vostro sorriso, l'anima, l'anima imprigionata in quella rete brillante, possa stendere le ali, salire purificata da pensieri profani, salire libera verso il trono del RE DEI RE, rivolgersi sinceramente, solo all' ETERNO…Mi risposi di no.

Mi parve particolarmente triste vedere uomini col rosario in mano, qualche parola latina sulle labbra, gli occhi su tutto quanto è profano, che credevano di pregare e si abbandonavano alle tante distrazioni che li accerchiavano. Un ampio spazio, delle mura senza addobbi, qualche sedia, il silenzio, un chiarore smorzato; questo è quanto avrei desiderato, ed è proprio ciò che qui non si troverebbe…

Appena rientrata, “Allora!” mi disse un vecchio inserviente dell'hotel “Allora!” mentre gli scintillavano gli occhi “ Che ne pensate della Funzione?...”

Non potevo mentire, un segno con la testa fu la mia sola risposta.

-Ah!- continuò- i fiori, i cristalli, i ceri! Non è grazioso?...Anzi, più che bello, è ben fatto. Si accendono candele per accogliere gli amici, si addobba l'appartamento per dare una festa…e così, per ricevere il buon Dio…non si dovrebbe fare di più?...

Questo spiegò il resto. Si fa di Dio un uomo! Uomo con le passioni meschine, con l'orgoglio, con la vanità, con le gioie effimere, puerili dell'uomo; lo si serve come si servirebbe un re della terra, e sembra non si sappia che l'altare più bello da elevargli è un cuore pieno di fede; il più bel dono da offrirgli, un cuore umile.

 

Genova, 18 dicembre 1833

Quand'è che smetterò di visitare palazzi, giardini, chiese?...Quand'è che non vedrò più marmi, quadri, dorature, ghirlande appassite, grotte artificiali? Quando la smetterò di accumulare nomi nella testa stanca?...Quando vivrò tranquilla, come una talpa, una marmotta, un’ignorante, un'indifferente, una sciocca,una stupida…ma non una viaggiatrice? (…)

Lo spirito chiede varietà, predilige i contrasti, la critica gli sembra un dolce esercizio, e costretto a piegarsi sotto il giogo di insopportabili ma incontestabili ricchezze, patisce, si spegne…fino a morirne…

Il male non si ferma qui! Amavate la pittura: i Rubens, i Tiziano, i Michelangelo, i Raffaello, ve ne toccavano altri venti. Eravate sensibili alla scultura: una statua di Canova, un bassorilievo di Torvaldsen , vi costringevavno ad una lunga sosta. L'architettura pungeva il vostro interesse: vi dimenticavate talvolta davanti alla facciata di un palazzo, sotto le volte di un tempio… Bene!... di voi, quei giorni hanno fatto un vandalo!...

Vi urlano a squarciagola:- Questo è un Van Dyck. – Voi girate lo sguardo. -Ecco un gruppo del Bernini .- Rimanete freddo come il marmo di cui è composto. – Un Salvator! un Carracci!...guardate signore!...- E fuori di voi:”Al diavolo Carracci! Al diavolo Bernini! Al diavolo Van Dyck! Al diavolo i palazzi, i dogi e la loro cricca!...

Vi prendete la testa fra le mani, chiudete gli occhi, scendete i gradini quattro alla volta, prendete una strada dopo l'altra, attraversate i crocevia, vi lasciate dietro la strada Nuova, la nuovissima, la Carlo Felice, le porte della città, i baluardi, i sobborghi; e quando in aperta campagna, respirate liberamente dell'aria pura, quando né monasteri, né chiese, né colonne, né balconate vi ostruiscono la vista, quando il suono di mille campane petulanti che vi stordivano cessa di risuonare nelle orecchie.

-Grazie! gridate al cicerone che arriva trafelato e vi crede impazzito.

-Grazie!...basta monumenti! basta edifici!...basta giochi d'acqua, basta rocce, basta ex-voto, basta altari per oggi!...Gli lanciate i soliti cinque franchi, poi lieta di essere rientrata nel pieno possesso di sé, felice di camminare per prati autentici, felice di bighellonare, felice di vedere un campo coltivato, un albero rinsecchito, una stalla aperta, dei buoi, delle vacche…perfino dei maiali!...correte, ridete, cantate, abbandonando allegramente cicerone, rarità, musei, accademie…la città insomma!...

 

Ero a questo punto, o quasi, quando una persona di servizio inchinandosi tre volte e senza mia richiesta mi disse con accento timido:

-Non vorrete lasciar Genova senza aver visitato…

-Non voglio visitare niente!

-Senza aver ammirato…

-Non voglio ammirare nulla!

-Senza aver conosciuto…

-Non voglio conoscere nessuno!- Il poverino, confuso, chinò la testa.

-Eppure è curioso, quel convento di…

-Un convento!...e come mai, invece di tutte quelle sciocchezze in cui mi avete trascinata, come mai non vi è venuta prima l'idea di portarmi in un convento?...Aspettavate che fossi sfinita, infastidita…per…oh! è imperdonabile!...

Un Venga, venga ” pronunciato con voce umile, un gesto della mano, l'aspetto abbacchiato della mia guida e la curiosità che internamente mi agitava, contribuirono a riportarmi sui miei passi. Senza lamentarmi troppo per la lunghezza della strada, mi avviai verso il monastero che un Fieschi fondò su di un’altura, allo scopo di accogliere le povere orfanelle della città.

Attendevo presso la cancellata esterna figurandomi in anticipo il velo, l'abito nero, il rosario pendente da un lato; popolavo ì corridoi di ragazzine pallide e silenziose, penetravo nelle celle, vedevo il lettino, il crocifisso, il tavolo d’abete, la sedia impagliata; e gemevo per la sorte di quei poveri esseri morti alla vita prima ancora di averla conosciuta, allorché la porta in fondo che si apriva mi permise di distinguere una donna sui venticinque anni, semplice, elegante, e dotata e di aspetto seducente. Seguita dal direttore, la superiora mi fece segno di avvicinarsi ed entrammo; mi si offrì uno spettacolo interessante!

Riunite in ampie camerate, le centosettantaquattro giovani si dedicano a diverse occupazioni sorvegliate dalle maestre; fanno fiori, ricamano, rammendano la biancheria…niente veli, né abiti neri, niente che sappia di bigottismo o congregazione là dentro (…)

 

Genova, 19 dicembre 1833

Tra le meraviglie di questa città, i confetti, la frutta candita e la cucina sono quelle che mi piacciono di più. – È una ben triste confessione, una giovane signora gastronoma…che dissonanza!

Nel suo diario, pretese di sensibilità, talora leziosa, lunghe descrizioni, il verde, i monti, i sospiri, le lacrime, le ore che si trascinano, i pensieri amari…tutto ciò inframmezzato a pezzi duri, arance candite, cioccolato, tonno, gamberi o beccacce, non costituiscono un insieme mostruoso? E quella vita contemplativa, insieme a dettagli tanto volgari, non ispirano forse un certo disprezzo verso colei la cui penna compone un tale assemblaggio?...

Tuttavia viaggio con il mio palato altrettanto che con l'immaginazione o col cuore! Se mi soffermo sulle impressioni ricevute da questi, perché dovrei tacere su quelle percepite dall'altro?...- Verità è il mio motto e, mettendo a tacere falsa modestia o inutili rimorsi, mi dichiaro (per il momento) indifferente ad ogni aspetto che non sia una bottega di confettiere.

Si crede forse che la vetrina di Romanengo manchi di poesia?...Si crede che quella frutta delicata, che le loro vivaci sfumature, che la loro freschezza tanto più splendente sotto i veli che la ricoprono; si crede forse che le pastiglie iridescenti come i fiori di un’aiuola; si crede forse che lo zucchero candito che si alza in colonne, che scintilla sotto i raggi di venti fiaccole, e colora con i suoi riflessi gli oggetti circostanti; si crede che quel vapore profumato proveniente dai fornelli che si arrotonda, oscilla e poi evapora; si crede che quell’unione di tinte diverse; si crede che quei giochi di luce, forse non parlino all’anima?...E se l'anima accoglie le sensazioni provenienti dagli altri sensi, perché dovrebbe ostinarsi a rinnegare quelle offertegli dal gusto?...

È una delle mille incongruenze della nostra povera imperfetta natura. Questo problema, d'altronde, si collega ad una lunga catena di miserie; sono così tante le piccolezze, tante le azioni orgogliose, tante quelle ridicole, tanti i ricordi penosi ad essere evocati che mi si spegne sorriso e la penna si arresta paralizzata. –

 

Genova , 20 dicembre 1833

L'avvento, celebrato qui come nel resto d'Italia, ha chiuso la porta dei teatri; aumenta il numero delle messe in relazione a quello delle opere soppresse e, spettacolo per spettacolo, il popolo ama altrettanto quel che non comprende.

I reggimenti di stanza a Genova osservano per nove giorni e a turno la novena, chi alla Nunziata, chi a Carignano e chi a SantAmbrogio.

Una novena, dei soldati inginocchiati nel tempio, le pompe militari che si umiliano davanti alle pompe monacali, il silenzio tra i ranghi, gli uomini di guerra venuti ad ascoltare parole di pace mi sembra compongano un quadro grandioso.

Sistemata in modo da poter scrutare all'interno come all'esterno, vidi sfilare lentamente, al ritmo del tamburo, quei duemila soldati, tutti a testa scoperta e in atteggiamento grave.- Le cappelle erano al buio, l'altare illuminato dai ceri accesi. Un'orchestra eseguì qualche cavatina di Rossini, poi tre arie favorite da LElisir d'amore, variate felicemente da un oboe che un clarinetto e due flauti superarono in velocità. Fu allora che, al suono di quegli strumenti e delle fioriture con cui arricchivano a piacere il tema, nella chiesa sorsero delle conversazioni a bassa voce. -Qualche scoppio di risa soffocato, qualche brava! Brava! sfuggito a qualche ammiratore, i sonori sbadigli difficili da trattenere per chi si annoiava risuonavano seguendo un crescendo minaccioso. Più tardi, un prete, in piedi presso l'altare, recitò alcune frasi rimaste per me incomprensibili; i suoi inchini ripetuti mi parvero quantomeno irriverenti…; le teste si piegarono al rullio di un tamburo, la folla defluì rumorosamente per le tre porte della Nunziata: questo era ciò che si dice far la novena, sentire messa, ed è di questo che arrossii, di un popolo che adora Dio come adorerebbe un idolo di legno o di pietra…

Sarà con tali pratiche, sarà invocando figure di cera battezzate con nomi sacri, sarà ascoltando parole incomprensibili, sarà prosternandosi al tintinnio di un campanello, osservando un prete vestito sontuosamente, privandosi di cibo, martirizzando il proprio corpo, recitando venti preghiere che sono le stesse di un altro e non il grido della propria anima, sarà così che si piacerà a Dio, che si allontaneranno i cattivi pensieri, che, da peccatore, ci si solleverà; che, profondamente virtuosi, ci si umiliera?...-Questa religione esteriore, questi segni di croce, questi inginocchiamenti, questi saluti in pubblico rattristano; e ridere così dei sacri misteri, farne pascolo per gli occhi, abbassarli al nostro livello, equivale a sporcarli, a commettere un sacrilegio.

 

Genova , 21 dicembre 1833

Qua tutto è in contraddizione con le mie credenze più care; tutto mi pesa, ogni cosa mi ferisce: perciò non è senza un qual sollievo che vedo avvicinarsi il momento della partenza.

Se Parigi indigna per immoralità, se l'aspetto dei vizi, che vanno a testa alta, ripugna, se il cuore si strazia per tanta scoperta incredulità, Genova e la sovrabbondanza di monaci che ostruiscono le strade, Genova, il suo miscuglio di fasto e povertà, i suoi palazzi magnifici e le donne che piangono per la fame davanti alle porte, Genova, con la popolazione schiacciata tra i preti ed il governo, quei tratti senza gaiezza, quelle bocche senza sorrisi, quegli occhi che solo la vista del denaro fa scintillare, quelle immagini di santi sepolti sotto fiori di carta illuminati da misere lampade; Genova e i mille dettagli difficili da riportare, attristano molto di più.

I bambini, con un sedia rovesciata sottobraccio, un cesto agitato tra le mani, avanzano gravemente, cantano litanie con le vocine flautate che cercano di rendere solenni, e giocano alla processione.

La vista del corpo del nostro salvatore, di quel salvatore al cui pensiero palpitiamo colti da un divino turbamento (…) l'aspetto di quel corpo tracciato fin sulle insegne provoca un serio scontento! (…) Non saremmo tristi nel vedere il volto di un essere prediletto riprodotto in tante maniere e in ogni luogo? (…) non si ribella l'anima, e si può assistere senza fremere a tali prostituzioni?...

Mentre a Genova, sotto quel bel cielo trasparente, in mezzo a quella natura, a quegli scenari splendidi, sulla cima di monti che dovrebbero render puro l'uomo, allontanandolo dagli uomini e dai loro calcoli, in quel paese ricco di vegetazione, ricco d'oro, ma povero di anime generose; lungo le rive di quel vasto mare la cui risacca allungandosi all'infinito sulla spiaggia sembrerebbe gridare: Libertà!...morte alla libertà! morte alla religione! morte alla politica! morte alla letteratura! morte a tutto! eccetto che all'ignoranza, al fanatismo, alla schiavitù!...

Mi è odioso l'aspetto di questa nazione umiliata: viverci, senza piangere per quei mali che una forte dose di oppio morale le impedisce di avvertire, mi riuscirebbe impossibile.

La vita sociale pressoché nulla mi è sembrata priva di attrattive. Cosa hanno da dire le donne che passano metà della giornata a ricamare, l'altra metà a recitare il rosario, sedute in solitario e distanti sotto le volte di una chiesa?...Di cosa potrebbero discorrere uomini la cui lingua è sorvegliata dal terrore o dal rispetto ispirato dall’assolutismo, e cosa possono rappresentare delle conversazioni basate solo sul cappello della regina-madre, il vestito della signora tale, il lavoro di cucito di una terza, la decorazione di non so che tempio o la salute del prete del momento?

Le donne sono belle, alcuni uomini brillanti; come altrove, ci sono galanterie, pretenziosità, amor-proprio; come altrove, vi si recitano testi leggeri e che divertono tutti; ma anche in questo è avvertibile il disagio che opprime il paese; si è pretenziosi con un sovrappiù di affettazione, si stuzzica con prudenza; l'amore parlato prende il posto degli argomenti proibiti o più elevati, ed il risultato è fastidioso.