Charles
De Jacques
surrealismo in rassegna
Il Surrealismo, cosa sarà mai stato? Un
tempo sembrava coincidere tanto perfettamente con la molla della ribellione
da sembrare un inesauribile abbeveratoio di gioventù, un imprescindibile passo
iniziatico, un attimo perennizzato del fanciullino sovversivo che è in noi, una
turbolenza dell’essere per affermarsi contro la domesticazione. Se ne colse la
grandezza perfino in quei meandri che
sono cari a chi coltiva le curiosità letterarie - ma la curiosità non è
infinita e alla fine ci si stufa, nulla che resti da curiosare. Una gloria
francese ancora lo è, sebbene ormai editori e gazzette d’oltralpe – accantonato
lo sciovinismo – si dedichino di preferenza a vezzeggiare modesti e immodesti
scrittori di ogni dove, Italia compresa e, forse, privilegiata. Se si auspicava
almeno una storia del Surrealismo per ogni nuova generazione, l’ultima di
queste storie è proprio italiana. Con Surrealismo 1919-1969 di Paola
Dècina Lombardi – una studiosa che si è dedicata a Crével come a Rétif, a
Breton come a Sartre, a Bataille come a Balzac - si può dunque dire che la pedagogia
rivoluzionaria non ha subito le rilevanti interruzioni che si potevano temere.
E il libro (pubblicato dagli Editori Riuniti nel 2002) è meno accademico di
quel che verrebbe da pensare. Una prova, in effetti, di un certo nucleo di
resistenza che sopravvive nel Surrealismo. Anche chi ostenta stizza e noia nei
confronti dell’argomento ci pare debba leggere questo libro con piacere, per
quanto egli possa essere alla ricerca di motivi che incalzino la sua pignoleria
(e magari li abbia a trovare, quindi con un piacere in più, convenientemente sadista). D’altra parte si sente che è
un libro degli anni nostri, esso stesso
dunque pignolo, con qualche nome che sfuggiva alle storie di una volta.
Tuttavia anche la Francia sembra aver ritrovato l’orgoglio dei propri
autori e, insieme, quell’istinto della
caccia che anziché impallinare povere bestiole restituisce il vate dimenticato
alla cupidigia dei bibliofili contemporanei più esigenti. Daniel Aranjo, ad
esempio, ha sottratto alla crudeltà del tempo che passa il poeta Tristan Derème
dedicandogli una biografia (Tristan Derème, le télescope et le danseur,
ed. Atlantica, 2003). Non siamo qui in territorio surrealista. Derème
(1899-1941) - coi più noti Toulet e
Carco, fra i pochi altri - ebbe a e
costiture un gruppo che prese il nome di “fantasista” (dal
titolo di un’antologia pubblicata nel 1911), dedito a coltivare, spesso con
scapigliata ironia, la classicità della versificazione. La cronologia consiglia
di collocare i “fantaisistes” a ridosso di Dada e del Surrealismo, pressappoco
come un fenomeno di transizione dai simbolisti. Ma, in fondo, non si ritrova
anche nella poesia surrealista un tono classico? Non lo possedeva “alto” anche
Aragon nelle sue stesse prove più “à
l’avant-garde” e dadaiste? Non lo tirerà fuori successivamente in modo
palese nei suoi non più surrealisti romanzi (ma Aragon è in effetti mai stato
qualcosa di diverso da un surrealista?) come Aurélien, il suo grande
romanzo d’amore, e Les Communistes, la prova provata (anche nei rimaneggiamenti
opportunistici, come quando nel ’66 tolse ogni cattiveria intorno al
personaggio che ricordava Nizan) della sua prostituzione? Beh! questi romanzi sono oggi ripubblicati in
un volume della Pléiade (Louis Aragon, Œuvre romanesque complètes, Tome 3,
Gallimard, 2003).
In zona “Pléiade” siamo per altro in attesa di buone nuove riguardo
alle Œuvres
complètes di André Breton, ferme al 1952 dopo che, qualche tempo fa, è
morta la loro brava curatrice, Margherite Bonnet. Morto da pochissimo è
invece Noël Arnaud - amico di Boris Vian e di tutto “il giro”, anche di Asger
Jorn, col quale collaborò a La
langue verte et la fruite, nonché segretario di Dubuffet, patafisico e
presidente dell’OuLiPo – che da buon ormai attempato “neodadaista” e
surrealista (era, alla fine degli anni Trenta, nel gruppo dei Reverbéres con Michel Tapié: una
libreria parigina ha allestito or non è molto un’esposizione di documenti,
anche manoscritti, relativi al gruppo) se ne è andato il primo d’aprile scorso,
e non per scherzo. Durante la guerra, sotto l’occupazione tedesca, aveva creato
il gruppo Le main à Plume. E’ nelle
plaquettes curate da questo piccolo gruppo (con nomi di volta in volta diversi,
per scampare alla censura) che Eluard pubblicò Poésie et verité 42 (dove
compare Liberté). Interessante a questo proposito è la riproposta
(senza alcuna variazione) di un libro che quando uscì in prima edizione
vent’anni fa suscitò qualche polemica: Histoire du Surréalisme sous l’Occupation
di Michel Fauré (La Table Ronde, 2003). A distanza di due decenni almeno dalla
sua prima uscita viene anche riproposto il Julien Gracq di Ariel Denis (nella
celebre collana dei “Poètes d’aujourd’hui”di Seghers, niente male per un
prosatore!). Editore e amico di Gracq era José Corti – alacre editore elettivo
del surrealismo già alle Editions surréalistes nel 1926 - del quale i sempre
preziosi poches “10/18” propongono
oggi i più che preziosi Souvenir désordonnés. Da non
perdere, infine, la raccolta Le poètes du Grand Jeu curata da
Zéno Bianu per la collezione “Poésie” di Gallimard, che non antologizza soltanto Daumal, Gilbert-Lecomte,
Vailland ecc., ma offre lettere, documenti e svariate informazioni.