Charles de Jacques

sur+polar

È uscito in Francia un nuovo romanzo di Tanguy Viel, autore ancora giovane (è nato nel 1973) che ha al suo attivo alcuni romanzi di buona risonanza critica. Insoupçonnable, come i precedenti, esce da Minuit e, come gli altri, è un “polar”. Viel è un appassionato di cinema e si vuole che nel cinema vadano ricercati i suoi ascendenti narrativi, tanto più che proprio al  Cinéma (1999) ha intitolato un romanzo il cui fissato protagonista fa di un unico film (di Joseph Mankiewicz) il tema di vita da usare come discrimine per gli umani contatti. Con L'absolue perfection du crime ha vinto nel 2002 il premio Félix Fénéon. Questi due romanzi sono stati tradotti in italiano (Cinema, Nottetempo 2002; L' assoluta perfezione del crimine, Neri Pozza 2002) mentre la stessa sorte non risulta essere toccata a Le Black Note (1998). Di Insoupçonnable già si dice che questa volta conti più la letteratura del cinema, stabilire la qual cosa è tuttavia irrilevante, dal momento che se Viel ha i suoi parametri nel cinema (una volta ha detto che il suo inconscio ha finito per credere la scrittura quale regia di una sceneggiatura) quel che fa, direbbe il signor di La Palisse, è scrivere. E comunque, come aveva rilevato un critico, nei suoi romanzi c’è atmosfera e ci sono luce e colore, “tutto il contrario d’un puro esercizio teorico” (Fabrice Gabriel su “Les Inrockuptibles” nell’agosto 2001).

C’entrasse qualcosa, Viel ha un nome, Tanguy, che rimanda al surrealismo. Ignoro i motivi della scelta ma presumo che il surrealismo di Ives Tanguy c’entri nulla. Tanguy è uno dei nomi propri (stando a quel che si dice ha origine celtica e significato guerriero) che hanno visto aumentare la diffusione in Francia proprio a partire dagli anni ’70, quando il nostro è nato. Non ho trovato niente di meglio per collegare la segnalazione dell’ultimo libro di Viel a quella di un gruppo di libri – non tutti recentissimi - di attinenza surrealista, e ci si deve dunque accontentare.

Comincio col catalogo della mostra che, fino a maggio,  il Centre Pompidou ha destinato all’opera di Hans Bellmer, Anatomie du désir curata da Agnès de la Beaumelle, che allinea sculture, disegni e quadri del creatore de “La Poupée” (in origine “Die Puppe”. Bellmerr, tedesco di Kattowitz, abbandonò la Germania, come fuggì d’altra parte la famiglia che lo voleva ingegnere - il padre per altro divenne nazista - per raggiungere dapprima gli ambienti artistici berlinesi e poi la Francia). Con la sua creatura artificiale “dalle infinite possibilità anatomiche”, Bellmer ha suggerito un erotismo intriso di pedofilia e oltraggiose depravazioni, altrimenti rivelate col tratto raffinato dell’abile disegnatore che era.

Di mostre in Francia, paese dove si è svolta la gran parte della sua attività, non ha goduto fino ad oggi invece Oscar Dominguez (La Laguna, Canarie, 1906-Parigi 1957) di cui Hazan ha proposto nel 2005  Oscar Dominguez et le Surréalisme1906-1957. La part du jeu et du rêve che riunisce in gran numero immagini di quadri, oggetti, decalcomanie, collages, libri illustrati (una mostra di sue sculture è stata offerta nei mesi di febbraio e marzo dalla galleria Gagliardi, San Gimignano-Taormina).

Sempre nell’ambito dell’arte surrealista, nel 2004, centenario della nascita di Dalì, si ha avuto modo di accedere, tramite Denoël, alle conversazioni che il pittore tenne alla fine degli anni sessanta con Louis Pauwels, eclettico surrealizzante complottologo liberaloide allora direttore di “Planète”.

Ancor più preziosa è la pubblicazione presso Mols (2004) de La Bible Surréalistes de Gisèle Prassinos di Annie Richard dove si mostrano i parati di panno sui quali la ragazzina che fu ammessa, poetessa appena quattordicenne, al cospetto di André Breton, avrebbe rappresentato a suo modo - quindi con humour noir - lungo il ventennio fra il 1967 e il 1988 (la Prassinos è nata nel 1920) soggetti biblici e cristiani.

Con la dovuta riverenza va salutata, per concludere questa sconclusionata rassegna, l’antologia che Gallimard ha dedicato al primo Philippe Soupault, Littérature et le reste. 1919-1931 (2006), che restituendoci fra l’altro l’affetto per Fantomas e la recensione all’Ulisse di Joyce, fa intravedere fin dai tempi di “Littérature”, di Dada e del Surrealismo, l’indipendenza degli anni maturi, la sua levità e la genuina curiosità che ne hanno fatto, come si suol dire, uno scrittore di vasti interessi e larghe vedute. Dilato brevemente la conclusione segnalando pure la ristampa di Le Paris des surréalistes di Marie-Claire Banquart, ricognizione geografica del movimento negli anni classici, libro apparso in origine, nel lontano 1973, da Seghers e ripubblicato nel 2004 da La Différence.