Carlo Romano

Alberto Martini, surrealista

“L’artista più misterioso, più decadente e più surreale dell’Italia post-unitaria; quello che più si svolge sotto i segni della carne, della morte e del diavolo infine pervenendo ... alle visioni della vita di Cristo e della vita della Vergine; quello che dall’art nouveau ... ha saputo cogliere e sviluppare il seme del surrealismo”. Così scriveva Leonardo Sciascia a presentazione del volume di Francesco Meloni consacrato a L’opera grafica di Alberto Martini (SugarCo, Milano 1975). Attorno all’opera di Martini (1876-1954) sono allestite dal 6 novembre una mostra a Bergamo incentrata sul periodo parigino (Palazzo della Ragione) e,  dal 30 ottobre, a Oderzo, la cittadina trevigiana che gli diede i natali (Palazzo Foscolo), una sulle sue tavole dantesche - mentre all’inizio dell’anno si era parimenti ricordato il cinquantesimo della morte con l’esposizione a Saronno di una quarantina di opere. L’artista è fra i pochi italiani cui la menzione di surrealista non corrisponde soltanto al vago uso di un fortunato aggettivo accordato ad ogni sorta di stranezza. Negli anni parigini, infatti, Martini del surrealismo propriamente detto fu appartato avventore, e ancora nel 1959, in occasione della loro ottava Esposizione internazionale, i surrealisti si ricorderanno di lui. Mal sopportava in ogni modo di esser giudicato un pittore “letterario”. E se ciò va ricondotto al legittimo orgoglio dei propri mezzi, suona altresì stravagante la stizza di un artista che alla letteratura ha offerto talento grafico in abbondanza. Le sue chine dedicate all’opera di Edgar Allan Poe, oltre ad essere, tanto per dire, la più vasta silloge grafica consegnata ai racconti dello scrittore americano, ne costituiscono probabilmente il miglior commento disegnato in assoluto (e ad esse, ricordo, dedicò il n. 33 dei suoi “segni dell’uomo”, A. Martini illustratore di E.A. Poe, Milano 1984, l’editore Franco Maria Ricci, il quale volume recava un testo su Poe di Julio Cortazar, un saggio del critico d’arte Roberto Tassi e l’ordinamento di Marco Lorandi, oggi curatore della mostra di Bergamo). Il primo ad accorgersi di queste opere fu Vittorio Pica, che poi inserì i suoi scritti su Martini anche nei ricercati volumi di Attraverso gli albi e le cartelle (Istituto di arti grafiche, Bergamo sd). Col direttore di “Emporium”, la più importante rivista d’arte d’inizio novecento, Martini intrattenne un rapporto intenso di stima e di amicizia (fu Pica, già nel 1901, va detto, a intercedere con Alinari affinché potesse partecipare al concorso per l’edizione illustrata della Divina commedia e di lui scrisse, nel 1904, finanche sulla celebre “The studio”). A Pica, Martini disegnò l’ex libris. Nel corso della sua vita, di questi foglietti, l’artista di Oderzo ne rilasciò diversi. I primi furono quelli per Pica, per Antonio Fogazzaro, per Gerolamo Rovetta, per Tom Antongini. Ne disegnò anche per Gianni Mantero, un celebre bibliofilo ed “exlibrista”, e, ancora negli anni Cinquanta, per Carlo Belloli, lo studioso d’arte e “poeta visivo” legato a suo tempo al futurismo. Per parte sua Belloli, nell’anno della morte dell’artista, pubblicherà la monografia Il surrealismo di Alberto Martini (Bottega delle arti, Brescia 1954).

Il secolo XIX”, 18 novembre 2004