Massimo Bacigalupo
storie insondabili
del Big Sur
A un centinaio di chilometri a sud di San Francisco c’è la tranquilla Monterey, e poco più a sud c’è la scoscesa regione del Big Sur, con le sue foche e leoni marini ruggenti, e i suoi ricordi letterari: Henry Miller, Jack Kerouac, l’accigliato Robinson Jeffers, che abitava una torre a Punta Lobos, capo appunto dei leoni marini, e scriveva foschi poemi incestuosi. Ora Thomas Steinbeck, figlio del grande John di Furore, racconta alcune storie della penisola di Monterey, cominciate, dice, su richiesta di un amico gestore di una locanda nella zona, il Post Ranch Inn, per metterle a disposizione dei clienti. Ma i racconti, tre dei quali si aggirano intorno o superano le cinquanta pagine, sono piaciuti anche agli editori di New York e sono usciti nel 2002 col titolo Down to a Soundless Sea, dando al solitario Steinbeck junior, che si guadagna da vivere scrivendo sceneggiature per Hollywood, una fama inaspettata. Il titolo rimanda al Kubla Khan di Coleridge (“Down to a sunless sea”: giù verso un mare senza sole), evocando subito il mare che è lo sfondo onnipresente di queste Cinque Terre californiane. Ora grazie al buon fiuto dell’editore Giano il libro esce in Italia col titolo Sul fondo di un mare senza suono (trad. Norman Gobetti, pp. 204, € 15,00). Ma nell’inglese soundless significa sia “senza suono” che “insondabile”, sicché, dato il contesto, si sarebbe anche potuto rendere il titolo “Fino a un mare insondabile”.
Insondabili, soundless, e forse anche silenziosi, sono i destini di cui qui si parla. Steinbeck veste i panni modesti del cronista che riferisce storie fra realtà e leggenda, che coprono quasi un secolo, dal 1859 di La guida fantasma, al 1932 di La sentinella misteriosa. “Il 1859 fu un’annata infernale per le burrasche, lungo la costa del Sur, ma fu verso la fine d’aprile che l’urlo del vento raggiunse l’apice...” E’ l’avvio della prima storia, in cui Boy Bill Post si trasferisce da Monterey sul promontorio (nel libretto c’è una cartina che ci permette di identificare alcuni dei luoghi). “Aveva sposato una bella ragazza indiana della tribù dei rumsen”, e mentre costruisce un riparo in tutta fretta e attende che scoppi una tremenda tempesta, la sua Anselma mette al mondo Frank, “il primo bambino a nascere nell’alto Sur sotto la bandiera americana” (infatti la California passò agli Stati Uniti nel 1848). Frank, per quanto riveli i tratti determinati del padre, yankee del Connecticut, parla indio con la madre e la segue “quando si addentrava in lande desolate e oltre passi montani per una delle sue spedizioni alla ricerca di erbe medicinali”. E’ in occasione di un altro nubifragio, in cui Frank è rimasto a casa e Anselma tarda a tornare, che avviene il fatto prodigioso della “guida fantasma”: una colonna luminosa appare a Frank coricato e lo guida nella notte al luogo impervio dove la madre è stata bloccata da un tronco caduto, e gli infonde una forza soprannaturale per liberarla. Bill Post non può far altro che piangere di commozione quando vede i suoi cari far ritorno sani e salvi, e grattarsi la testa quando qualche giorno dopo trova il tronco che il piccolo ha sollevato.
E’ una delle tante storie che si possono raccontare in una famiglia a proposito di nonni lontani (quella volta che il tal papa fu ospitato dal trisavolo nella Torre di Voltri...). Thomas Steinbeck ha udito da gente del luogo il racconto vero o fantastico, di un’epoca anteriore, ma che risulta efficace nella sua narrazione insieme decantata e suggestiva, senza facili effetti ma concentrata sugli eventi.
Il secondo racconto riguarda di nuovo i Post, e un ragazzo, John, lavoratore avventizio nel loro ranch che recandovisi a cavallo scorge addirittura il favoloso “grande orso del Big Sur”, creatura i cui ultimi esemplari risultano scomparsi da molti anni. Eppure lui l’ha visto e lo racconta ai compagni quando arriva a destinazione, facendosene prendere in giro. Per tutta l’estate continuerà a cercare prove dell’esistenza dell’animale e così si vedrà decurtato per scarso rendimento la paga e dovrà addirittura farsi imprestare dalla signora Post i quattro dollari della corriera per tornare a Salinas. Quindi restituisce i quattro dollari attingendo al salvadanaio. Il racconto si conclude con la lettera di John e la notizia che egli “conservò per anni” la ricevuta della signora Post “in ricordo del suo orso e delle spese cui si era esposto per correre dietro alle sue magiche visioni”. Fuori dal libro Thomas ha chiarito che questo racconto risale a suo padre John, il ragazzo che aveva “visto” il grande orso e vi aveva perso dietro un’estate. Una metafora della sua vita di scrittore? Tutto Sul fondo di un mare senza suono, dice, nasce da un’atmosfera di amore dei racconti orali che vigeva in famiglia. Racconti che se sono buoni non hanno paternità, passano da una cultura all’altra.
Con la sua scrittura circostanziata ma lieve e poetica, Thomas Steinbeck interroga il confine fra fatto e fantasia e rivela quanto esso è labile. Ma la ricchezza dell’elemento onirico è fondata sulla puntigliosità della ricostruzione. In Fortuna cieca abbiamo addirittura l’epopea di un marinaio coinvolto in uno dei più drammatici naufragi al largo del Sur (1894). E come sarebbe successo diciamo a San Fruttuoso di Camogli, c’è anche qualche coraggioso che riesce a prendere il mare di notte per trarre alcuni naufraghi in salvo, fra cui il giovane Chapel Lodge che è tuttora alla ricerca della fortuna nella sfortuna e infine la troverà nell’ameno porticciolo di Monterey.
Un evento acquista importanza se lo sguardo del narratore gliela sa dare con la sua cura. Così questi brandelli di storia locale divengono davvero delle vicende memorabili, e il libretto è uno di quelli che consiglio ai viaggiatori che hanno qualche dimestichezza con il mare insondabile e con ciò che al suo cospetto può in tutta semplicità scoprirsi.
“Il Manifesto-Alias”,
11 dicembre 2004