Jean D’Ardenne
Staglieno
Jean D’Ardenne: Notes d’un vagabond.
Bruxelles 1887
Cimitero di Genova, 8 maggio
Diis Manibus stultitia et vanitas consecrarunt. Tra i monumenti con cui la
nauseante stupidità degli uomini si è compiaciuta di decorare la faccia della
terra, non ne conosco uno più riuscito del Campo-Comico-Santo di Genova, che si
disegna a mezzaluna sul bordo del Bisagno.
Le arcate dell’acquedotto
sovrastante la valle di Staglieno, le colline verdi disseminate di bianche
ville, la cintura di forti che incorona le vicine creste, offrono a questo
asilo della funebre buffoneria una delle migliori cornici al mondo. Dall’alto
dei bastioni che sovrastano la montagna su cui la città s’inerpica risplende
questa cornice e, con la rientranza della vallata, dietro le colline degradanti
verso il mare, appare il golfo, la grande distesa azzurra e luminosa, sotto il
cielo radioso.
Il Bisagno
fa una curva davanti al cimitero. È un cugino del Paillon
presso Nizza. Tutti cugini, i corsi d’acqua di questa costa, e il marchio di
famiglia è che l’acqua, appunto, manca a tutti loro tanto che nulla meglio dei
loro letti è una garanzia contro l’umidità. Si conosce la definizione del Paillon: “fiume nizzardo dove gli abitanti mettono ad
asciugare il bucato”. Ma è pur sempre trattare il Paillon
come qualcosa di unico. Non è corretto. Ce n’è parecchi di assetati, che
solcano il litorale montagnoso dal golfo del Leone e del golfo di Genova, la
riviera di Ponente e la riviera di Levante. Il Var
stesso, padre di questa nidiata torrentizia, ha sempre l’aria di chiedere da
bere.
Dal bastione della porta San
Bartolomeo osservavo il Bisagno. La giumenta di Gargantua sembrava ci avesse pisciato dentro, il giorno
della battaglia di Pavia. Dopo d’allora, il prodotto aveva marinato al sole; ne
risultava un esile rigagnolo di un giallo sporco e nerastro, diffuso attraverso
l’ampio letto di ciottoli arsi, su cui la luce accecante cadeva in maniera
crudele.
Staglieno è, per parte sua, un borgo
un po’ particolare, e la strada che vi conduce, dalla porta Romana, risale la
riva destra attraverso uno di quei desolati quartieri dove vengono relegate le
attività di uno scomodo vicinato.
Il Camposanto di Genova dà la misura
di ciò che l’Italia moderna ha fatto della grande arte michelangiolesca. Ma i
mercanti arricchiti dell’antica repubblica qui hanno aggiunto un grado
supplementare all’ignominia corrente. In presenza dei campioni prodigiosi che
compongono questa galleria funeraria, ci si interroga su cosa stupirsi di più,
se della stupidità esuberante di chi ordina simili lavori, della sfrontatezza
di chi li esegue, o dell’ingenuità del pubblico che li ammira e compra
all’ingresso le riproduzioni fotografiche dei ridicoli monumenti.
L’arte del marmo! E che apoteosi di
stupido sentimentalismo! C’è una serie di gruppi e figure, dame e signori a
grandezza naturale, che hanno l’aria non di incisioni, ma di sculture di moda, se così posso
esprimermi. I lavoranti che si adoperano alla bisogna imitano con sorprendente
esattezza il tessuto e i disegni delle stoffe e perfino le impunture dei panni.
Producono cravatte impeccabili, stivaletti che paiono appena lucidati, benché
siano di marmo bianco, cappelli orlati come da un cappellaio e occhielli da far
ammattire i sarti. Eseguono di tutto, quei tipi in gamba: panneggio, maglieria,
camiceria, calzature, modisteria, gioielli, sete e velluti, fiori e piume.
Fanno concorrenza perfino ai parrucchieri. Soltanto una specialità hanno del
tutto trascurato, la statuaria.
Molte vedove sconsolate si fanno
scolpire in elegante toilette da lutto, in attesa, alla porta del sepolcro
dello sposo, del momento del ricongiungimento. Un avvocato, in abito scuro e
toga, con bella catena d’orologio, è rappresentato nell’esercizio della
professione, mentre arringa; la vedova, inginocchiata, ascolta la perorazione.
Si vedono mogli di pastai che salgono in cielo, crocchie disperate presso un
letto di morte, onesti commercianti esibiscono gioielli ai polsini, piccole
damigelle svenute su poltrone imbottite, con foderine all’uncinetto. Un giovane
aitante, in piedi, soprabito sul braccio, bombetta in mano, anello al dito,
spilla alla cravatta, catenina con medaglietta al gilet, guarda il padre, in
camicia, che ascende come Gesù Cristo. Il giovanotto pare trovare la cosa del
tutto naturale.
Alla fine, questo genere di comico
funereo produce una sensazione di disagio e fastidio. Le mistificazioni macabre
prolungate producono questi effetti sulle persone nervose. Uscendo dal
Camposanto, provavo qualcosa di orribilmente spleenico;
non riesco a tradurre meglio la mia impressione che con queste parole: avevo
voglia di prendere a botte qualcuno.