Carlo
Stagnaro
l’ambietalista scettico
Una vecchia barzelletta
narra d'un uomo che, avendo sentito dire in una conferenza che il mondo finirà
tra sette milioni di anni, s'alza e interrompe bruscamente l'oratore,
chiedendogli di ripetere. Questi, stupito, ribadisce la propria tesi, al che
l'uomo, rinfrancato, esclama: "Meno male. Avevo inteso che il mondo
sarebbe finito appena tra settecentomila anni".
E' una battuta, nulla
più. Ma aiuta a comprendere molto dei nostri tempi. Fino a non molti decenni
fa, le masse avrebbero guardato con ironia a certi spauracchi. La saggezza
popolare, infatti, vuole che si rendano in considerazione prima i problemi
immediati, poi quelli che potrebbero verificarsi nel futuro prossimo, e via via
fino a quelli di lungo termine. L'arco della vita d'un uomo, va da sé, era considerato "lungo termine". Nessuno
si sarebbe mai sognato, e con ottime ragioni, di interrogarsi su quel che
accadrà tra un'era geologica. Oggi, invece, v'è un'intera categoria d'individui
- gli attivisti verdi - che alimentano timori di stampo millenaristico e
traggono il proprio profitto proprio dall'ombra d'una minaccia che, secondo
loro, s'abbatterà sulla Terra tra chissà quanti secoli. Oppure, al contrario,
si concentrano sugli effetti d'un'azione nel brevissimo termine, trascurando
però sempre di vagliare il comportamento umano alla luce d'un'analisi dei costi
e dei benefici - l'unico strumento di cui disponiamo per pronunciare un
giudizio meditato, non un'impressione o una sensazione.
Bjørn Lomborg,
statistico dell'università di Aarhus (Danimarca) ha definito "litania"
tutto questo coacervo di miti, che va dal riscaldamento globale all'elettrosmog,
passando per la fine della biodiversità e la non sostenibilità della crescita
economica e demografica. Non si tratta d'una presa di posizione impulsiva,
bensì d'una decisione meditata, sofferta. Egli, infatti, veniva dalle fila di Greenpeace,
è vegetariano, vota a sinistra. Insomma: avrebbe le carte in regola per
crogiolarsi tra gli ozi e i vizi d'una carriera all'insegna del politically
correct, che naturalmente - nel campo delle scienze naturali - prevede l'adesione
al, e la stretta osservanza del, credo ecologista. In effetti, in un primo momento
è così. Anzi, Lomborg, durante un viaggio in America, s'imbatte casualmente in
un'intervista a Julian Simon, economista
dell'università del Maryland, in cui questi sostiene che - contrariamente a quanto
si crede - l'umanità non è mai stata meglio di adesso, le cose sono sempre
andate migliorando e non v'è ragione di
credere che la tendenza s'invertirà, la sovrappopolazione è una chimera e v'è
sul pianeta abbondanza di spazio e
risorse per tutti. Insomma: una collana di bestemmie per l'orecchio raffinato
d'un verde.
Lo studioso danese, di
ritorno in patria, si mette dunque in testa un obiettivo: sbugiardare il
mentitore a stelle e strisce. Appronta
un gruppo di lavoro, raccoglie dati, li analizza. Cioè, fa il proprio lavoro - legge statistiche, le esamina in profondità,
ne trae una lezione. E scopre che Julian Simon ha ragione. Così, ripudia le sue opinioni passate e
raccoglie il prezioso insegnamento in un libro, destinato ad avere il medesimo
effetto devastante del bambino che, nella favola, urla che il re è nudo. Il
volume, più di cinquecento pagine, quasi
tremila note, oltre milleottocento testi in bibliografia, s'intitola The skeptical
environmentalist. Measuring the real state
of the world (Cambridge University Press, 2001) e fa il verso a Lester Brown, potente
leader del World Watch Institute e autore del rapporto The state of the world,
autentico concentrato di catastrofismo.
Le conclusioni di Lomborg
sono nette: prendendo in esame qualunque parametro oggettivo (durata media della vita, aspettativa di vita alla
nascita, mortalità infantile, reddito medio, livello medio di scolarizzazione, disponibilità delle risorse
naturali.) lo stato di salute dell'umanità e del mondo è in via di netto miglioramento. Questo è vero a
livello globale, ma anche per i paesi più arretrati - sebbene vi siano alcune eccezioni locali. In generale,
sostiene lo statistico nordeuropeo, gli uomini debbono metter da parte le paure che sono sorte negli
ultimi anni e affrontare la realtà con gli strumenti della ragione: il che significa, in primo luogo,
saper individuare i problemi più gravi e tentare di risolverli. In altre parole, stabilire delle priorità. Il
mondo non sta bene in senso assoluto; ma senza dubbio oggi si vive meglio di cinquanta, cento o mille anni
fa. "Noi dobbiamo concentrarci sul livello d'incertezza - egli argomenta – sulla direzione
dell'incertezza e quindi sui probabili costi e benefici per i differenti livelli d'azione. Naturalmente non possiamo
limitarci a scegliere di credere nel futuro. Ma la documentazione e gli argomenti forniti in questo
libro possono avere un effetto considerevole, poiché possono liberarci delle nostre preoccupazioni
improduttive. Possono darci nuova fede nel fatto che stiamo creando un mondo migliore, prendendo
parte alla produzione di beni tangibili e intangibili da parte della società. Le cose sono andate così
bene perché ci siamo dati da fare per migliorare la nostra situazione. In
alcune circostanze, questo è accaduto quasi automaticamente, come nella
continua crescita di benessere
economico. Siamo diventati sempre più ricchi soprattutto grazie alla nostra fondamentale organizzazione in un'economia di
mercato, e non perché ci siamo preoccupati. Nel mondo è disponibile più cibo non perché ci
siamo preoccupati, ma perché individui e organizzazioni creative hanno inventato una rivoluzione
verde. Non è perché ci siamo preoccupati che abbiamo più tempo libero, più sicurezza, redditi più alti
e un'istruzione migliore, ma perché abbiamo affrontato i problemi". E gli
abbiamo risolti, com'è nella nostra stessa natura.