Francesco Rognoni
Alessandro Spina,
sprezzature critiche e amicizie di un intransigente
L’autunno
di due anni fa, quando la Libia riempiva
le prime pagine di tutti i quotidiani, qualsiasi giornalista avrebbe fatto la
fila per intervistare Alessandro Spina, che di faccende libiche, avendo diretto
per quasi trent’anni l’importante industria di famiglia a Bengasi, s’intende
più di chiunque altro. “Ecco la buona occasione anche di venderli, questi libri
che tanti lodano e ben pochi comprano!” si sarà detto allora Ilario Bertoletti,
direttore della Morcelliana. Senza però farsi soverchie illusioni. Ché
Bertoletti, intelligente com’è, da lunga pezza dev’essersi rassegnato
all’ombrosa intransigenza del suo illustre romanziere, saggista, diarista,
epistolografo, insomma del suo autore più “totale”: il quale il successo –
“lemma maledetto” – lo sta studiosamente, e felicemente, evitando da tutta la
vita.
E
infatti, proprio nei mesi in cui avrebbe potuto intervenire con la massima
autorevolezza su un tema di “attualità”, Spina si dilettava a scriver di
tutt’altro: i pezzi di varia letteratura e umanità, per lo più apparsi su “Avvenire”,
che ora, raccolti e ritoccati, con sapiente montaggio vanno a comporre questo
luminoso, perenne Elogio dell’inattuale (Brescia,
Morcelliana, pp. 189, euro 15,00). Con piglio un po’ ruvido da saggista
anglosassone (cioè agli antipodi dell’elzeviro) e una buona dose di
sprezzatura, l’autore dei Confini
dell’ombra, raffinatissimo melomane, ancora furibondo per l’ultima
mise-en-scene del Tristano alla
Scala, allestisce la sua rappresentazione, lieve ma fittamente ordita di
leitmotiv, sulla “mente come spazio scenico”: dove “civiltà d’Oriente e
d’Occidente, pur gelose ognuna della sua specificità”, convivono in dinamico
equilibrio, “come si conoscessero varie lingue”.
Tornano
gli scrittori favoriti, quasi tutti stranieri: Checov, Dostojevskij, Balzac, Maupassant,
Musil (non solo Robert, ma anche il cugino Alois, autore d’un viaggio in
Arabia, meticoloso “inventario del
deserto”), Fontane, Hofmannsthal, Mann, naturalmente, l’adorato Mann, e poi
Conrad, Cervantes, la contessa di Boigne... Ma c’è anche qualche italiano,
riletto con perfidia, Pirandello ad esempio (“Mi si dirà che il grigiore
dell’ambiente giustifica la parabola esistenziale di Mattia. Ma sì! Però se lui
è fuggito dal paesello… anche il lettore
vuole fuggire dal romanzo”), impazienza (“Comisso finge di viaggiare”), incredulità (“un vortice di nulla”, Mal d’Africa di Bacchelli: “le frasi
sfilavano con lo stesso passo come soldati a una parata, ma sappiamo tutti che
ciò non serve nella battaglia”); o gratitudine e rinnovata ammirazione, per la
“bravura artigianale” del Verga in Mastro
don Gesualdo, o per il “bel passo” con cui il principe di Salina gira
ancora il mondo.
E
sfilano i grandi amici di una vita, Cristina Campo, Vanni Scheiwiller
(affettuosamente, “lo gnomo dell’editoria italiana”), il musicista Camillo
Togni; e altri sconosciuti ai più, come l’infaticabile lettore Michel Balzamo,
la poliglotta “dama moscovita”, che sa farsi amare dai figli per la sua
severità quasi da “padre” d’altri tempi, il notaio libico, il linguista francese
che un giorno, su una spiaggia africana, se n’era uscito con l’osservazione
lapidaria, rivolta allo stesso Spina: “È
ovvio che lei ha scelto l’estraneità come metodo, una frase che ha
l’evidenza di una lastra tombale, solo che cela vita, non morte”.
Sì,
il “successo” Spina credo che riuscirà sempre ad evitarlo. Ma la “fama” ormai
temo sia quasi ineluttabile: proprio negli stessi giorni in cui, nelle nostre
librerie, esce l’Elogio dell’inattuale,
in quelle francesi appare Triptyque
lybien (L’Age d’Homme), bel titolo sotto cui sono raccolti i primi tre
romanzi del ciclo africano, Il giovane
maronita, Le nozze di Omar e Il visitatore notturno. Così Spina entra
nella galassia del compianto Vladimir Dimitrijevic, “il più improbabile e il
più pratico degli editori” (Calasso), che l’ha fortemente voluto in catalogo,
ma ora purtroppo potrà contemplare solo sugli scaffali delle librerie
dell’aldilà un altro di quei suoi autori, tipici nella loro unicità, “che hanno
una certa smisuratezza dell’anima […] che traboccano dalle cornici della
realtà” (sempre Calasso, nell’Impronta
dell’editore). “Alias-il manifesto”, 28 aprile 2013