Eric Stark
Phil Sparrow
Jeremy Mulderig:
PHILIP SPARROW TELLS ALL: LOST ESSAYS BY S. STEWARD, WRITER, PROFESSOR, TATTOO
ARTIST. University of
Chicago Press, 2015
Informare
dettagliatamente il dottor Alfred Kinsey sulla
propria predatoria attività sessuale, abbordare, anche solo per diminuire i
gradi di separazione da O. Wilde, il maturo Lord Alfred Douglas, metter su,
dopo aver lasciato l'insegnamento in cattolicissimi colleges,
un'attività di tatuatore (conquistandosi, impresa non
facile, la fiducia degli Hell's Angels)
scrivere, sotto svariati alias, racconti brevi e lunghi (non di solo argomento omoerotico): questo e altro ancora praticò Samuel Steward
(1909-1993). Quando nel 2010 Justin Spring illustrò
“vita e opere di S. Steward, Professore, Artista di Tatuaggi e Avventuriero
Sessuale” parve di trovarsi in presenza di una burla letteraria tanto era
spinta la mostruosa versatilità del biografato, ma il dettagliato e documentato
resoconto delle molteplici ed estreme attività (grazie alla maniacale
registrazione ed archiviazione dello stesso Steward) convinse anche i più
scettici della sua “reale” esistenza e dissipazione. Allora originò il piccolo
culto di colui che, letto Kinsey e patteggiato con le
sue oscure pulsioni, vantava un curriculum di conquiste, estese da Rudy Valentino (su cui qualcuno avanza dubbi per motivi
anagrafici) al futuro Rock Hudson, passando per T. Wilder e sfiorando, nei tours europei (puntatina a Villa Borghese inclusa) J. Genet o T. Mann. Certo il grosso degli incontri,
minuziosamente dettagliati nei files tenuti per il
sessuologo americano, relazionavano su marinai, piccoli delinquenti e operai al
tempo in cui, proprio per il divieto di parlarne apertamente, il confine tra
pratiche lecite e no veniva oltrepassato più spesso di quanto non si
sospettasse.
Elusivo e sfuggente in
vita, da un lato, ma ben deciso a lasciare traccia archivistica della propria
avventura intellettuale e sessuale, dall'altro, Steward confessò di aver
cominciato a capire qualcosa di se stesso dopo aver sfilato dalla sezione
riservata di una biblioteca pubblica il volume di Havelock
Ellis sulla “sexual inversion” ma contemporaneamente tentò di evadere da quelle
razionalizzanti per quanto al tempo illuminate griglie mediche. I libri e il
sesso, che da subito lo avevano coinvolto, ebbero modo di incontrarsi e
provvisoriamente quietarsi in frammenti autobiografici e nella compilazione di
quelle schede (più che nella sfortunata esperienza di narratore tout court) in
grazia di un dettato stringato ed elegante, alieno da ricami e disilluso, come
quando Steward paragona un locale YMCA di San Francisco ad un bordello dove
sotto un occhio paterno ed indulgente in un minuto si commettevano più peccati
che nell'antica Roma.
Pubblicando ora Philip
Sparrow Tells All: Lost Essays
by S. Steward, Writer,
Professor, Tattoo Artist (a cura di Jeremy Mulderig, 2015) la University of Chicago Press prova a dare sostanza letteraria al
profilo eccentrico e scialacquato, epicureo ma alla fine solitario ed infelice
di Steward. Si tratta della collaborazione, iniziata “dal punto di vista della
vittima”, al mensile dei medici dentisti dell'Illinois avvenuta (col nom de plume, appunto, di Philip Sparrow) tra il 1944 e il 1949. Già dal titolo il primo
intervento è allettante: “Sul sadismo sublimato o il dentista come Iago” ma
dopo pochi mesi l'autore abbandona la poltrona del paziente per proseguire con
note poco scontate sulla crittografia e lo spionaggio, gli Alcolisti Anonimi e
i sei stadi dell'ubriachezza, i cimiteri per animali, il bodybuilding, i
tributi a gente conosciuta (spiccano le estati degli anni trenta trascorse in
Francia a casa di Gertrude Stein) l'opera e il balletto, sulla falsariga del saggismo umanista personale aggiornato ad H. Ellis e S. Freud, sostanziato di accenti umoristici ed
allusioni tragiche (non sappiamo quanto notate dagli abbonati del periodico)
vedi le considerazioni sulla “fraternità spettrale” dei combattenti o sulla tessera
di membro della “League of War” rilasciata solo a chi
abbia gettato uno sguardo nel vuoto temibile dell'orbita di un teschio
scarnificato. Accenni sfuggenti ad una guerra, col suo lascito di reduci e
spostati, cui Steward non prese parte ma di cui, per le sue tante
frequentazioni, senza dubbio riuscì ad immaginare le conseguenze e i disagi sul
fronte interno.
Solo negli anni
cinquanta, frustrato nell'insegnamento, decise di vivere scopertamente, da
artista tatuatore, le ossessioni sessuali e autodistruttive
fin lì frenate, spingendosi sempre più verso l'alcolismo con le sue compagne,
solitudine e depressione, mentre i faldoni di testi non pubblicati/non
pubblicabili crescevano. Non ingannino le frequentazioni moderniste (come il
carteggio con la chiacchierata coppia Stein-Toklas,
da lui stesso pubblicato, farebbe supporre) dal momento che nemmeno quei
circoli o salotti, sfuggirono alle sue amare e dincantate
valutazioni. Il suo approccio diretto e poco diplomatico, da solitario e
outsider, ironizzava sulla voglia di normalità ante litteram delle coppiette same-sex: se a Parigi si trattava di boicottare Cocteau o Genet (e quanti desiderassero stabilizzarsi in una
famiglia) a Chicago (lui, adoratore di Verdi) denunciò Cage come cospiratore
dedito a distruggere la musica moderna e, giudicando dal lascito postumo, al dripping e all' informale continuò a preferire i graffiti
dei bagni pubblici. La letteratura, così malamente corteggiata, lo ripagò della
stessa moneta negandogli la reputazione che forse nemmeno cercava. Tra tanta
dispersione e abbandono, trovò comunque modo di omaggiare le due vecchie
amiche, facendo di Stein e Toklas le indagatrici del
racconto “Murder is Murder is
Murder” e, più continuativamente, a nome Phil Andros
relazionò la sua scienza innominabile in diversi gay pulps.
Al tatuaggio, su cui scrisse a più riprese una personale storia sociale, rimase
sempre fedele.
“Fogli di Via”, marzo-luglio
2016