Massimo Bacigalupo
Beatrice Solinas Donghi
e “L’uomo fedele”
Il 23 ottobre 2015 è scomparsa
Beatrice Solinas Donghi,
scrittrice ligure ultranovantenne. Nata nel 1923 a Serra Riccò,
ha attraversata con la sua presenza discreta il secondo Novecento, pubblicando
romanzi e racconti per Feltrinelli, Rizzoli e Bompiani, tenuta a battesimo da
Anna Banti e Giorgio Bassani. Ma è stata anche una
delle massime conoscitrici della letteratura per l’infanzia e della favolistica,
a cui ha dedicato un saggio importante, La
fiaba come racconto (Mondadori 1993), e tantissime recensioni, sempre acute
(su “Tuttolibri” fra l’altro). Per Mondadori curò nel
1982 con Pino Boero Fiabe liguri, e
dal 1986 ha scritto soprattutto per ragazzi. Di madre inglese, BSD aveva grande
passione e esperienza dei narratori dell’Ottocento, come dimostra il suo Emily Brontë. Al
di qua della leggenda (Campanotto 2001). Insomma,
da BSD c’è molto da imparare. Nelle ultime raccolte, La bella fuga (La Tartaruga 1992) e Vite alternative (Il Canneto 2010), si muove con tranquilla
sicurezza lungo secoli di storia, cogliendo piccole situazioni e miniature, e
facendo sempre scattare la molla dell’intreccio e della curiosità.
Si veda, in Vite alternative, L’anello di
Gige, dove un compagno di treno racconta
un’esperienza traumatica perché troppo perfetta e ne fugge terrorizzato. O il
bellissimo Stato confusionale, dove
una vecchia scrittrice si ritrova alla stazione (reduce da una conferenza
presso una scuola come BSD ne faceva tante) e si accorge di non sapere più chi
è e dove sta, e comincia a cercare di raccapezzarsi domandando qua e là... E
forse una cosa del genere sarà proprio successa a BSD anziana, con quella sua intelligenza
così pacata, ma anche un po’ lontana e assente.
Beatrice Solinas
Donghi è stata sempre legata alla coetanea e
corregionale Camilla Salvago Raggi, e nel 2011 la
Fondazione Devoto ha pubblicato Lettere
verdi, carteggio 1938-40 delle due adolescenti, un libretto straordinario per
la maturità e intelligenza delle corrispondenti, che già pensano con la loro
testa e si raccontano libri che progettano, oltre che letture, film, innamoramenti,
la guerra. Camilla è tutta esuberante, “Paqui” (come
BSD era universalmente nota) più laconica ma altrettanto incisiva. E scrivono splendidamente,
senza mai una nota falsa. Sono loro, pienamente ricreate (e infatti Paqui dice a Camilla: “Siamo più amiche per lettera che
quando ci vediamo, forse dipende dal fatto che siamo tutt’e due scrittrici quindi sappiamo scrivere,
cosa che dev’essere parecchio rara”). La maturità di
queste ragazze, che pure hanno anche tutte le passioni dell’età, sbalordisce e
istruisce.
Oggi è anche possibile rileggere il primo
romanzo (1965) di BSD, L’uomo fedele
(Erga 2014, pp. 233): racconto in prima persona di una ragazzina contadina che
vive gli anni trenta in una “villa” genovese, cioè una piccola tenuta agricola,
col padre vedovo trentenne, un parente epilettico, delle nonne stravaganti e
delle zie ficcanaso. Soprattutto con una cugina-amante del padre, Polonia, con
cui ha un rapporto violentemente conflittuale. L’uomo fedele è un bellissimo libro (fu finalista al Campiello),
immerso nello stupore della campagna e della vita sul nascere, scritto in un
italiano straordinariamente limpido, con uno scoppiettio di modi di dire popolari
alla Meneghello. Tutto un mondo di cultura e di
lingua vi viene ricreato, e il plot,
il benedetto plot, non stagna, è
grave e pietoso a suo modo.
Direi che qui come altrove la nostra Paqui non ha nulla da invidiare a una Alice Munro, e poi
c’è il vantaggio che possiamo leggerla e godercela nel suo (e nostro) italiano
ritrovato.
“il manifesto Alias domenica”, 23 gennaio 2016