Jean Montalbano
softiana
Girava nei mesi scorsi, e se ne fece esperienza anche sui nostri lidi,
un quartetto che fin dalla presentazione rivendicava ascendenze titolate; ma autonominarsi eredi e depositari del legato Soft Machine espone al rischio di duri
confronti e l’esito può richiamare a volte il triste circuito americano dei
casinò in cui si spengono più o meno dignitosamente le vecchie glorie dello
show business.
Forse intuendo un tal catastrofico tramonto Mike
Ratledge, organista co-fondatore
della band con Daevid Allen
e Robert Wyatt, si è sempre
rifiutato (ammesso
che gliene abbiano prospettato la fattibilità) di ritornare sui palchi sotto
quella gloriosa insegna. L’ultima volta che lo vedemmo, a metà anni settanta se
ben ricordiamo, uno scazzo annoiato
traspariva da ogni suo intervento alle tastiere: Karl
Jenkins era entrato nei Softs
in sostituzione di Elton Dean
profilandosi già nell’album doppio Six come nuovo autore e, sul palco, ritagliandosi
gradualmente il ruolo di maestro cerimoniere. Quando ormai pareva padrone
assoluto, debellate pure le miti sedizioni di Hopper
e Dean dopo le erosioni vocaliche di Wyatt, Ratledge abdicava al regno
per cui si era battuto come se l’apparente
pacificazione raggiunta ne avesse spento le residue velleità creative (e il gruppo
di supporto di quel tour italiano, i nostrani Area, diceva bene il clima in cui
intristivano le ultime impennate all’organo e al piano del ben altrimenti
cerebrale Mike). Un tempo morbida
(o molle o soffice) ma soprattutto scattante, la macchina adesso sembrava
condannata ad arrancare sui tornanti risaputi del jazz-rock una volta perse per
strada tentazioni patafisiche o tanghi lasvegasiani: l’enclave caparbiamente difesa dagli assalti
pop, sospettati di faciloneria e canzonettismo, si
arrendeva alle imperanti tappezzerie geometriche dei figliocci di Miles.
British
Tour ’75, appena uscito su
MLP, documenta quel problematico tornante (è l’epoca
del disco Bundles)
gratificandoci almeno del quarto d’ora improvvisato di Sign of Five. Ma è
tutta la prima metà, ancora fervida, degli anni settanta ad essere oggetto di
copiose ristampe in cd, testimoniando di un accanimento che la dice lunga su
certe archivistiche manie mutuate dal circuito “colto”. Aveva cominciato a
grattare il barile l’etichetta Voiceprint (Breda Reactor,
l’ultima uscita, riporta un concerto olandese del 1970 tenuto dal quintetto con
Dobson) ed ha continuato
Sbirciatina sull’intera carriera e su ciò che sarebbe
potuto essere l’offre la riproposta, da parte della Hannibal
Records, del concerto-rentrée della fazione fedele al
re in esilio Wyatt, tenuto al londinese Drury Lane sul finire dell’estate 1974, dove anche i pezzi dei Matching Mole vanno a rimpolpare il canone in formazione
dell’esautorato vocalista, mentre interesserà solo i completisti
il doppio antologico Soft Machine: Out-Bloody-Rageous
(1967-1973) che Bmg-Sony manda nei negozi (?!)
utile per accompagnare il libro dal medesimo titolo di Graham
Bennett (SAF
Publishing)
ricco di materiali d’archivio, interviste e puntualizzazioni.