le voci che corrono
Sherlock Holmes, regia di Guy Ritchie
Sherlock
Holmes. Regia di Guy Ritchie.
Prodotto da Joel Silver, Lionel Wigram, Susan
Downey, Dan Lin. Scritto da Michael Robert Johnson, Anthony Peckham, Simon
Kinberg, Lionel Wigram. Interpretato da Robert Downey, Jr., Jude Law, Rachel
McAdams, Mark Strong, Eddie Marsan, Hans Matheson. Musica di Hans Zimmer. Distribuito da Warner
Bros. Pictures.
((USA, Gran Bretagna, Australia, 2009)
Il film è approvato dai Baker Street Irregulars che ogni anno si
riuniscono per discutere del loro eroe.
(Fulvia Caprara, “La Stampa”,
15 dicembre 2009) …Lo Sherlock Holmes di Guy
Ritchie, presentato ieri a Londra nei saloni austeri della Freemasons Hall,
nella sede londinese della massoneria, dove sono state ambientate varie scene
della pellicola, è un thriller d'epoca con i ritmi di Mission impossible e
qualche sbandata nel fantastico che sa di Harry Potter. Tutto, a iniziare dalla
coppia dei protagonisti creata da Sir Arthur Conan Doyle, ovvero Holmes
l'imbattibile investigatore interpretato da Robert Downey jr. e Jude Law il
dottor Watson, amico fedele e collaboratore paziente, punta a offrire una
versione inedita del racconto.
Gli esperti sherlockiani sparsi nel mondo potrebbero aver molto da ridire, ma
il regista ex-consorte di Madonna difende a spada tratta la sua scelta:
«Abbiamo cercato di riportare Sherlock Holmes a quelle che noi crediamo sia la
sua origine e cioè un carattere molto viscerale, profondamente attratto dalle
arti marziali, dalla fisica e dalla chimica e soprattutto dalla condizione
umana. La storia è ambientata nel 1890, ma abbiamo cercato di renderla il più
contemporanea possibile». …
(Paolo D'Agostini, “la Repubblica”, 23 dicembre 2009) Sicuramente
ci sarà un partito di scontenti e di detrattori di questa stupefacente nuova
tappa nella discontinua carriera dell'ex "signor Madonna". Il punto è
qui quello di stabilire se la sua rilettura del personaggio di Sherlock Holmes,
con la sua vistosissima e provocatoria regia, sia affidata esclusivamente al
gusto di stupire e al piacere di abbagliare, senza sostanza sotto. Oppure se
(prendiamo ad esempio l'ultimo Terry Gilliam di Parnassus, anche se il
confronto tra le due personalità e i rispettivi curricula è generoso verso
Ritchie) la fantasmagoria degli effetti sia "al servizio di" e parte
sostanziale di un'operazione ammirevolmente creativa. Senza sbracciarci per
gridare al miracolo, qui votiamo la seconda. Decisivo è il carisma, via via nel
tempo acquisito e qui esaltato, dell'attore Robert Downey jr. È lui che fa
rivivere il fascino stravagante ed eccentrico del genio deduttivo concepito da
Arthur Conan Doyle, dell'investigatore capriccioso e infallibile e
incredibilmente erudito di Baker Street. Ma l'avventura inventata per il film
aggiunge molto di suo. Armonizza l'impiego di uno stile velocissimo e
sorprendente - che tiene insieme la classica ambientazione cupamente londinese
fine Ottocento, con le arti apprese dal regista nella sua frequentazione dei
linguaggi pubblicitari - con l'attualizzazione di un Holmes che fa valere la
sua schiacciante superiorità non solo dell'ingegno e dell’intelligenza
prodigiosi ma anche dei muscoli, dell'abilità e velocità nel colpire: quasi da
cinema delle arti marziali. Gli è accanto il consueto dottor Watson (Jude Law),
vittima un po' riluttante della sua brillantissima e irresistibile arroganza,
soggiogato e trascinato per bassifondi malgrado il proposito di rifarsi una
vita con una deliziosa fidanzata che il misogino e geloso Holmes fa di tutto
per mettere in cattiva luce. Si tratta di tenere testa allo smarrimento
incompetente di Scotland Yard, alla corruzione massonica penetrata nelle più
alte sfere, e al terrore che dilaga per Londra. Si tratta di smascherare un
ciarlatano che ha plagiato tutti i suoi adepti persuadendoli di possedere doti
soprannaturali e contatti diretti con il Maligno. Naturalmente per imporre il
suo tirannico e avido potere sul mondo intero. Per fortuna del film, e nostra,
regista e attori non fanno mancare il fondamentale supporto umoristico e
dell'autoironia. Che dire? È uno di quei film - e, dato il genere, la faccenda
non è proprio indifferente - di fronte ai quali alla fine hai l'impressione e
anzi ti accorgi decisamente che non tutto l'intreccio scorre fluido e
plausibile. Ma onore alla capacità di suggestione che ti fa dimenticare le
incongruenze e ti avvolge nell’atmosfera.