Bo Botto
C’era
una volta Sergio Leone
Sergio Leone : C'ERA UNA VOLTA IL CINEMA. I miei film, la
mia vita. A cura di Noël Simsolo. Il Saggiatore, 2018
Noël Simsolo (1944)
ancora giovanissimo pubblicò con Seghers una monografia su Hitchcock per
diventare da lì a poco una delle firme di spicco dei "Cahiers du
Cinéma". Con le edizioni della celebratissima rivista - derogando dalle
sue altre molteplici attività di sceneggiatore, regista, pittore e scrittore -
ha pubblicato diverse monografie su alcuni registi e fra queste - avendo il
buon gusto di non intitolarla col fatidico "le cinéma selon..."
scegliendo invece la più icastica formula di "Conversation avec..." -
quella che è frutto delle conversazioni che ebbe con l'amico Sergio Leone. La
traduzione italiana di questo libro straordinario, curata da Massimiliano
Mattieri, opta per un'intitolazione evocativa dove confluisce tanto l'omaggio a
uno dei più amati film del regista italiano quanto la nostalgica allusione al
mondo dei cinefili - o con l'indovinato ritocco che si deve a Serge Daney,
ciné-fils, figli del cinema - che Simsolo e Leone hanno condiviso. Il giorno
che Simsolo gli presentò Samuel Fuller vide Leone trasformarsi "in un
ragazzino che si vergognava di chiedergli un autografo". È precisamente
nel bel mezzo di una cena durante la quale si erano messi a parlare del libro
di interviste a Fuller che Simsolo aveva realizzato con Jean Narboni, che ai due
amici venne l'idea di pubblicare le conversazioni finite in C'era una volta
il cinema, registrate a Roma, in casa di Leone e poi riviste senza
apportarvi importanti variazioni.
Il ruolo di Simsolo è
ridotto all'essenziale, con domande precise ma brevi che accendono i ricordi di
Leone in modo tale da giustificare il libro come autobiografico. L'ampiezza di
questi ricordi va al dettaglio senza che ci si accorga delle inevitabili
digressioni. Leone parla ovviamente del suo cinema come regista ma anche della sua
lunga attività in qualità di assistente per altri cineasti (Gallone, Camerini,
Bonnard, Comencini, Steno, Le Roy, Wise, Walsh... "a quel tempo ero
l’assistente più richiesto d’Italia. Lavoravo ininterrottamente"). E parla
dei suoi gusti, della sua passione per il poliziesco (anche al cinema), delle
sue preferenze fra i film western (malgrado il grande rispetto e l'ammirazione
per Ford, l'western che preferisce è Un dollaro d'onore di Hawks) e
delle sue valutazioni sui colleghi (più Lang e meno Hitchcock). Non manca per
giunta di raccontare la sua collezione di pittura orientata soprattutto verso i
surrealisti (Max Ernst, Tanguy e il prediletto Magritte, senza privarsi di un
grande ma meno popolare Victor Brauner - per non parlare di De Chirico e Matisse).
Toccanti e di grande
interesse storico sono poi le pagine dedicate al papà, attore di teatro,
regista cinematografico, frequentatore della "saletta rossa" di
Aragno, antifascista e comunista. I nonni di Leone, possidenti, avrebbero
voluto il figlio avvocato ma lui, appassionato di teatro, preferì prendere
un'altra strada tacendola ai genitori e nascondendosi così dietro a uno
pseudonimo: Roberto Roberti. Quando Leone diresse Per un pugno di dollari adottò
per parte sua - come si usava nei primi tempi dello "spaghetti
western" per dissimulare l'origine nostrana: e c'era chi ci cascava! -
quello di Bob Robertson, chiaro ossequio al padre.
“Fogli di Via”, gennaio 2019