Massimo Bacigalupo
Scott e Scottie Fitzgerald:
lettere di una educazione, scoperte e tradotte per la prima volta
Un padre quarantenne e una figlia quindicenne si scrivono quasi
quotidianamente nell’America della fine degli anni ’30. Il padre è Scott Fitzgerald (1896-1940), il
beniamino dell’Età del Jazz, cui diede un nome e un’identità letteraria. Messo
da parte sbrigativamente dopo il crollo del 1929, provato dal ricovero per
malattia mentale della moglie, la folgorante Zelda
che ballava sui tetti dei taxi e si buttava giù dalle scale se contrariata, in
perenne lotta con l’alcolismo, Fitzgerald si è
trasferito a Hollywood con un contratto
che dovrebbe permettergli di far quadrare il bilancio e pagare le rette delle
scuole esclusive a cui manda la figlia. Questa è Frances
(1921-86), detta Scottie o Scottina
(dopo i soggiorni francesi e italiani). E’ una ragazzina intelligente e vivace,
troppo per papà Scott, che teme per lei un futuro di
dissipazione ereditato dai chiacchierati genitori. Comincia così una
straordinaria corrispondenza fra il geniale e accigliato Fitzgerald
che non riesce a farsi strada a Hollywood, e l’allegra Scottie,
la più normale della famiglia. Fitzgerald le manda un
assegno settimanale e lunghe liste di consigli su come programmare la giornata,
cosa leggere, come scrivere, cosa pensare di quello che succede nel mondo,
nazisti, stalinisti, tramonto della vecchia Inghilterra e dell’Europa. Scottie, come confessò in seguito, apriva le lettere di
papà soprattutto per estrarne l’assegno, poi le cacciava in fondo a un
cassetto. Ma almeno le teneva, così nel 1963 furono pubblicate con tutte le
loro sagge e acute considerazioni e rimbrotti.
Fitzgerald,
che era in fondo al cuore un poeta, spiega a Scottie
cosa fa grande la lirica e le pone dei quiz. Qual è la poesia che torna ossessivamente in mente al tenente Henry di Addio
alle armi durante la ritirata di Caporetto?
Da dove viene il titolo del sopravvalutato Via
col vento? In quale brano di Il
grande Gatsby l’autore ha plagiato l’Ode a un usignolo di Keats? E le spiega come in ogni grande scrittore c’è
un’idea di fondo, “un filone d’oro solido, come il coraggio di Hemingway o l’arte di Conrad o
gli amplessi focosi di Lawrence”. E in lui, Fitzgerald, c’è “un senso saggio e tragico dell’esistenza”.
Quanto agli studi, le
vieta di iscriversi a un corso sulla “prosa inglese dal 700 al 900”: chiunque
non sa leggere i romanzi per proprio conto è un idiota. La poesia invece è
fondamentale e per essa occorre una guida, qualcuno capace di fartela amare.
Una volta comprese otto poesie di Keats, “in seguito sarebbe impossibile non sapere
distinguere l’oro dalla zavorra nelle proprie letture”.
Scottie conserva queste splendide lettere ma al momento è
troppo occupata dalle sue mille attività di collegiale adolescente per
meditarle. Studia presso New York ma è legata alla società di Baltimora dove il
culmine della vita sociale è il ballo delle debuttanti, “Bachelors’
Cotillion”. Scott ci tiene
che la figlia faccia la sua figura e la graziosa e allegra Scottie
fu certo una stella in quel mondo legato alle tradizioni del Sud. Non perde la
testa, anche se stravede per i coetanei e stila pagelle di desiderabilità per gli studenti di Princeton, Yale e Harvard (finì per sposare un ragazzo di Baltimora studente in
legge a Harvard). Nell’estate del 1937, a sedici
anni, Scott la
manda con alcune amiche in giro per Olanda, Francia e Inghilterra, “perché è
probabile che questi siano gli ultimi anni che potrai vedere l’Europa così
com’era”. Le raccomanda anche di tenere un diario e di non fumare. In questo
periodo la fa venire anche un paio di volte da lui a Hollywood e la presenta a Joan Crawford e Fred Astaire, idolo di Scottie. Ma i loro rapporti restano tesi, specie dopo che Scottie si è fatta espellere dal collegio per una fuga
senza permesso a Yale. Comunque Scottie
riesce a farsi ammettere a 16 anni alla prestigiosa Vassar
e diventa subito il centro di mille attività sociali, scrive commedie, pubblica
racconti, tiene sulla corda diversi spasimanti. Ha anche una buona media. Le sue lettere sono
esilaranti, affettuose e autoironiche. Papà le spiega
come trattare con le ragazze comuniste di Vassar (con
cautela, poiché per loro la politica è praticamente una religione), e d’altra
parte proclama orgogliosamente di
considerarsi “un simpatizzante di sinistra”. Il cantore dei Gatsby è anche acuto critico della classe in cui Gatsby sognava vanamente di essere accolto (non per
snobismo ma per amore).
Finora
erano note (in America) solo le lettere di Fitzgerald
alla figlia. Dovendo prepararne un’edizione italiana (Lettere a Scottie, Archinto, pp.
208, € 18,50), ho avuto l’idea di rintracciare anche le lettere di Scottie al padre, per far sentire entrambe le voci, così
rendendo più comprensibili le stesse lettere di Scott
e rivelando qual era la vera personalità epistolare della vulcanica teenager.
Le lettere di e a Fitzgerald sono conservate nella
biblioteca della sua università, Princeton, e qui sono saltate fuori le
straordinarie lettere inedite di Scottie ora
leggibili in prima assoluta in questa edizione italiana. E’ stata una scoperta
entusiasmante. Scottie si rivela ottima scrittrice,
piena di cose da raccontare, grande diplomatica, attenta a rappacificare e rallegrare
papà, anche se almeno una volta, in una lunga lettera di confessione dopo la
scappatella di Yale, si cosparge il capo di cenere.
Una ragazza di gran buon senso e inesauribile brio. Le sue lettere sono un
ritratto unico di un aspetto e di un periodo della società americana. Fitzgerald, grande cantore di bellezze adolescenti (Sogni
invernali), sente che nella ragazza americana c’è qualcosa di unico al
mondo. Lo sentiva anche Henry James
(Ritratto di signora, Daisy Miller).
E Scottina come appare da questo dialogo serrato col
suo grande scontroso papà si rivela un personaggio indimenticabile.
“Secolo XIX”,
25 agosto 2003