serate Sanguineti
Bologna, 12 – 16 dicembre 2005
Kirk Douglas che guida un inutile attacco
nelle fangose trincee della Prima guerra mondiale. Si apre con una citazione di
Orizzonti di gloria, il capolavoro
anti-militarista di Stanley Kubrick, il Ritratto
del Novecento disegnato da Edoardo Sanguineti nelle cinque serate-evento
(in questo caso l'abusato sostantivo risulta quanto mai appropriato) che si
sono inaugurate lunedì e proseguiranno fino a venerdì a Bologna. Le immagini
del film, accostate a uno stupendo brano di Alfredo Casella, sfumano nella voce
di una bambina che recita i primi versi de I
fiumi di Giuseppe Ungaretti ed è lo stesso poeta ad apparire poi sul
maxi-schermo per concludere la lettura con la sua inconfondibile "dizione":
L'Isonzo mi levigava / come un suo sasso
/ Ho tirato su le mie quattr'ossa / e me ne sono andato come un'acrobata
sull'acqua / Mi sono accoccolato / vicino ai miei panni / sudici di guerra / e
come un beduino / mi sono chinato/ a ricevere / il sole.
Sembrerebbe cominciare proprio da lì,
dove Hobsbwam ha fatto partire il suo secolo breve, anche il Novecento di
Sanguineti, ma non è così; il secolo per Sanguineti è tutt'altro che breve,
anzi è interminabile, non solo va retrodatato, almeno fino al Romanticismo, se
non alla presa della Bastiglia, ma è tutt'ora "operante" a dispetto
delle scadenze cronologiche. Le avanguardie novecentesche - ha spiegato
Sanguineti, introducendo il suo lavoro - portano alle estreme conseguenze
quella "fine dei modelli" che già un uomo di assoluta moderazione
come Manzoni indicava come caratteristica del Romanticismo. Per la prima volta
la cultura umana si libera dell'autorità e della tradizione. E proprio le
avanguardie saranno le protagoniste della prima delle quattro grandi sezioni in
cui è diviso il mosaico. Si tratta di cento tessere - prosegue Sanguineti -
scelte non in base a criteri antologici, il meglio di... ma allo scopo di
delineare appunto un ritratto del secolo con le sue molte stratificazioni e
contraddizioni. Ci sono letterati, filosofi, scienziati, antropologi, pittori,
registi, musicisti cosiddetti colti e anche pop.
Sanguineti fornisce al pubblico un elenco
in ordine rigorosamente alfabetico ma, nel corso della rappresentazione non dà
nessuna indicazione sull'autore della citazione. Alla fine quindi non importa
chi parla (né chi scrive, dipinge, filma, compone, suona o canta) ma quello che
dice. L'elenco dei cento nomi (numero massimo con il quale Sanguineti si è
autolimitato) è di per sé affascinante e potrebbe, da solo, dare origine a
infinite discussioni e polemiche. Lo spazio ci impedisce di riportare tutti i
nomi e così, arbitrariamente, scegliamo i primi di ogni lettera dell'alfabeto:
Adonis, Bacon, Cage, Dalì, Einstein, Fairuz, Gance, Harivanshray "Baccan",
Ives, Jaher, Kafka, Lanternari, Maderna, Nabokov, De Oliveira, Pabst, Rafelson,
Leontine Sagan, Takemitsu, Ungaretti, Varèse, Warhol, Xenakis, Ymou, Zach.
Il gioco del riconoscimento è parte
integrante, ma non certo essenziale dell'operazione sanguinetiana e il pubblico
bolognese vi si è dedicato con scambi di opinioni fra gli spettatori chini nel
buio della sala a tentare di far coincidere parole, suoni e immagini con uno
dei nomi dell'elenco, man mano però che il "racconto" si dipanava
prevaleva la forza (e il piacere) del testo. E' difficile definire quello che
abbiamo fatto - ha spiegato il regista Giuseppe Bertolucci, che ha coordinato
attori e tecnici da un podio, quasi come un direttore d'orchestra - non si
tratta infatti di uno spettacolo, non è una lettura, né una performance o
un'installazione. Forse assomigliamo di più a facchini che svuotano un solaio
pieno di cose preziose.
Di sicuro quello che sta andando in scena
nella Sala Borsa di Bologna (uno spazio bellissimo, sorta di piazza coperta che
ospita una grande libreria, una biblioteca, bar, ristoranti, un teatro senza
palcoscenico, ma completo di loggioni, in cui si può circolare liberamente) è
qualcosa destinato a rimanere nella storia della cultura italiana e non solo.
Il tempo troverà le definizioni: potremmo trovarci di fronte a quell'opera
d'arte totale vagheggiata proprio dalle avanguardie storiche o al romanzo fatto
solo di citazioni di cui parla Adorno a proposito di Benjamin o forse
"semplicemente" a un modo nuovo di raccontare la storia delle idee.
Già dalla serata di lunedì - che ha funzionato da prologo alle altre quattro
che saranno dedicate ai temi chiave, oltreché delle avanguardie, del montaggio,
della psicanalisi e dei conflitti sociali - è apparsa evidente l'eccezionalità
del lavoro, sia in termini quantitativi (alla fine il materiale ordinato
ammonterà a più di dodici ore di rappresentazione) che qualitativi.
Anche chi scrive non è sfuggito alla
tentazione di attribuire dei nomi al flusso di idee, figure, suoni, passioni
proposti da Sanguineti e ha seguito un filo rosso che da Ungaretti ci ha
portato alla Parigi di Aragon e Picasso, sino alle analisi di Vance Packard ,
che negli anni Cinquanta diceva già tutto sulla politica-spettacolo,
attravesando l'America di Warhol e dì Chet Baker, l'elogio della Bomba di Gregory Corso e l'Urlo di Allen Ginsberg, le paure
infantili di Kafka (scritte e disegnate), Gertrude Stein che racconta Duchamp e
Dalì, Wright che paragona la sua architettura alla musica e la requisitoria di
Enzensberger contro le "nostalgie terzomondiste", per finire con
quell'indimenticabile inno alla ribellione che è Zero in condotta di Jean Vigo.
“Il secoloXIX”, 14
dicembre 2005