SPIGOLATURE 2001

In gennaio, il comitato di redazione del "Corsera" sospende dalla collaborazione l'ottantenne Pio Filippani-Ronconi.

Era ritenuto colpevole di aver appartenuto, quando c'erano, alle Waffen SS. L'arzillo vecchietto, di antica nobiltà papalina, considerato come uno dei maggiori studiosi di religioni e filosofie orientali a livello mondiale, prestava la sua prestigiosa collaborazione al giornale su una materia che conosceva a livelli di grande erudizione. Per i redattori questo doveva risultare un particolare del tutto irrilevante. Il Filippani-Ronconi (i cui libri erano presenti nei cataloghi di editori assai reputati "a sinistra" come Boringhieri) conosceva perfettamente tutte le lingue europee e una grande quantità (compresi i dialetti) di quelle orientali (in tutto, si dice, una quarantina). Sembra che nel corso di un incontro in Persia ai tempi dello Scià, sapesse riconoscere, basandosi sull'accento, la zona di provenienza di chiunque gli venisse presentato. Non aveva comunque mai fatto mistero delle sue simpatie per la "destra politica", né per una certa concezione "guerriera" della vita (in gioventù era stato perfino pugile). Restano dunque inspiegabili le misure prese da una redazione cui tutto questo, si presume, doveva essere ben noto. La reputazione dei giornalisti, per un verso o per l'altro, non ne usciva bene.

La Enchanted Tiki Room di Disneyland versa in condizioni precarie.

Negli Stati Uniti, verso gli anni sessanta, Tiki -la personificazione dell'uomo primigeno presso i Maori- si trovò a rappresentare tutte le fantasie edonistiche legate ai mari del Sud. Incontrò un particolare favore negli ambienti beatnicks, presso i praticanti del surf e nei locali dove si servivano cocktail a base di frutta esotica. Gli artigiani californiani ne riproducevano le fattezze in legno sulla base dei modelli polinesiani. La sala a Disneyland venne inaugurata il 23 giugno del 1963 e la Dole, azienda del settore frutticolo, la sponsorizzò. Il cattivo stato delle sue condizioni veniva rilevato nel momento in cui a Los Angeles, il 13 gennaio, presso la Public Library, ci si apprestava ad affrontare la maratona gastronomica denominata Tiki Food, la quale faceva eco a una nuova popolarità (la cocktail generation?). Va pure notato che uscivano i libri Tiki Drink di Adam Rocke (Surrey Books), Exotica di David Toop (Serpent's Tail) nonché, da noi, Mondo Exotica di Francesco Adinolfi (Einaudi).

Il febbraio di cent'anni fa Rilke e Lou Salomé si mollavano.

A lui sarebbe arrivata la fama di uno dei più grandi poeti del secolo e a lei non sarebbero sfuggiti altri uomini famosi. Affari loro, certo, ma le poesie del primo e i discorsi che le femministe imbastirono sulla seconda costituirono un tale e serio e profondo e diffuso elemento di afflizione del quale non si sarebbe mai stati veramente sicuri di essersene liberati.

Il quarto numero del bimestrale "liberal" pubblica a febbraio i risultati della ricerca di Mario Canali sull'assassinio, a New York, nel gennaio del 1943, dell'anarchico Carlo Tresca.

Veniva completamente annullata l'ipotesi, plausibile, del delitto stalinista (a mano del solito Vidali) che aveva tenuto banco fino ad allora. Si affacciava il delitto di mafia (Carmine Galante su comando di Vito Genovese) ispirato dai gerarchi fascisti (Tresca aveva fra l'altro condotto una campagna contro Generoso Pope, proprietario del filo-fascista "il Progresso italo-americano"). Queste conclusioni erano rese possibili a Canali sulla base delle indagini svolte presso gli archivi, divenuti accessibili, dell'OSS (poi rinato come CIA).

Gran baccano per l'intervista rilasciata la sera del 14 marzo da un giornalista nel corso di uno spettacolo televisivo condotto dal comico Daniele Luttazzi. Si invoca la censura.

Marco Travaglio, co-autore di un libro su Berlusconi, in prossimità della campagna elettorale, sollecitato dal Luttazzi, sciorinava le sue deduzioni intorno all'origine delle fortune imprenditoriali del duce dell'opposizione. Ne veniva fuori uno scenario fatto di equivoci collegamenti col crimine organizzato. Si avanzava perfino l'ipotesi di compromissione con orrende stragi. Qualche giorno dopo, nel programma "il raggio verde", si ripetevano le stesse ipotesi accusatorie, quantunque ciò avvenisse nei modi più melliflui e "togliattiani" del conduttore Michele Santoro. Berlusconi e i suoi insorgevano, ma anziché prendere d'attacco il traballante e costosissimo carrozzone di stato nonché l'assurdo conteggio dei tempi che sarebbero di competenza dell'uno e dell'altro contendente politico - del quale avevano sposato la logica, peraltro funzionalmente assolutoria per chi avesse dovuto perdere - si sono dati ad invocare misure censorie incredibili quanto le accuse del Travaglio e a utilizzare lo strumento della querela. In un accesso di iconoclastia, Berlusconi aveva fra l'altro già imposto a coloro che corrono con lui, di evitare di comparire sui manifesti elettorali. I passanti di tutta Italia dovevano dunque fare i conti soltanto col suo strafamoso sorriso e lui con questo, cioè con la tragedia di un uomo che ridendo sempre aveva perso completamente il senso dell'umorismo ma riusciva ancora a gioire delle barzellette che infliggeva ai suoi docili commensali. Dai manifesti elettorali rideva anche l'avversario, Rutelli. La sensazione era che tutti e due se la ridessero degli italiani ai quali, dal momento che gli uni accusavano gli altri di aver copiato i rispettivi "programmi", non avrebbe dovuto restare, per logica, che di non votare nessuno. Se c'era qualcosa che comunque potevano continuare a fare era di cambiare canale televisivo qualora non gli fosse andato bene un programma. Inoltre, potevano ancora spegnere il televisore.

Il giorno 20 di aprile (1er Palotin) il Collège de Pataphysique annuncia la cooptazione di dieci nuovi membri all'interno del suo massimo organismo, il trascendente corpo dei Satrapi.

Fra gli ottimati si notavano Edoardo Sanguineti, Jean Baudrillard, Barry Flanagan e Umberto Eco. Roland Topor veniva cooptato a titolo postumo. Anche due premi Nobel per la letteratura entravano nella celestiale oligarchia. Uno era il "mitomimo" Dario Fo, dell'Institutum Pataphysicum Mediolanense, e l'altro Camilo José Cela, definito "lessicografo segreto", forse in omaggio alla sua antica attività svolta negli uffici della censura franchista.

Il 13 maggio la coalizione capitanata da Silvio Berlusconi vince le elezioni politiche italiane.

Berlusconi aveva avuto tutto dalla vita. La ricchezza, una moglie giudicata avvenente, dei figli responsabili, il calore dei vecchi amici ancora intorno al vertice delle sue aziende. Ma la convinzione che i comunisti gli avessero scippato il governo aveva finito col rovinargli diversi e preziosi anni della senilità. Il 13 maggio si prendeva la rivincita. Giuliano Ferrara - già suo portavoce - salutava la vittoria sul giornale "il foglio" consultando una vecchia passione, il comunista Macaluso. Forse poi non così vecchia e forse poi non così distante dalle idee del vincitore. Nel confronto pre-elettorale, infatti, non erano sembrate entrare in competizione due visioni antagonistiche, bensì delle differenze inessenziali nei crucci e nelle smanie. La coalizione avversaria si addossava - e più di quanto ci si possa attendere da chi ha governato - il carico del realismo conservatore e scettico (molto ben stilizzato nei dibattiti televisivi dall'ex comunista Piero Fassino). Da parte sua Berlusconi sprizzava una fiducia nel suo programma di lavori pubblici che agli italiani più vecchi poteva rammentare il periodo della ricostruzione e del boom. Un'enfasi particolare era messa sulla costruzione delle infrastrutture stradali ("ponte sullo stretto" compreso). Questa volta anche l'avvocato Gianni Agnelli pareva più sereno che nel recente passato.

"Il foglio"il primo di giugno riflette sull'appello contro la faziosità politica apparso sulle sue pagine durante la campagna elettorale.

Aveva già fatto impressione constatare che un giornale il cui direttore diceva di tenere alla faziosità come a un vanto personale potesse ospitare algidi appelli al "bon ton". Fra le stesse pagine era peraltro ancora in atto un'invaghita campagna a favore della modesta prova novellistica di un ebreo canadese, strombazzata per chissà quale merito conseguito nel compimento del "parlar scorretto". Se da un lato si poteva pensare a una povertà di parametri - attraverso i quali era viceversa possibile assortire Leon Bloy con Mickey Spillane - dall'altro si arguiva la lusinga a indicare i canoni della condotta che i lettori dovevano tenere per essere buoni lettori. E chic.

Si infiammano a giugno le polemiche su Genova come città insicura e poco "difendibile" in previsione della riunione del G8 il mese successivo.

Con la sua rete di viuzze, la città era considerata parecchio rischiosa dal momento che si prevedeva una enorme presenza di contestatori ("il popolo di Seattle"). Gli strateghi designati alla sicurezza dei "grandi" (i caporioni che rappresentavano gli otto paesi più industrializzati del mondo) sceglievano di schierare migliaia di poliziotti in assetto di guerra. Qualcuno pensava pure all'esercito. Per quattro giorni la città ligure doveva rimanere isolata dal resto del mondo: chiuse le autostrade, la ferrovia, il porto, l'aereoporto, i negozi e i luoghi di ristoro della "zona calda", per entrare nella quale - barricata - era richiesto un "lasciapassare". Ai genovesi, condividessero o meno le opinioni di chi minacciava di scendere in piazza, veniva dato un motivo per insorgere contro un'inaudita espropriazione della loro città. Entrava in conflitto il diritto - quello dei "grandi" a riunirsi e quello dei contestatori a manifestare pubblicamente le loro opinioni - con la sicurezza personale. Il dissenso era considerato, attraverso una campagna di stampa avviata con largo anticipo, come la culla del terrorismo. A nessuno, ma proprio a nessuno, veniva da dire che i "grandi" che si erano addossati la responsabilità di essere tali avrebbero dovuto addossarsi anche quella di difendersi, senza gravare ulteriormente sulle spalle dei cittadini. Tutt'al più avrebbero potuto chiedere a Giovanni Paolo II da chi si era fatto costruire la "Papa-mobile". Alfred Hitchcock diceva che sarebbe riuscito a girare un film di tensione all'interno di una cabina del telefono. Probabilmente chiunque avrebbe concesso la sua comprensione ai "grandi" - sebbene non tanto grandi, e simpatici, e intelligenti come il regista inglese - se ne avessero scelto la bellezza di otto.

Viene eseguita a giugno l'esecuzione di Tim McVeigh, l'"american terrorist" che causò la morte di 168 persone ad Oklahoma City.

Il presidente anericano Bush diceva: "non è una vendetta". Ma se non era una vendetta che cosa era?

Il capo del governo italiano stigmatizza i panni stesi.

Non era noto, se non agli intimi, con quale frequenza il capo del governo Silvio Berlusconi lavasse i suoi panni, faceva però sapere che a Genova non li voleva vedere stesi. Perlustrando la città in vista del G8 si era sentito offeso dalle lenzuola che sventolavano ad asciugare dai balconi. Per il sommo convegno, disse, dovevano sparire. Così, ai già noti divieti si aggiunse questa raccomandazione. In un contesto di gravi limitazioni alla libertà di movimento, nemmeno in casa propria i genovesi potevano fare quello che volevano. Era un tempo tradizione che essi offrissero ai visitatori della loro città scorci di vele imbiancate fra palazzo e palazzo. I visitatori non avevano da scoprirli poichè erano frequenti, e le guide turistiche ci tenevano a segnalarli preventivamente. Il capo del governo evidentemente ignorava tutto questo e le sue pretese estetiche gli impedivano di apprezzarlo. Più tardi, in parlamento, avrebbe lanciato frasi offensive nei confronti della città, suscitando le proteste di varie associazioni genovesi.

Domenica 22 luglio: l'ordine regna a Genova.

C'è gente che pensa di non avere alternative alla violenza e di poter raggiungere la gioia nella propria vita senza speranze soltanto attraverso la sua demollitrice estrinsecazione. Molto spesso si tratta di ragazzini. Quando ciò accade, chi subisce dovrebbe poter difendersi. Fra la gente c'è anche chi è autorizzato a scatenare la violenza per ragioni, perlappunto, difensive. Fra il 19 e il 22 di luglio, a Genova, i primi e gli ultimi potevano fare quello che volevano. Chi non poteva far niente - pur avendo una rispettabile tradizione alle spalle - erano i genovesi. Chi voleva trarre una morale da quello che accadeva intorno al G8, la riunione degli "otto grandi" del pianeta terra, non doveva sbizzarrirsi troppo. Era del tutto evidente che se la violenza dei primi apparteneva all'ordine naturale, quella dei secondi apparteneva all'ordine politico. Non solo, mentre ai primi si poteva accordare, fino a prova contraria, ciò che per consuetudine le leggi dell'ospitalità prevedono che sia concesso ai pellegrini, i secondi avevano modo di occupare militarmente una città, di imporre le propie regole di gusto, di erigere barriere, di confinare i cittadini in un ghetto, di sospendere ogni libertà di movimento. Quanto alle loro capacità, non davano modo di verificarle. Al contrario fornivano una moltitudine di esempi di come volessero rovesciare sugli inermi la loro libidinosa bestialità. Al cospetto di un'esigua minoranza degli ospiti lasciavano aver corso una demente (e, ahimé, umana) opera distruttiva, mentre contro la stragrande massa pacifica dei manifestanti (sicuramente composta non di soli ingenui) liberavano la loro furia. Le teorie più paranoiche affioravano al pensiero e non era impossibile credere che ci fosse intelligenza fra i tutori dell'ordine e i facinorosi onde screditare i duecentomila (tanti si dice che fossero) passeggiatori pacifici - i quali, poverini, si screditavano in genere da soli, ma solo con le idee. Stimare inadeguate le capacità dei tutori dell'ordine era un'alternativa. Era certo, in ogni caso, che se un genovese avesse voluto difendere adeguatamente le sue cose sarebbe stato trattato come un "sovversivo". E di questi trattamenti se ne aveva prova anche solo guardando le televisioni (soprattutto quelle locali). Si vedeva lo scempio di un cadavere che appena lasciato sul campo con un colpo di pistola sparato dai carabinieri, era attraversato due volte dalle ruote di una camionetta della Repubblica Italiana. Ma si vedeva parecchio d'altro, e non solo i candelotti lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo, per offendere. Si vedeva lanciare questi candelotti contro una bancarella di quei sovversivi che sono i "Beati Costruttori di Pace", si vedeva manganellare dei boy scout di tredici anni, si vedeva spapollare un occhio a un ragazzo, si vedeva infierire sui giovani seduti a terra per i"sit in", si vedeva picchiare i medici al seguito dei cortei, si vedeva aggredire un'anziana missionaria cristiana, si vedevano pattuglie di "sbirri" menare una a una le proprie bastonate su singoli isolati individui, si vedevano poliziotti scagliare calci in faccia alla gente che si coricava in segno di resa. Di cose del genere se ne vedevano tante, innumerevoli. Chissà cosa pensavano quanti erano dell'opinione che il problema fosse nella scarsa preparazione delle forze dell'ordine quando, insieme al presidente della repubblica, il capo del governo italiano parlava alla TV. Gli sembrava adeguato un personaggio che appariva naturale soltanto col suo celebre sorriso ed era visibilmente incapace di assumere un'espressione che nel doloroso contesto avesse qualcosa di autentico? Riguardo a questo, comunque, non si comportavano meglio i grandi rimanenti, privi persino di quel "savoir faire" che deriva dall'educazione. Pessima, evidentemente, la loro, ed enormemente offensiva per la città che li ospitava. Andava tuttavia riconosciuto al gollista Chirac di esserre perlomeno riuscito a farfugliare qualcosa che non fosse la solita banalità di circostanza. Ridicoli risultavano infine i tentativi di Silvio Berlusconi di addossare le responsabilità di tutto al precedente governo, come se il suo fosse un governo di svolta e non l'aggiornamento di quello al 2001 (tanto che il celebratissimo e "coraggioso" ministro dell'economia altri non era che un antico sgherro del capo dell'esecutivo dismesso). Se prima si aveva un governo di vecchi bolscevichi, adesso primeggiavano dei satrapi stalinisti orgogliosi di aver trovato il proprio Beria. Si formava il solito coro che ne chiedeva le dimissioni. Era il minimo. Fra i rappresentanti del governo, quelli di provenienza neofascista osannavano le forze di polizia con lo stesso trasporto di chi sta fuori delle caserme in attesa dell'uscita dei militi. Non si rendevano conto che la cosa migliore da fare era di restituire all'agricoltura le braccia che le erano state tolte. Il licenziamento in tronco di tutti i tutori dell'ordine presenti a Genova sarebbe stato in fondo una grande misura di umanità. Per i militi stessi, affichè della loro umanità riprendessero possesso. Era impossibile riporre queste speranze nello stato, nei casi di coscienza sì.

Nell'anniversario del disastro di Marcinelle, i belgi non vogliono ricevere il ministro degli "italiani all'estero" Mirko Tremaglia.

"E' un fascista", dicevano, ricordando che era stato un giovane volontario della RSI. Negli stessi giorni la televisione italiana trasmetteva un documentario dove veniva testimoniato che i belgi si stupivano, negli anni cinquanta, che gli italiani mettessero le mutande, dal momento che loro non ne avevano mai sentito la necessità. Un altro motivo di risentimento verso la nostra comunità era inoltre l'abitudine degli italiani di sfoggiare la domenica i loro migliori vestiti.

Timori cileni.

In occasione di un vertice continentale di metà agosto a Santiago, temendo che potessero generarsi dei disordini di piazza, il generale Ricardo Sandoval dichiarava: "cerchiamo di evitare di sembrare un regime italiano".

Dichiarazioni balneari dei ministri italiani Scajola e Frattini.

Claudio Scajola, definito da Lucio Colletti "il Tigellino di Berlusconi", nel 1995 si era candidato contro i due schieramenti, a loro volta alternativi, di Forza Italia e dell'Ulivo. "Cittadini", andava dicendo, "Imperia ha la medaglia d’oro della Resistenza, non consegniamo la città ai fascisti". Forza Italia lo ricambiava consigliando di votare per i nemici dell’Ulivo. Successivamente Scajola si sarebbe però accordato con Berlusconi finendo per diventare il burocrate delle tessere forzitaliane e, da ultimo, ministro di polizia. A ferragosto, lui, vecchio democristiano - presumibilmente esperto nel consociativismo - azzardava l'opinione che opposizione e forze di governo avessero identiche responsabilità per ciò che riguarda l'ordine pubblico, cosa che poteva avere un senso pensando che entrambe partecipavano dello stesso sistema di regole repubblicane, e nulla più. Ma ciò di cui blaterava Scajola sembrava più un'intimazione, come se l'opposizione non dovesse muovere critiche alla sua specifica gestione. Le dichiarazioni cadevano all'apice di un disordinato cianciare - incrementato soprattutto da Berlusconi - che aveva al centro una parola diventata improvvisamente di moda: "bipartisan". Se non fosse stato per una certa goffagine di conduzione si sarebbe potuto pensare a una nuova forma di "compromesso storico". Verso la fine della stagione agostana, il ministro della funzione pubblica Franco Frattini, lamentava invece - sul "Corsera" - il fatto che alcuni poliziotti avessero ricevuto - in relazione agli avvenimenti genovesi di luglio - degli avvisi di garanzia. Si stava, diceva, "delegittimando la polizia". Evidentemente giudicava i poliziotti al di sopra delle leggi. Nella vicina Svizzera, invece - riportava il giornale "Le Temp" - un poliziotto che avendo partecipato a una chat line ed essendosi rallegrato per la morte di Carlo Giuliani -il ragazzo morto a Genova - definendolo come "un piccolo bastardo", rischiava, dopo esser stato sospeso dal servizio, il licenziamento.

Martedì 11 settembre alcuni aeroplani civili in mano a pochi terroristi si abbattono sulle torri del World Trade Center a New York e sul Pentagono a Washington. Le torri crollano, così come una parte dell’edificio della capitale. I morti sono migliaia.

 Di sfuggita, per televisione, si sentiva pronunciare  - forse dal papa - una frase in sé banale ma appropriata: "il cuore dell'uomo è un abisso". Per una quantità di sprovveduti, "l'orrore" non era più il mormorio di Marlon Brando in un film ispirato a Cuore di tenebra, di recente riproposto nella versione integrale. Insieme alla commozione, al turbamento e alla rabbia avevano corso le più scontate quanto comprensibili minacce. Da par loro, se ne facevano interpreti gli uomini politici, per i quali sarebbe stata più istruttiva la lettura del romanzo conradiano che quella di un qualsiasi trattato o l'ascolto di un pagatissimo stratega. A caldo si parlava di "crimini contro l'umanità" e una volta di più non si spiegava come mai a compierli fossero sempre altri esseri umani. Veramente incalzante era tuttavia un'unica parola: guerra! Va detto che se essa raccoglieva vasti consensi fra gli uomini di governo, non raggiungeva però l'unanimità. In Italia, ad esempio, il ministro della difesa Antonio Martino teneva ben distinti i concetti di guerra, guerriglia e terrorismo. Il presidente americano Bush, viceversa, affermava di "voler portare il mondo alla vittoria". Il mondo? Con un adagio che aveva fatto fortuna fra i conservatori di una volta c'era da ribadire che "alla carriera politica e a quella militare  accedono soltanto i figli scemi delle famiglie importanti". Ai suoi tempi, Charles Austin Beard - rappresentante di un'America anticonformista non meno che conservatrice, "isolazionista", autore del fondamentale Economic origins of jeffersonian democracy  - soleva ripetere: "non facciamoci illusioni, tutti i capi si somigliano". Il nemico del mondo veniva comunque immediatamente riconosciuto, e non si trattava, come si poteva credere, d'un marziano. Da più parti si affermava che lo spionaggio americano aveva fatto clamorosamente fiasco nel prevenire il disastro. Adesso però quegli stessi servizi cosiddetti "d'intelligenza" che Tiger Mann, un personaggio di Mickey Spillane, era solito designare come "quei comunisti della CIA!" (la scrittrice libertaria Ayn Rand paragonava la lettura dei romanzi di Spillane all'ascolto di "una banda musicale in un parco pubblico") davano indicazioni sulle responsabilità, dapprima negate dall'interessato, dello sceicco arabo Usama bin Laden, ospite dell'Afganistan  - paese dove già l'Unione Sovietica si era impantanata con i suoi potenti mezzi militari, dove i nemici venivano ficcati nell'olio bollente e dove, a tempo debito, i governanti Talebani avevano ottenuto sostegno proprio dai servizi segreti americani. D’altra parte, poco più di un mese prima dell’attentato, Usama era stato ospite dell’ospedale americano di Dubai dove, fra l’altro, aveva conversato a lungo con un agente CIA. In passato, nel 1996, i governanti del Sudan avevano segnalato la presenza di Usama sul loro territorio, ma all’epoca lo sceicco - che nella resistenza afgana contro i russi era stato alleato degli americani – era evidentemente ancora un personaggio di poco interesse. Lo diventò due anni dopo, quando gli aviogetti statunitensi bombardarono l’unica vera industria farmaceutica sudanese - con conseguenze prevedibilmente atroci sulla popolazione - adducendo la scusa che vi era ospitato per l'appunto lo sceicco, interessato a farsi produrre armi chimiche. Viceversa, Usama bin Laden aveva lasciato il paese già al tempo della segnalazione governativa. Adesso si diceva che si avevano le prove della sua responsabilità sui nuovi attentati, ma non erano rese pubbliche se non ai governanti dei paesi alleati, pronti a prenderle come buone. Solo tre mesi dopo si davano in pasto ai telespettatori alcune riprese televisive che, in sé probanti, aprivano tuttavia una serie di interrogativi. La guerra all’Afganistan per catturare un singolo uomo aveva corso con un’impressionante sproporzione di mezzi che non sempre erano all’altezza della loro fama di armi intelligenti. Se ne sarebbero accorti gli abitanti dei villaggi, gli ospedali e le stazioni della Croce Rossa. Peraltro, si poteva osservare la mancanza ormai completa dei criteri di onore e lealtà della guerra classica. I commenti internazionali dopo gli attentati, e nel corso della guerra, erano tutto fuorché vari. Ciò nondimeno, in Italia, per una Daria Bignardi, conduttrice della trasmissione televisiva Grande Fratello, che si recava sulla scena con la maglietta “i love NY” c’era una Marta Marzotto la quale ribadiva che mai e poi mai avrebbe rinunciato ai suoi completi di taglio afgano. C’era anche chi, come il ministro italiano Scajola, si augurava che finalmente non si sarebbe più parlato dei fatti genovesi del luglio precedente. Affermazioni - nell’atteggiamento di fondo, come definirlo, forse di sciacallaggio? - non dissimili da quelle del primo ministro israeliano Sharon, il quale si affrettava ad indicare in Arafat il suo bin Laden, con conseguenze presto manifeste, benché questa volta accolte tiepidamente dagli americani (in ogni caso nessuno dei commentatori delle vicende di quest’altra area calda riconosceva con coraggio che, sulla questione precisa, le posizioni israeliane forse più vicine al raziocinio occidentale potevano essere nientemeno che quelle del piccolo Partito comunista). Sul pianeta si cominciava intanto a profilare, dopo l’ 11 settembre, una versione aggiornata dell' "economia di guerra", con tutti i suoi succedanei di censura, controlli e limitazioni varie. La causa superiore lo imponeva.

A fine settembre, su un aeroplano diretto in Sicilia, Ignazio La Russa, esponente di spicco di un partito al governo in Italia, viene scambiato per un terrorista arabo da un gruppo di viaggiatori americani.

Il dirigente di Alleanza Nazionale si recava nell’isola in visita alla mamma. Durante il viaggio si era alzato e sembrava dirigersi verso la cabina di pilotaggio. I passeggeri del gruppo statunitense avevano manifestato allora le proprie preoccupazioni al personale di volo. Un brutto colpo per l’”italica stirpe”.

 Sabato 10 novembre, caldeggiata dal quotidiano “Il foglio”, si tiene a Roma una manifestazione denominata “Usa day” per la quale si sollecitano i partecipanti a far garrire numerose le bandiere americane. Vi aderiscono tutti i partiti del governo italiano.

La solidarietà con le popolazioni colpite dagli attentati dell’11 settembre faceva tutt’uno con l’incondizionato sostegno all’intervento militare in Afganistan, ma un’enfasi particolare era messa proprio sulla bandiera degli Stati Uniti. Si diceva, fra le altre motivazioni, che essa era bella, una vera “icona pop”. Strano e pericoloso argomento allorquando si fosse riconosciuto - come del resto non era difficile fare - che i modi più aggraziati e signorili, in altre parole “belli”, appartenevano al nemico Usama bin Laden (peraltro divenuto rapidamente lui stesso un’ “icona pop”). Tempo non era, tuttavia, da ragionare sofistico tanto che gli organizzatori anziché guardare all’America nei suoi reali contenuti umanamente contradditori la riducevano ad una semplice e non nuova tesi - anzi parecchio invecchiata -  da appoggiare o meno. Si era dunque o filo-americani o anti-americani. Un modo di pensare che forse ha la sua giustificazione nella lettura delle carte geografiche, le quali ci propongono gli Stati Uniti d’America attraverso una geometria estremamente semplificata, tale da far pensare a una divisione di comodo che non corrisponde a fattivi sentimenti nazionalistici. Eppure, stranamente, il nazionalismo dei singoli stati c’è, come c’è - e in modo più manifesto anche per chi vive altrove - un’ostilità fra Sud e Nord (nonché fra Est e Ovest) che risale non già alla questione “schiavistica” ma allo stesso periodo coloniale con una sensibile differenza di costumi (compresi quelli religiosi) fra gli abitanti della Nuova Inghilterra e quelli della Virginia (mentre i contrasti nella longitudine risalgono all’epoca della frontiera e alla tradizione “populista” dell’Ovest). A seguito degli attentati dell’11 settembre, l’informazione mondiale allontanava in una zona di sicurezza a carattere folkloristico la notizia che alcuni gruppi di fondamentalisti bianchi (del genere wasp) si potessero rallegrare di quanto era avvenuto come di una giusta punizione impartita ai traditori dell’America - e c’era da credere che altrettanto avvenisse in alcune menti del Sud. La visione dualistica degli organizzatori della manifestazione romana prescindeva invece da ogni altra considerazione che non fosse la compattezza delle parti, eludendo il fatto puro e semplice che, a parte l’umana compassione, la potenza della tragedia potesse non essere sufficiente a risanare vecchie ferite emblematizzate in città quali Atlanta e Richmond rase al suolo. Ad ogni buon conto – questione meridionale a parte – negli ultimi anni si erano verificati negli USA diversi e significativi episodi. Ad esempio, nel 1991 due membri delle Forze Speciali di Fort Bragg furono sottoposti ad inchiesta, insieme a un impiegato delle Poste, per aver trafugato armi chimiche; nel '94 due "miliziani" del Minnesota Patriots Council vennero tratti in arresto per aver progettato di avvelenare un acquedotto; nel '95 un biologo aderente a Aryan Nation fu scoperto perché aveva tentato di farsi spedire da un deposito di campioni microbiologici del Maryland alcuni campioni di Yersinia Pestis, ossia il virus della peste bubbonica; inoltre negli ultimi anni andò attribuita al gruppo antiabortista The Army of God la paternità di oltre 80 lettere "contaminate" con spore di antrace inviate a medici ed ospedali che praticavano l'interruzione di gravidanza e, negli anni '98 e '99, altri personaggi legati al fondamentalismo puritano furono trovati in possesso di fiale con antrace e altri agenti chimici. Ciò nonostante gli interrogativi che ci si doveva porre avevano respiro nient’affatto cronachistico. Erano, ad esempio, “anti-americani” i soldati che dopo aver combattuto nel Pacifico, essendo tenuti in servizio nelle lontane basi nonostante la guerra fosse finita da un pezzo, organizzarono un vasto sommovimento per ottenere il rientro in patria? Oppure, per restare a quel lontano periodo, erano “anti-americani” coloro che si opponevano all’intervento nella seconda guerra mondiale? Lo erano anche gli operai delle industrie belliche che organizzarono gli scioperi contro la riduzione salariale imposta dall’economia di guerra? Sono vecchie storie, è sicuro. La funzione igienica del tempo lava molte ferite e benché faccia ancora un certo effetto rammentare che quelli sulle città giapponesi sono gli unici bombardamenti nucleari della storia attuati sulla popolazione civile, parlare oggi di Hiroshima e Nagasaki sembra non esser lo stesso che parlare del crollo delle torri newyorchesi. Anche i morti rimasti sotto le macerie delle loro abitazioni durante le incursioni americane a Panama, più recenti e non pochi,  sembrano, alla sensibilità umanitaria di quello che si chiama l’Occidente, altra cosa rispetto ai morti attuali. E’ umano commuoversi maggiormente per ciò che si conosce meglio. Alla fine contano solo gli amici e la famiglia, anche se bisognerebbe vedere quanto. La mobilitazione romana  - riuscita probabilmente in misura inferiore ai desideri e superata di gran lunga dal contemporaneo corteo dei sedicenti pacifisti - aveva altri interrogativi o, meglio, non ne aveva affatto. E le certezze erano poca cosa, tutta governativa. Chissà se, vivo, vi avrebbe partecipato anche Mark Twain con la bandiera che, dopo esser venuto a conoscenza degli eccidi compiuti nelle Filippine, vale a dire il primo grande massacro del XX secolo, aveva immaginato con i teschi al posto delle stelle. Era anti-americano Mark Twain?