Col consenso della brava scrittrice genovese, abbiamo “pescato” fra la sua produzione saggistica alcuni testi da pubblicare. Sarà facile notare come il più sapiente degli scrupoli si leghi in questi saggi a una piacevole vena narrativa e alle migliori virtù dell’intuizione. Quello che segue è tratto da LG-Argomentin. 3 del 2002 (numero monografico dedicato a “il personaggio e il suo doppio”).

Beatrice Solinas Donghi

falsi gemelli nel mito e nella fiaba

I falsi gemelli di cui si tratta qui non sono quelle ingannevoli parole inglesi di origine latina, o addirittura italiana, che tradotte andando dietro al loro suono sfasano completamente il senso di una frase (trivial che non signi­fica triviale ma futile, conference che per lo più non è una conferenza ma un semplice colloquio). Sono invece personaggi delle fiabe, e di quelle fiabe più antiche di solito definite miti, che presentano con modalità diverse il motivo della gemellitudine, per definirlo così, senza che i personaggi in questione risultino essere necessariamente gemelli.

Qualche volta, anzi, sono due opposti, proprio per questo complementa­ri, così che la loro associazione appare in definitiva necessaria e indissolubile. È il caso del mio primo esempio, di venerabile antichità: l'epopea babilonese di Gilgamesh, conservata su tavolette di argilla nella biblioteca di re Assurbanipal (669-628 a.C.), ma attestata in forma meno completa da testimonianze prece­denti. Per le più antiche pare si possa risalire al III millennio a.C. (1).

Gilgamesh ha la magnificenza e lo splendore, ma anche l'insoffribile ol­tranza, del supereroe. Basti dire che per due terzi è divino, solo per un terzo urnano. Si vale della sua forza e del suo potere con tanta prepotenza che gli abitanti di Eredi, mitica città delle origini, chiedono al Cielo un difensore: e la dea creatrice plasma dall'argilla umida una mostruosa creatura chiamata Enkidu.

Anziché semidivino, questi è semibestiale. Ha il corpo tutto ricoperto di peli e chiome lunghe come quelle di una donna. Trascorre le giornate vagando per la campagna insieme agli animali e dimostra di stare dalla loro parte libe­rando quelli caduti nelle trappole dei cacciatori. Si nutre d'erbe selvatiche e beve alle sorgenti.

Ma prima che si giunga allo scontro frontale tra i due opposti, la quasi-bestia e il semidio, Gilgamesh gioca d'astuzia: fa sedurre Enkidu da una ragaz­za di strada. Quell’essere villoso si ammansisce per incanto e perde le sue connotazioni animalesche, per di più diventando bellissimo, tanto che gli animali quando vuole ritornare tra loro non lo riconoscono più. la lotta con Gilgamesh ha luogo come previsto e Enkidu vince, però a questo punto la storia ha una svolta: i due diventano amici inseparabili e compiono insieme varie imprese, finché la morte non li divide. La reazione di Gilgamesh alla perdita del compagno e la sua ricerca vana dell’immortalità occupano la se­conda parte del poema, ricca di significati profondi che trovano parecchie corrispondenze nella Bibbia; poche invece nelle fiabe.

In queste e nel substrato di tradizioni e superstizioni che sta a monte di esse rimase invece nei secoli la figura dell’Uomo Selvatico, Omo Salvadego e simili.

È noto anche nell’araldica, spesso in funzione di reggistemma; lo si ricono­sce a colpo d'occhio perché pelosissimo e barbuto. come già Enkidu. È pre­sentato come un essere paradossale, una specie di filosofo per istinto, che piange quando fa bel tempo prevedendo le inevitabili intemperie future e vi­ceversa ride sotto la pioggia battente. In Russia lo chiamano il contadino-orco: appare sporadicamente nelle fiabe con varie funzioni, non sempre di antagonista (2). Come il fortissimo e villoso Jan de l'Ors della linguadoca (3), può diventare Gianni Orsino figlio di un orso e di una donna che esso ha rapito. Ma a differenza del Gianni Porcospinoo dei Grimm e dei vari Re Porci o Serpenti, nessuna metamorfosi lo riporta all'aspetto umano. Mezz’orso è nato e mezz’orso rimane­.

Questo dell’uomo-bestia o Uomo Selvatico, di cui volendo si può cogliere un'incarnazione marina nel Pescatore Verde delle Avventure di Pinocchio, resta nelle fiabe un motivo a sé stante, sciolto, non collegato a una trama ben congegnata e costante. Lo si ritrova, tadi e di sorpresa, nientemeno che nella Comtesse de Ségur, l’Ourson della quale, nato peloso per volontà di una fata cattiva (dal Settecento in qua siamo in pieno féeisme, come fu definito in Francia), potreb­be riacquistare la bellezza che gli compete se qualcuno per amore acconsentis­se a scambiare il proprio aspetto col suo (4). Generosamente Ourson vieta che questa possibilità sia resa nota all'amata Violette, la quale altrimenti non esi­terebbe a sacrificarsi per lui. Perciò, come in altre fiabe dell'epoca, la sua diventa una vicenda di sentimenti contraddetti e negati, più ancora che di eventi magici.

In altre parole, è un risultato atipico, ultimo anello di un'evoluzione indipendente. E comunque, né qui né altrove, a quanto risulta finora, il motivo dell’uomo di aspetto bestiale è collegato con quello dei compagni inseparabili, gemelli, se non per nascita, per elezione e per destino.

Eppure le fiabe russe sono piene di gemelli, veri come I sette Settimi nati da madre vedova che “crescono, crescono, tutti identici di viso e di statura e ogni mattino tutti e sette vanno ad arare la terra”; oppure falsi, scelti e radunati apposta per fare corteggio all’eroe. “Diede l’ordine il principe e presto si presentaro­no alla reggia dodici giovanotti, i suoi servi fedeli: han tutti lo stesso viso, la stessa corporatura, la stessa voce, gli stessi capelli. 'Chi di voi è il maggiore?' chiese Elena la bella: Tutti insieme gridarono: 'Io sono il maggiore! Io sono il maggiore!' La somiglianza, anzi l’uguaglianza perfetta e la perfètta parità, sono usate per confondere l’antagonista anziché a scopo di sostituzione come nelle storie nostrane di gemelli, Il drago dalle sette teste e l'affine I due fratelli.

Una bella storta di sostituzione è invece Amys and Amyle, romanzo in versi inglese del periodo gotico (5) in cui i due nascono nello stesso giorno da coppie amiche, crescono insieme alla corte di un duca e col passare del tempo diventano sempre più simili finché l’uno può sostituire segretamente l’altro in un duello giudiziario nel quale soccomberebbe senza fallo, avendo per necessità giurato il falso. L'antagonista, un siniscalco invidioso che perisce nel duello, com'è giusto, corrisponde ai colleghi invidiosi delle fiabe, quelli che suggeriscono al re o altro potente padrone i compiti impossibili da assegnare all'eroe.

In questi casi - Drago dalle sette teste, Due fratellit; Amys and Amyle - il motivo dei gemelli, che possono anche non essere nati tali ma agiscono in quella funzione, é agganciato in modo soddisfacente a una solida trama. Quello russo dei falsi o veri gemelli multipli, dodici o quanti siano, appare invece più che altro come un elemento decorativo e accessorio, poco significativo agli effetti della trama. In un caso come nell'altro, siamo lontani dall'aver trovato nel folclore una traccia credibile dell'antichissima epopea di Gilgamesh e del suo compagno selvaggio, Enkidu.

Tuttavia dobbiamo ancora dar conto di un caso particolare e a quanto sem­bra del tutto italiano di falsi gemelli, fratelli d'anima più che di sangue. Si trova nel Pentamerone del Basile, nona novella della prima giornata, con la storia di Fonzo e Canneloro intitolata nella versione italiana La cerva fatata (6). Il rimedio alla sterilità di una regina risulta essere il cuore di un drago marino, che cotto in privato da una damigella vergine ingravida non soltanto lei, per averne respirato il vapore, ma anche i mobili della stanza, di modo che il comò figlia un comodino, il tavolo un tavolino e così via. (Lo smaliziato autore dovette diver­tirsi molto a questa idea della curvilinea mobilia barocca che prolifica dopo essersi debitamente gonfiata). I due giovani crescono insieme come fratelli e sono somigliantissimi ma l'ostilità della regina al ragazzo non suo li costringerà alla separazione: dopo di che la vicenda si allinea a uno degli sviluppi dei Due fratelli, con i segnali che denunciano il grave pericolo in cui versa il primo e il salvataggio a mezzo sostituzione da parte dell’altro.

Invece la veneziana Pomo e Scorzo, n. 33 delle Fiabe italiane (7),  che si trova anche in Emilia e nelle Marche e diventa Belpomo e Bellascorza in Piemonte e Abruzzo, si aggancia a un altro svolgimento anch’esso classico ma del tutto indipendente: quello dell’impietrato, come il Corvo del Gozzi. É il fedelissimo che salva ripetutamente il suo signore e amico da pericoli che egli conosce e che non può rivelare, perché “chi lo rivelerà / pietra di marmo diventerà”: tra­gico dilemma che solo una fiaba può risolvere con il lieto fine.

Ancora una volta la saldatura col motivo iniziale dei falsi gemelli è ottenuta in modo piuttosto casuale, grazie alla popolarità del nucleo narrativo dell'impietramento. Partendo da quei gemelli, ormai ce ne siamo capacitati, si può arrivare praticamente in qualsiasi posto.

Comunque è abbastanza curioso che un'idea narrativa così promettente non abbia trovato altri sviluppi fuori d'Italia; o che, altrove, sia caduta in di­menticanza. Inoltre in questa vicenda dei figli della mela magica vale la pena di sottolineare una differenza tra Pomo, bianco di carnagione come la polpa di una mela, e il bianco-e-rosso Scorzo, figlio della fantesca che di quella mela ha mangiato le bucce. Non sembra un dettaglio puramente esornativo. Si tratta piuttosto dell’accoppiata (tanto azzeccata da risultare necessaria) di innumerevoli romanzi per ragazzi e non: il signorino e il suo robusto associato plebeo, meno fine ma scoppiante di salute. Si direbbe che manchi solo un passo al con­trasto selvatico-civile, bestiale-eroico di Enkidu e Gilgamesh, il contrasto degli opposti che diventa gemellaggio grazie all'amicizia.

Ma con un’eccezione - che mi riservo di specificare tra un momento - quel passo non viene compiuto. L'antichissima coppia dei compagni dissimili sembra non aver lasciato eredi nel folclore dell'Occidente.

Sembra. Ma proprio nell'estremo occidente, nelle nazioni indiane stanziate tra la costa del Pacifico e le terre abitate dagli Irochesi, i folcloristi hanno raccolto la storia di una singolare coppia magica, Lodge-Boy e Thrown-Away (8).

In assenza del marito, una donna incinta viene uccisa. L’uccisore estrae dal suo ventre due gemelli maschi; ne lascia uno nella capanna e getta via l’altro tra i cespugli. Al ritorno il vedovo alleva il bambino trovato in casa, Lodge-Boy, il ragazzo della capanna. Questi col tempo scopre l'esistenza del fratello reietto, Thrown-Away, il bambino buttato via e fortunosamente sopravvissuto. Con la magia riesce a restituirgli le qualità umane perdute: dopo di che diventano inseparabili e compiono molte imprese insieme.

Una semplice coincidenza? Thompson però in una nota non si esime dal ricordare il romanzo medioevale di Valentino e Orso, o Ursone, il bel giovane e il selvaggio villoso cresciuto nel fondo dei boschi: che costituisce l'eccezione a cui accennavo un momento fa. Leggendo questa nota ricordai di aver conosciuti i due, con i medesimi nomi e le stesse caratteristiche, moltissimi anni fa, in un album illustrato inglese che in seguito per quanto mi riguarda scomparve dalla circolazione. La narrazione in quel picture book era condotta in vasi rima­ti: altro purtroppo non ne so.

A Thompson un collegamento diretto tra Lodge-Boy e Thrown-Away da una parte, Valentino e Ursone dall’altra, apparve quanto mai improbabile e tale egli lo dichiara. Ma se ricordiamo che fin dal terzo millennio a.C. da que­st’altra parte del mondo si era affermata l'accoppiata vincente dei due supereroi opposti e complementari, viene naturale porci qualche domanda.

Cosa c’era, già allora, nel corredo mentale degli antenati degli indiani che passando, a quanto si suppone, sul ponte di ghiacci dall’Asia al Canada cominciarono, migliaia di anni fa, a colonizzare quell’altro continente? E quanto di analogo rimaneva nel corredo mentale, poi negli scritti, delle genti lasciate indietro?

É solo un'idea. Non pretendo di avere fatto una scoperta. Ma non è proibito pensarci.

 

NOTE

(1) Theodor H. Gaster, Le più antiche storie del mondo, Einaudi, 1960 (Mondadori 1971)

(2) Aleksandr N. Afanasjev, Antiche fiabe russe, trad di Gigliola Venturi, Torino, Einaudi, 1953.

(3) Danie' Fabre-Jacques Lnacroix, La vie quotidienne des paysans du Languedoc au XIX siécle, Paris, Hachette, 1973. La vicenda dì questo Jan si differenzia da quella del suo congenere russo in quanto è inserita in una storia di compagni traditori molto simile a quella di Baffidirame il senza paura (nelle mie Fiabe liguri, Genova, Sagep, 1980).

(4) Comtesse de Segur, Nouveaux contes de fées, Paris, Hachette, 1968.

(5) Questo metrical romance si trova riassunto in The Red Romance Book a cura a Andrew Lang, edito da Longmans, Green & Co. A Londra nel 1905 con uno splendido corredo di illustrazioni in nero e a colori di H.J. Ford.

(6) Giambattista Basile, Il Pentamerone ossia la fiaba delle fiabe, trad. di Bendetto Croce, Bari, Laterza, 1924.

(7)  Italo Calvino, Fiabe italiane, Torino, Einaudi, 1956.

(8) Stith Thormpson, La fiaba nella tradizione popolare, Milano, Il Saggiatore, 1967. Segnalo qui un altro affioramento del motivo dei gemelli, portato agli estremi, in una impressionante storia di incesto negato raccolta tra gli indiani Seneca, Fratello nero e fratello rosso (John Bierhorst, Miti pellerossa, Milano, Longanesi 1984). Gli attentati di un fratello alla virtù della sorella sono sempre attribuiti da lui a un misterioso amico, che gli assomiglierebbe perfettamente: in più dice, “qualunque cosa accada a lui accade anche a me”. Infatti quando la donna lo mette alle strette i due le si presentano insieme e il fratello uccide l’estraneo. Ma nello stesso istante cade morto per una ferita uguale, a dimostrazione della loro fondamentale identità.