Renato
Venturelli
la
Genova di Rondi
Ha compiuto 92 anni il 10 dicembre, è il decano della critica
cinematografica italiana e un simbolo del cinema romano. Eppure Gian Luigi
Rondi è cresciuto proprio qui a Genova, dove col fratello Brunello (regista) ha
praticamente vissuto tutta l'infanzia e ha studiato sia al D'Oria sia al
Colombo.
"Sono nato a Tirano, in provincia di Sondrio, dove mio padre
era ufficiale della locale stazione dei carabinieri. Quando venne promosso
capitano, fu trasferito a Genova e venimmo ad abitare lì con tutta la famiglia.
Era il 1925, io avevo quattro anni e mio fratello Brunello era nato da poco.
Abitavamo direttamente nella caserma di piazza Sarzano, vicino alla chiesa di
Sant'Agostino, quindi abbiamo cambiato casa seguendo i vari trasferimenti di
mio padre. Prima la caserma sul mare in piazza Cavour, poi quando ha lasciato
l'Arma al Lido d'Albaro e infine in corso Firenze, al numero 7. Ricordo il
famoso ascensore di Castelletto e il castello D'Albertis. Rimanemmo a Genova dieci
anni".
Quindi fece a Genova anche
le scuole.
"Le scuole seguivano i vari spostamenti: le elementari
all'istituto Giano Grillo, che evidentemente era un personaggio importante e
non l'orrendo Grillo di oggi. Andando a scuola passavo davanti a villetta
Dinegro di cui ricordo ancora una gabbia con dentro gli istrici che mi
spaventavano... Poi, quando
abitavo al Lido d'Albaro ho fatto i primi tre anni del ginnasio al D'Oria.
Quando avevamo la casa in via Luigi Mercantini, ricordo un bambino della casa
accanto di cui ero amico, che si chiamava Peragallo e ritrovai anni dopo come
musicista del Teatro dell'Opera. Poi, quando andammo ad abitare in corso
Firenze, feci gli ultimi due anni del ginnasio al Colombo".
Cominciò a Genova ad andare
al cinema?
"No, cominciai nel 1936, quando mi trasferii con la famiglia
a Roma: andavo al liceo Giulio Cesare e con altri liceali - tra cui Vittorio
Gassman - diventammo grandi frequentatori di sale cinematografiche. Di Genova
comunque ricordo molte cose. Ricordo piazza della Vittoria, dove ho fatto la
pre-militare, ma poi facevo finta di allacciarmi una scarpa per defilarmi e
scappar via. Quando uscivo dal Colombo, arrivavo a De Ferrari, dove mio padre
passava a prendermi in auto per portarmi a casa. Ricordo corso Italia, i miei
primi bagni li ho fatti negli stabilimenti di Albaro: ho una fotografia con mio
fratello, fotografati in costume da bagno su un moletto della spiaggia. Ricordo
i caruggi, dove andavo sempre nonostante mio padre ci avesse proibito di passare.
Quando abitavamo in Sarzano, poi, eravamo sempre in via Ravecca. Avevamo
davanti a casa la chiesa, e mio padre si lamentava sempre perché suonava le
campane al pomeriggio, quando lui andava a riposare. Ma un giorno vidi che
accanto alla bandiera italiana c'era una bandiera bianca e gialla. Era l'11
febbraio 1929, mio padre mi disse: è perché abbiamo fatto la pace col
Papa".
Col lavoro di suo padre, la
famiglia si era ben radicata nella vita genovese?
"C'era anche mio zio che era Procuratore della Repubblica a
Genova. Viveva con noi e ogni tanto arrivava a casa furioso dicendo che era
stato a Marassi per interrogatori. Appresi così che a Marassi c'era il carcere,
ma imparai a conoscere anche lo stadio di calcio, uno stadio piuttosto bello
dove mio padre mi portava a vedere le partite. A Genova era diventato
appassionato di calcio: si entusiasmava per il Genoa, mentre io mi annoiavo da
morire!"
Ma ha avuto l'occasione di
vedere De Prà e Levratto!
"Anche quando Fellini mi portò con grande entusiasmo al
circo, dopo un po' cominciai a chiedergli ma quand'è che finisce? A Genova
preferivo andare al Carlo Felice. Lì vidi la mia prima opera, l'Aida. C'era una
scritta che mi colpiva molto: "Rege Carolo Felici Duce nostro",
quella parola Duce non mi piaceva ed ero stupito di vederla attribuita a Carlo
Felice. Al Margherita di via XX settembre vidi "Il tessitore", dove
Vittorio Emanuele alla fine non si inchinava al pubblico perché lui era il Re.
Poi andavamo sempre al Paganini, eravamo tutti entusiasti di Govi. Mio padre lo
frequentava molto, del resto i miei genitori avevano una vita mondana molto
intensa a causa del lavoro di mio padre. Ricordo che c'era un podestà che si
chiamava Broccardi. E ho una fotografia in piazza della Vittoria per la Festa
dello Statuto, con me e mio fratello piccolini sotto il palco della cerimonia.
Gilberto Govi era comunque molto amato, e anche dopo che ci siamo trasferiti a
Roma, in famiglia è rimasto sempre un modo di dire: "e zu aegua!",
che diceva Govi quando succedevano imprevisti o piccole cose sgradevoli una
dopo l'altra".
A Roma risulta poi aver
fatto la Resistenza tra i Cattolici Comunisti.
"Ero molto amico di Silvio D'Amico, che con Ossicini aveva
fondato in clandestinità il gruppo partigiano dei Cattolici Comunisti. Io ero
simpatizzante e lo seguii. Mi fece fare anche un'impresa, che poi racconta nel
libro L'isola Tiberina:
siccome parlavo un po' tedesco, andai a prendere dalle mani tedesche un
generale italiano. Era prima delle Fosse Ardeatine. Ma quando uscii dall'Hotel
Excelsior col generale, mi disse: hai avuto un bel coraggio!"
E subito dopo la guerra
iniziò la sua attività di critico.
"Avevo cominciato al “Il Tempo” occupandomi di teatro. Esordii come
critico cinematografico quando il titolare, Luigi Chiarelli, si ammalò di
cuore, e il direttore Angiolini chiese a D'Amico un consiglio per trovare un
vice: lui suggerì me e cominciai così nel 1947, con un regolare contratto. E'
il lavoro che faccio ancora adesso: non ho fatto molta carriera"
L'amicizia con D'Amico fu
importante...
"D'Amico fu la persona che disse ai miei genitori: non
fategli fare l'avvocato, lasciatelo seguire l'attività giornalistica. Io
studiavo giurisprudenza e si pensava che avrei fatto l'avvocato, come un mio
zio bolognese che aveva uno studio importante. Nel frattempo, mio padre era
andato in pensione e aveva cominciato a produrre alcuni film, tutti piuttosto
buoni, come Le miserie del
signor Travet di Soldati, Notte di tempesta di Franciolini e Ultimo amore di Luigi Chiarini. Mi occupavo già di
cinema, ma fu in quell'occasione che conobbi ad esempio Mario Soldati, oppure
Sordi: abitavamo in via Malta e un giorno arrivò nel giardino della villa un
ragazzotto che si chiamava Alberto Sordi, e mio padre disse ma sì, prendiamolo
per una particina!".
Ha poi avuto ancora rapporti
con Genova? Ad esempio, con Padre Arpa.
"Ho lavorato con lui solo dopo che era venuto via da Genova e
si era trasferito a Roma. Mio fratello, Brunello, invece veniva spesso perché
aveva sposato una genovese, Ludovica Spingardi. Brunello frequentava molto
Genova negli anni '50. Fu appunto lui a presentare Federico Fellini a Padre
Arpa: che poi, com'è noto, ebbe modo di difenderlo in molte occasioni".