le voci che corrono

Rudy Van Gelder (1924-2016)

 

Il jazz fu tra le prime musiche ad essere registrate elettricamente e presto assunse un posto speciale tra i tecnici audio, alcuni dei quali si distinsero per lunghe e illustri carriere, ma solo uno raggiunse la celebrità: Rudy Van Gelder, morto, alla fine di agosto, all'età di 91 anni.

 

Per molti degli addetti ai lavori, Van Gelder è stato il più sopravvalutato dei tecnici nella storia dell'audio, per altri un visionario del suono.

 

Il nome di Rudy van Gelder compare in più album di jazz di qualunque altro tecnico, produttore o musicista. In complesso, Rudy ha registrato migliaia di dischi per Blue Note, Prestige, Impulse, Verve, A&M, CTI ed altre etichette- il che significa che è stato personalmente responsabile di un bel pezzo di storia del jazz del dopoguerra. Buona parte di quegli storici album venne registrata prima nella casa dei genitori di Rudy a Hackensack, New Jersey e poi, dal 1959 in avanti, nel suo studio a Englewood Cliff, N.J.

 

Con la democratizzazione delle tecnologie di registrazione rischiamo di dimenticare l'inaudita centralità di un processo che, negli anni 50 o 60 aveva un che di magico per molti acquirenti di dischi, quando il tecnico Rudy van Gelder registrò alcuni dei più grandi album jazz. 'A Love Supreme'? C'era Van Gelder. Così in ’ Walkin’ di Miles Davis, in 'Maiden Voyage' di Herbie Hancock, in 'Saxophone Colossus' di Sonny Rollins’, in 'Song for My Father' di Horace Silver…e ancora in Dexter Gordon, Donald Byrd, Wayne Shorter, Art Blakey…

 

Molti di noi trascurano un punto essenziale riguardo la registrazione rivolta a persone senza un orecchio canino: gli orecchi umani non chiedono un suono “pulito”. Piuttosto siamo attratti dalla distorsione armonica. Le persone non domandano realismo e nemmeno esattezza; preferiamo “larger-than-life”. Questo è quanto Van Gelder ha dato al mondo, al meglio delle sue capacità e delle attrezzature: il suono più grande, più caldo cui poté dar forma. Come i suoi pioneristici interventi nello studio casalingo, così quella passione per i suoni “larger-than-life” tra ascoltatori e musicisti è veramente l'odierno stato dell'arte (George Hicks).

 

Il suo contributo al jazz consisteva nel girare manopole e sistemare microfoni, ma si rivelò di importanza vitale. Non essendo un produttore con un controllo artistico, ma un tecnico, Van Gelder padroneggiava ogni aspetto del processo di registrazione dalla disposizione dei microfoni fino alla masterizzazione. Non era molto loquace sugli aspetti tecnici, sebbene parte del suo metodo includesse il modo in cui piazzare ogni strumento in un suo spazio sonico. Questo permetteva sottigliezze e dinamiche nel modo in cui i musicisti manipolavano ottoni e legni degli strumenti acustici.

 

Parlando dei miei album spesso la gente dice che la musica ha spazio, io cerco di riprodurre un senso di spazio complessivo nel quadro sonoro, con microfoni disposti nello studio in modo da creare una sensazione di spessore e profondità.

 

Il mio vero nome è Rudolph ma tutti mi chiamano Rudy. La mia famiglia è originaria di Arnhem, in Olanda.

Ho sempre ascoltato jazz sia per radio che su disco. A scuola suonavo la tromba, piuttosto male, ero membro della fanfara presente alle partite di football. Poi preferirono mettermi alla biglietteria.

 

Da giovane volevo fare qualcosa che fosse legato alla fotografia o alla registrazione sonora. Due attività la cui caratteristica è di preservare degli avvenimenti.

Ottenuto il diploma di optometrista lavoravo di giorno nello studio ottico e la sera registravo musicisti e cantanti locali che volevano fissare i propri sforzi sul 78 giri. Investivo tutto quanto ricavavo dal lavoro in equipaggiamento per la sala di registrazione. Questo durò fino al 1959 quando aprii lo studio di Englewood Cliff.

 

Scopo della tecnologia è far suonare la musica proprio come il musicista vuole che sia ascoltata. Non ho un segreto. Tutti possono comprare le mie stesse macchine, la mia tecnica è la maniera di utilizzarle.

Per me il microfono era tutto.

Alfred Lion (boss della Blue Note) amava certi musicisti e li registrava quanto più possibile, io sono colui che ha concretizzato il suono Blue Note nato nella testa di Lion. Lionpre-visualizzava” quello che sarebbe stato il lavoro finito, sapeva come suonavano i musicisti e badava a che li registrassi come andava fatto. Bob Weinstock (della Prestige) era un produttore “non-interventista”, del tipo: lasciamo che i musicisti facciano la loro musica e vediamo che succede.”

 

Accetto la musica e i musicisti così come sono. Tra i tanti dischi che ho registrato ricordo con piacere quelli di Miles Davis, quelli con Wynton Kelly e Red Garland al piano, Lee Morgan su “The Sidewinder”, “Stolen Moments” di Oliver Nelson, “Blue Train” di John Coltrane e di arrangiatori come Creed Taylor, Gil Evans, Claus Ogerman, Don Sebesky et Quincy Jones.