Carlo Stagnaro

Sergio Ricossa, l'economia liberale tradotta in coscienza morale

un convegno a Torino dedicato all'illustre studioso

  

Le idee vivono di vita propria, ma camminano sulle gambe degli uomini. In Italia, il liberalismo ha pesato per molti troppi anni esclusivamente sulle spalle di Sergio Ricossa.

questa la ragione per cui amici ed estimatori si sono sentiti in dovere di ringraziarlo dell'immenso lavoro svolto, della titanica e solitaria difesa dei diritti individuali.

Martedì prossimo, studiosi, accademici e giornalisti si confronteranno sul tema “Gli intellettuali e il libero mercato: l'esempio di Sergio Ricossa” (ore 10,00, Centro Congressi dell'Unione Industriale Via Fanti 17, Torino).

Ralph Raico, professore di storia presso il Buffalo State College (University of New York), darà il via alle danze, seguito da molti fra quanti hanno contribuito al volume Il coraggio della libertà. Saggi in onore di Sergio Ricossa (Rubbettino, pp. 600 pagine, 30 euro), che verrà qui presentato per la prima volta. Curato da Enrico Colombatto (allievo e in un certo qual modo “successore” di Ricossa presso la facoltà di economia dell'Università di Torino) e Alberto Mingardi, esso non è solo un doveroso tributo a un maestro, ma una fotografia fedele delle idee e dei “nomi” oggi di maggior spicco nell'arcipelago liberale.

Ne esce un quadro assai diverso rispetto a quando Ricossa intraprese la sua opera di divulgatore e studioso. Agli esordi del proprio percorso intellettuale, infatti, egli accettava pienamente i dettami dell'economia neoclassica, forse per mancanza di alternative sulla piazza. In seguito, ha abbandonato l'economia “matematizzata” e si è mosso verso un approccio diverso allo studio delle scienze sociali.

Ha fatto proprio l'insegnamento di Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek: il fondamento stesso dell'analisi neoclassica, la nozione di “equilibrio” è priva di senso, perché “presuppone un mondo uniforme, prevedibile, senza rischi, senza fallimenti senza disoccupazione, un mondo in cui il futuro è trasparente, e i dati di partenza, in base ai quali decidiamo, si mantengono costanti, non mutano all'improvviso, e tutt'al più seguono regole ben conosciute. Questo mondo non esisteva, non esiste e comunque non è il capitalismo”.

Per Ricossa, “il soggetto dell'economia è l'uomo, spiega Mingardi nel suo corposo saggio introduttivo, e l'uomo non è un ente le cui azioni obbediscano inevitabilmente ai pretesi equivalenti economici della legge di gravità. Questa prospettiva potrebbe essere giudicata sbrigativamente come una visione pessimistica dell'uomo (incapace di prevedere il proprio domani) ed invece, esattamente all'opposto, è una visione esaltante dell'esperienza umana. L'economia imperfettistica non è una laicizzazione dell'idea di “piano della Provvidenza” ed anzi riconosce l'uomo come faber fortuna e suae, nei limiti impostigli dall'esistenza dei suoi simili”.

L'economista torinese d'altronde, una volta identificato il nemico ha fatto ampio uso del suo naturale talento comunicativo per combatterlo su ogni campo. Così, la lotta al marxismo e al “perfettismo” è anche guerra aperta al catastrofismo ecologista, lo scetticismo nei confronti del progetto europeista fa il paio con la diffidenza verso la democrazia. Avversare lo Stato, negare che il “pubblico” debba o possa legittimamente intervenire in sostituzione del privato, non significa d'altra parte aspirare a un mondo senza regole, privo di ordine.

Ciò a cui i libertari tendono “non è la libertà dei delinquenti, la licenza, la libertà positiva di fare qualcosa agli altri; è la libertà negativa di non subire il potere degli altri, di riuscire a mantenere le proprie scelte ampie il più possibile. Vivere è scegliere, e il liberalismo è l'ideologia della vita”.

Sono posizioni ruvide. nette, pagate a caro prezzo, che hanno guadagnato allo studioso torinese epiteti infamanti e bizzarri. Qualcuno lo ha addirittura definito un “liberista alla destra di Gengis Khan”. Eppure, la sua visione è profondamente realista. Egli sa bene che l'uomo non è perfetto e, pertanto, ogni progetto di ingegneria sociale -non importa quanto ben intenzionato - è votato al fallimento. Di più: implica una soppressione della libertà, cioè del bene più prezioso e più scarso di cui gli uomini dispongano. Consegnare i propri diritti, chiavi in mano, al governo è una decisione suicida: “L' uomo politico non è di razza superiore, più lungimirante e meno fallibile dell' uomo comune”. Anzi, il meccanismo democratico sembra essere congegnato in modo tale da selezionare gli individui peggiori, più inclini alla menzogna, al furto, al tradimento. Accordare loro un potere grande, enorme, assoluto significa condannarsi con le proprie stesse mani a un sistema di taglieggiamento e oppressione virtualmente senza confini.

Mingardi, che del professore ha già curato l'antologia Da liberale a libertario (Leonardo Facco Editore, 1999), sottolinea che “per molto tempo, dopo la morte di Luigi Einaudi e la prematura scomparsa di Bruno Leoni, Ricossa è stato l'unica voce autenticaménte liberale (e quindi anche "liberista") ad alzarsi in questo Paese. Egli ha tenuto accesa la fiaccola del liberalismo in un periodo per molti versi oscuro, nel quale ben altre erano le idee dominanti e l'élite culturale ostentava una presuntuosa indifferenza verso un pensiero sbrigativamente liquidato come l'insostenibile eredità di certi economisti settecenteschi”.

Del resto, gli autori dei saggi raccolti ne Il coraggio della libertà non sono certo restii a dichiarare il proprio debito, intellettuale e umano, verso l'economista piemontese.

Lorenzo Infantino sottolinea come egli sia stato tra quanti hanno saputo ricostruire, sulle orme di Hayek, il filo sottile che lega i moralisti scozzesi (Mandeville, Hume, Smith) agli economisti della scuola austriaca. Antonio Martino vede in lui un “maestro” e un liberale da sempre in prima fila nella battaglia delle idee. Per Angelo Maria Petroni, egli ha saputo sfidare fieramente l'impopolarità. Lord Harris of High Cross, fondatore dell'IEA di Londra e in un certo senso “padre nobile” del thatcherismo, non si stanca di ricordare che l'amico Sergio è anzitutto “un vero studioso”.

Dario Antiseri racconta che Ricossa non si è mai stancato di porre l'accento sulla società aperta “come ideale”, più che come fatto. Il che spiega la bella citazione posta da Carlo Lottieri ad epigrafe del suo scritto, e ripresa in terza di copertina: “È probabile che, oggi come oggi, il più urgente compito della cultura libertaria sia analizzare la distinzione tra ciò che è legale, costituzionale, maggioritario, e ciò che è moralmente difendibile”. Non sempre l'obbedienza allo Stato risponde all'esigenza di libertà che alberga nel cuore dell'uomo. Ricossa ha rappresentato, per tanti anni, la buona coscienza di un'Italia in mano agli arroganti conquistadores dell'ideologia.

 

Il Tempo”, 8 settembre 2002