Kenneth Rexroth (1905-1982), militante nel "Libertarian Circle", fu il poeta che più d'ogni altro si adoperò per la cosiddetta "San Francisco renaissance" (dopo aver preso parte, negli anni venti, ad un altro "rinascimento", quello di Chicago). A questo titolo si incontrò con i protagonisti della "beat generation" avendo per giunta su di loro una sicura presa ed influenza. Fu lui, ad esempio, a far entrare Gary Snyder nel giro. I rapporti non furono comunque del tutto sereni e Rexroth non lesinava battute su questo gruppo di "newyorkesi". Con Kerouac in particolare andò giù pesante. L'articolo che pubblichiamo mostra come Rexroth - contrariamente agli intellettuali jazzofili della sua generazione - non avesse pregiudizi nei confronti del rock and roll e della musica popolare in genere (alla quale dedicherà poi un testo che intendeva metterne in luce gli aspetti "sovversivi") benchè sposasse l'auto-rappresentazione "alta" (o, come viene detto altrimenti, "progressiva") del jazz. La parte finale di questo articolo potrebbe essere appiccicata proprio a Kerouac e al suo modo di intendere la "poetica bop". "Ci sono due cose su cui Jack non sa nulla", amava ripetere Rexroth, "il jazz e i negri".

Kenneth Rexroth

poesia jazz

Poco meno di due anni fa, la poetica jazz ha rappresentato la speranza, 1a memoria e un'eventualità per tutta una serie di sperimentazioni. Oggi corre il rischio di diventare solamente un entusiasmo passeggero, una moda. La vita delle mode è per la maggior parte delle volte intensa, vuota e soprattutto breve. Io considero invece la poetica jazz un valore ben consolidato. Il successo e l'interesse per essa non ha niente di stravagante e bizzarro, fra l'altro non rappresenta neppure una novità. Ai primordi della musica nera e del jazz, prevalentemente nel Sud-ovest, tutto questo si chiamava "Blues parlato", oggi purtroppo assai difficile da ascoltare.

Può risultare utile un semplice esperimento. Provate a scindere la melodia, di per se già semplice, da brani quali quelli di Big Bill Broonzy o Leadbelly. Ci si potrà rendere conto di quanto la parte recitata prevalga su quella suonata. Siamo di fronte alla declamazione di una poesia con il solo accompagnamento "blues" di una chitarra. Molto tempo prima il poeta francese Charles Cros, recitava i propri versi (non li cantava) insieme ad un complesso musicale da bal musette. Ciò entrò in seguito a far parte del repertorio comune agli artisti di café chantant , soprattutto i divertenti Les Hareng Zaur. Anche oggi, alcuni fra i testi più impegnati di rock 'n Roll sono recitati e non cantati, con la musica che sconfina di sovente verso il canone più puro del jazz. Comune in molte chiese, o durante gli incontri negro-revivalistici, è la recita da parte di un membro della congregazione di una poesia con accompagnamento strumentale o corale. Molti anni fa lo stesso Langston Hughes recitò un poema dedicato al jazz. Io stesso feci un'esperienza del genere a Chicago, negli anni venti. Nei tardi anni quaranta il poeta Kenneth Patchen incise una composizione poetica. Il poeta di San Francisco Jack Spicer ci provò con un trio che al basso vantava la partecipazione di Ron Crotty. Il risultato, nonostante fosse lontano dal più canonico jazz, fu assai entusiasmante. Per alcuni addirittura più entusiasmante dei toni colorati della musica russa d'inizio secolo. Lawrence Lipton lavorò con alcuni dei migliori musicisti di Los Angeles per più di due anni. Gli esempi nella musica classica moderna non mancano. Façade di William Walton, Persephone di Stravinsky, le composizioni di Auric, Honegger, Milhaud sono esempi ben conosciuti di declamazione piuttosto che di canto. Charles Mingus e Fred Katz fecero, per un certo periodo, con questo genere di mezzi, varie esperienze musicali. Parlando da poeta trovo la musica commovente, mentre per quel che riguarda i testi, essi potrebbero migliorare.

Cosa si deve intendere allora per poesia jazz? Non è molto complicato da capire. Non si tratta che della declamazione d'un componimento poetico adeguato alla musica prodotta da un piccolo e sobrio ensemble jazz. Per intenderci non è una recita con un semplice sottofondo musicale. Nel nostro caso la voce si sposa integralmente con la musica, e anche se le note non vengono cantate, è integrata perfettamente con l'insieme del gruppo. Come uno strumento va e viene seguendo la logica della presentazione come un sax o un pianoforte. A confronto la non rara poesia recitata con l'ausilio di un sottofondo musicale appare graziosamente ingenua. Perchè si chiama poetica jazz? I cantanti jazz di elevata qualità, soprattutto bianchi, non sono comuni. Molti cantanti di colore si sono soffermati sul blues, mentre altri hanno considerano più moderno e praticabile il jazz. Non sono poi molti i cantanti che le varie scuole di quest'ultimo trovano congeniali. Frank Sinatra, Ella Fitgerald …

Il poeta recitante, consapevole del fatto suo, "swinga" per la soddisfazione dei musicisti.

Alcuni testi delle canzoni popolari sono estremamente poetici ma indubbiamente molti sono intellettualmente lontani dal jazz moderno e magari privi di sincerità, il miglior jazz si identifica con un'assoluta onestà emotiva. Penso tuttavia che sia un errore bollarli di banalità.. I versi della tradizione blues o della canzone folk, in genere di elevata qualità poetica, risultano talvolta insufficienti rispetto ai criteri comunicativi del jazz. La poesia permette al jazz di arricchirsi di contenuti verbali, rinforza e sviluppa il significato musicale. Nello stesso tempo rende il tutto molto più morbido e pastoso. Come si ottiene in pratica tutto questo?

Esaminiamo il lavoro svolto da Kenneth Patchen insieme ad Allyn Ferguson e al Chamber Jazz Sextet. La musica è composta, scritta. Durante l'esecuzione c'e spazio per eventuali improvvisazioni, ma la voce viene registrata con la massima cura. Al contrario di quello che credono i profani, il jazz è soprattutto una musica scritta. Alcune delle più note registrazioni di King Oliver e Louis Armstrong vennero incise con la collaborazione del raffinato musicista Lil Hardin. L'arrangiatore di Duke Ellington, Billy Strayhorn, era uno dei migliori musicisti americani. Il mio complesso era formato da Dick Mills (tromba), Brew Moore (sax-tenore), Frank Esposito (trombone), Ron Crotty (basso), C. Wiley (piano) e Dan Dustafson (batteria). Recentemente, a Los Angeles, mi sono impegnato per due settimane con il complesso di Shorty Rogers. In entrambi i casi il lavoro è stato svolto con la massima cura, provando e riprovando, con particolare attenzione agli arrangiamenti. Ogni musicista aveva di fronte a se il testo. Sui fogli venivano annotate tutte le impressioni interiori, gli stimoli provenienti dall'esterno, la progressione degli accordi, le linee melodiche e i vari suggerimenti. Ritengo che questo metodo permetta di avere il massimo di adattabilità e di spontaneità, provvedendo nello stesso tempo di ottenere una profonda uniformità ed un ottimo amalgama (questo sempre musicalmente parlando). L'emozione provata è ben maggiore di quella d'un testo scritto. Quindi. i musicisti dopo varie prove ottengono un lavoro molto elaborato. Vorrei poter affermare che il jazz, contrariamente a quello che pensano gli incompetenti, non è solamente frutto di spontaneità e improvvisazione. La musica non salta fuori dalla testa dei musicisti per incanto. Di solito dietro alle libere improvvisazioni di molti complessi ci sono solo gradevoli cambi di accordi, figure melodiche, variazioni di tempo e dinamica.

E' superfluo affermare che nemmeno la poesia viene improvvisata. Chi ha sperimentato in questo senso ha ottenuto solitamente risultati disastrosi e ridicoli. Questo genere non fa per me, anche se ammetto che alcuni poeti hanno talvolta ottenuto, con musicisti sensibili, dei risultati soddisfacenti. Il sottoscritto fece un'esperienza simile con Marty Paitch al piano e Ralph Pena al basso, due musicisti dotati di sensibilità e di straordinario senso poetico. Ovviamente tutto dipende dalla qualità dei musicisti. Spero che i bizzarri elementi di questa nuova mania possano sparire definitivamente. Basta con gli ignoranti, i presuntuosi, i fanatici, i gaudenti. Tutti hipster fuori di testa magari per qualche drink in più consumato all'interno d'un locale del Village. Questi personaggi hanno stancato, è ora che salutino definitivamente il loro pubblico e lascino il campo libero ai musicisti veri, ai poeti a chi fa sul serio. In questo modo avremo un reale accrescimento del notevole potenziale di espressione del jazz unito alla poesia. Riusciremo a raggiungere un pubblico molto più vasto, più vasto di quello solitamente formato dai soli amanti della poesia. Un pubblico finalmente libero, non più imbrigliato dai severi canoni tipici della poesia. Sarà il ritorno della poesia alla musica, al pubblico divertimento, allo spettacolo come ai tempi di Omero o dei Trovatori. Più ancora che nel passato, sarà costretta ad occuparsi della vita. Il maggiore contatto con il pubblico permetterà a tutti di comprenderla, come ai tempi di Shakespeare. Nello stesso tempo, darà al jazz una maggiore flessibilità verbale che armonizzerà l'integrità artistica della musica.

Parte del pubblico sembra gradire questo tipo di esperienze, quali che siano le sedi delle session, gli auditorioum dei college, i night clubs o le sale da concerto. Negli ultimi due anni c'e stata una larga diffusione, dal Cellar, un piccolo bar di San Francisco, ai campus universitari, dai night clubs di Los Angeles, St. Louis, N.Y., Dallas, Chicago fino alla Jazz Concert Hall di Los Angeles dove Lawrence Lipton concepì un programma che comprendeva S. Rogers, Fred Katz, due complessi, me medesimo, Stuart Perkoff e lo stesso Lipton. Il pubblico fu di più di seimila persone in due settimane.

"The nation", March 29, 1958

 

diversi testi di K.R. si trovano in Bureau of Public Secrets

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