le voci che
corrono
Jean-François Revel (1924-2006)
Parigi, 30 Apr. (Apcom) -
L'Accademico di Francia Jean-Francois Revel, filosofo, scrittore e giornalista, è morto nella
notte fra sabato e domenica nell'ospedale Kremlin-Bicetre
presso Parigi, all'età di 82 anni. Lo ha comunicato la vedova, la giornalista e
scrittrice Claude Sarraute.
Revel,
che è stato direttore dell'Express, è autore di una trentina di saggi che hanno
avuto grande influsso sul costume contemporaneo. Fra questo, "Pour l'Italie", 1969, omaggio al Bel
Paese rispettoso, ma senza peli sulla lingua.
Nato il 19 gennaio
§
Mario
Cervi: Ricordo di Jean-François Revel
- In memoria di Jean-François Revel voglio anzitutto ricordare le volte in cui ebbi
occasione di frequentarlo: noi due soli, o insieme a François
Fejtö, o insieme a Indro Montanelli: che molto lo apprezzava e molto ne era
apprezzato. Si trattava, in generale, di occasioni
conviviali: nelle quali Revel ci incantava, sempre,
per la capacità del paradosso senza stravaganza, per la vena polemica, per la
cultura sterminata. Aveva in comune con Montanelli la
caratteristica d'essere un liberale strenuo e anarcoide, un demolitore
implacabile di luoghi comuni e di tabù ideologici sui quali la meglio
intellighenzia campa, e campa bene.
Anticolonialista in
gioventù, antigollista negli anni in cui il generale era al potere, Revel aveva frequentato la sinistra senza mai intrupparvisi stabilmente. Ma la sinistra socialista lo
considerava uno dei suoi, e infatti, a metà degli anni
Sessanta, Mitterrand gli aveva assegnato un posto di
ministro nel «governo ombra» che, come capo dell'opposizione, stava allestendo.
Prese tuttavia a
collaborare all'Express, settimanale spregiudicato e impetuoso che ha segnato profondamente una stagione del giornalismo
francese (diventandone poi direttore nel '78). Come tale fu senza
tentennamenti critico del potere, e senza riserve anticomunista: il che
lo mise in rotta di collisione con i santoni alla Jean-Paul
Sartre. Revel era un
fervente sostenitore dell'indipendenza intellettuale, alla Raymond
Aron, ma con qualche asprezza in più rispetto al maestro.
Nel 1981 lasciò
l'Express per un contrasto con il proprietario della testata, Jimmy Goldsmith: e in
un'intervista me ne spiegò le ragioni. La frattura era derivata -
nell'intervallo tra due turni delle elezioni presidenziali francesi - da una
copertina che raffigurava un Giscard d'Estaing invecchiato e depresso e un Mitterrand
radioso. Giscard - che quelle elezioni le perse -
ritenne d'essere stato danneggiato e chiese la testa del vice direttore
dell'Express, il socialista Olivier Todd, addossandogli l'iniziativa.
Revel
difese Todd e di fronte all'irremovibilità
dell'editore se ne andò (se ne andò con lui anche Max
Gallo).
«La copertina
incriminata - mi disse a Parigi - non era né degradante né sbagliata. Forse gli
storici futuri vi vedranno il miglior pronostico di ciò che è poi accaduto».
Per dissipare ogni
possibile dubbio su una sua possibile adesione al mitterrandismo precisò: «Quel che
rimprovero ai socialisti è di non avere esattamente indicato cosa vogliono fare.
Non si può sostenere di voler nazionalizzare, e nello stesso tempo di voler
diminuire il ruolo dello Stato, e accrescere quello delle regioni. Io non credo
al progetto socialista. Mitterrand è stato eletto su
un equivoco. Non ha detto con chiarezza se è marxista o socialdemocratico o liberaldemocratico».
Ho insistito su questa esperienza personale perché mi pare dimostri, più di
diffuse analisi, quale fosse il metro di giudizio del Revel
autore di saggi, del Revel articolista, del Revel direttore. Dovunque e comunque
si muovesse scontentava molti e non accontentava quasi nessuno.
Amava l'Italia - per
alcuni anni risiedette a Firenze, era incantato dalla
Toscana e parlava bene l'italiano - ma il suo volume
Pour l'Italie, nel quale non mancavano sfoghi al
veleno contro i nostri vezzi e i nostri vizi, suscitò un putiferio. Revel fu indotto a qualche atto di contrizione,
ma Montanelli osservò che «arrabbiarsi contro Revel è come dargli ragione».
Amava la poesia, ma
curando un'antologia di quella francese procedette a colpi di machete, sfoltendo il gruppo da nomi del calibro di Pierre Corneille, Claudel, Cocteau, Aragon. Se la prendeva con la destra
stupida e con la sinistra intollerante. Nel libro Né Cristo né Marx
faceva professione di socialismo, ma alla sua maniera, ossia riducendo in
macerie le ampollosità retoriche delle quali i demagoghi infarciscono
le loro tesi. «Il mondo - scriveva - evolve verso il socialismo. Tuttavia il
principale ostacolo per il socialismo non è il
capitalismo, è il comunismo».
Ammirava la capacità di
compromesso, ma anche di dissimulazione e di doppiezza (Né Cristo né Marx è del
'76) dei comunisti italiani: «Hanno tutto l'interesse di dare di sé un'immagine
liberale che gli faccia guadagnare dei voti. I partiti
comunisti sono i soli ad esigere d'essere giudicati in base alle loro
dichiarazioni, mentre tutti gli altri partiti politici vengono
giudicati in base ai loro atti».
So - perché ne
parlavamo - che Revel non era un ammiratore
incondizionato degli Usa: del resto, per un raffinato europeo quale egli era,
alcuni aspetti della società americana risultavano senza
dubbio insopportabili. Ma sapeva separare i
pregiudizi istintivi dai giudizi meditati. E allora -
in L'ossessione antiamericana - metteva a confronto la concretezza magari rozza
di certe posizioni americane e le arrampicate sugli specchi di tanti europei
salottieri.
«Il problema degli Usa
è che sono un mondo reale: vizi, virtù e contraddizioni ne fanno parte in modo
fisiologico. L'essere reale è sempre stata una condizione di netto svantaggio
nei confronti dei mondi immaginari dei nostri amici intellettuali.
È ovvio che se si
contrappone una situazione ideale a una reale, la
seconda ne esce a tinte fosche». Perfetto. E se del caso
Revel avrebbe saputo con eguale efficacia criticare
arroganze e banalità americane.
Abituati come siamo alla sommarietà approssimativa dei talk-show
televisivi, il livello polemico e dialettico d'un Revel
poteva sembrare sprecato. Naturalmente non lo era. Jean-François
Revel ci mancherà.
Mario Cervi, “Il giornale”, 2 maggio 2006
§
Courte biographie
- Jean-François Revel est né le 19 janvier 1924 à
Marseille, dans une famille d’origine franc-comtoise.
Il fait
ses études secondaires à l’École libre de Provence à Marseille, puis, après l’obtention
du baccalauréat littéraire, prépare à Lyon, au lycée
du Parc, l’École normale supérieure, où il est reçu
en juillet 1943 24ème ex-aequo.
Pendant la guerre, à Paris, il participe à
la Résistance sous le pseudonyme “Ferral” et, de ce fait, en 1944, après la Libération, est chargé de mission au Commissariat de la République de
Après
la guerre, il est nommé successivement professeur en
1947-1948 Tlemcen (Algérie),
de début 1950 à fin 1952 au
lycée français et à l’Institut français de Mexico, et enfin, de 1952 à 1956, à l’Institut
français ainsi qu’à la Faculté des Lettres de Florence , où il prépare son aggrégation
de philosophie qu’il passe lors de son retour
en France en 1956.
Par la suite, il fait partie du
cabinet du sous-secrétariat
d’État aux Arts et Lettres,
avant de prendre un poste d’enseignant en philosophie au lycée Faidherbe à Lille
(1957-1959) puis au lycée Jean-Baptiste Say à Paris. Il quitte l’Université en 1963 pour se consacrer à une carrière de journaliste
et d’écrivain.
Sa carrière littéraire commence en 1957, avec le roman Histoire
de Flore et surtout l’essai Pourquoi des philosophes. Son oeuvre rassemblera au final une trentaine d’ouvrages, dont les plus célèbres sont Ni Marx ni
Jésus (1970), La Tentation totalitaire (1976), Comment les démocraties finissent (1983), La Connaisance
inutile (1988), Le voleur dans la maison vide (1997),
Il a
en outre assumé les fonctions de conseiller littéraire et de directeur de collection chez René Julliard,
Jean-Jacques Pauvert, Robert Laffont jusqu’en 1978, date à laquelle il
devient directeur de l’hebdomadaire l’Express, dont il était l’un des éditorialistes depuis 1966. Il démissionne de la direction de
l’Express en 1981 à la suite d’un différend avec son propriétaire
Jimmy Goldsmith, puis devient, en 1982, chroniqueur au Point, poste qu’il occupera jusqu’à sa mort.
Il a collaboré également, en qualité d’éditorialiste, à des stations de radio : Europe n°
1 (1989-1992), et R.T.L.
(1995-1998).
Il est
élu à l’Académie française, le 19 juin 1997, au fauteuil d’Étienne
Wolff (24e fauteuil).
Jean-François
Revel est décédé dans la nuit du samedi
29 avril 2006 à l’hôpital Kremlin-Bicêtre.