Carlo Romano
Reich e Jung
Andrea Pitto: JUNG E REICH. Freud
e i suoi discepoli.Eresia, misticismo, energia, nazismo.
Mimesis, 2014
Jung
e Reich. Un accostamento così ardito può far pensare più a difformità che a
convergenze, ma non è questa, o non lo è del tutto, l’intenzione di Andrea
Pitto. Per dirla con Nietzsche, “la follia dei concetti generali” si espresse
fra i discepoli di Freud nei vari archetipi, traumi della nascita, spinte in
avanti ecc. ma le divisioni che generò andrebbero ripensate come canovacci che
colsero, ognuno a modo proprio, un particolare che si completa negli altri.
Alle pressioni che hanno decretato la separazione, mi pare, si guarda oggi, anche negli ambienti
professionalmente interessati, con una clemenza sconosciuta in passato, del
tutto a vantaggio di una visione culturale meno gretta. Ciò non toglie che tali
pressioni abbiano avuto un’influenza sul piano teorico oltre che su quello
interpersonale.
È
di ciò che si occupa l’ampia prima parte del libro di Pitto. Centrale è la
fondazione della Società Internazionale di Psicoanalisi (AIP), col prembolo del
“Comitato segreto”, che impose l’ortodossia e di conseguenza la formazione di
gruppi più o meno estesi di “eretici”, responsabili a loro volta di nuovi dogmi
e nuove organizzazioni. Chiariti in primo luogo i termini della griglia
interpretativa, col ricorso a Weber e altri, con buon zelo didattico Pitto
sviluppa il discorso attraverso la lettura di alcuni testi teorici, storici e
memorialisti, specialmente quelli di Abraham, Bernfeld, Castel, Cremerius, Deleuze
e Guattari, Eitintong, Jones, Sachs, Sulloway, Zaretsky.
I
temi adocchiati sono naturalmente quelli del dogma e dell'eresia, dell'ortodossia
e della dissidenza, nel quadro tipico dei fenomeni religiosi che gli stessi
protagonisti, perlopiù atei o agnostici, riconobbero, almeno parzialmente, di
surrogare. Ne consegue l'analisi delle contestazioni all'originario nucleo
concettuale freudiano - comprese quelle varianti che pur trattenute in questo
alveo manifestarono, come nei casi di Ferenczi e Groddeck, non poche
stravaganze - in un intrico che non si limita alla lacerazione dei vincoli
intellettuali col fondatore ma incalza le dissidenze sul terreno della
comparazione, specialmente nei casi di Jung e Reich che prendono incremento
nella seconda e più specifica parte del libro.
Ancora
una volta ci si trova - ma precisando ulteriormente le modalità della rottura,
determinata da un avverso complotto nel caso di Reich e dalla consapevolezza di
operare ormai su un piano di sensibili differenze in quello di Jung - a dover
fare i conti fra centro e periferia mentre le preoccupazioni dell'autore
prendono sempre più corpo proliferando dalle complesse - e mi sento di poter
dire accurate - trame storiografiche. Il punto è che dedurre un’affinità di
esiti teorici dal fatto che sia Jung sia Reich furono lettori di Stirner è
irragionevole. Pitto tuttavia, mantenendo i piedi per terra nel porsi il
problema di quella che dai francofortesi sarà chiamata “personalità
autoritaria” – e che in Reich aveva ben prima prodotto quel capolavoro che è la
Psicologia di massa del fascismo –
focalizza la sua analisi sulle costruzioni concettuali-metaforiche quali la
junghiana “pseudologia fantastica” e
la reichiana “peste emozionale” per spiegare l’avvento al potere di Hitler
–senza ovviamente negare i momenti di compromissione ai quali cedette Jung –
nella prospettiva di un’ipnosi di massa. “Fogli di
Via”,
marzo-luglio 2014