Genesio Tubino

Rapallo e la poesia

LAUREN ARRINGTON The Poets of Rapallo Oxford Univ. Press 2021

A chi gli chiedeva perché, dopo Londra e Parigi, avesse scelto Rapallo come suo nuovo centro operativo Pound non nascondeva una sua visione: rendere l'Italia, facendo viaggiare le riviste, il centro intellettuale dell'Europa, radunandovi 10 o 15 tra i migliori artisti e scrittori, come a ripetere, secoli dopo, il progetto di un altro perdente, Sigismondo Malatesta, a Rimini. Ostinatamente Pound mantenne, da quella posizione decentrata (Yeats, suo assiduo frequentatore, per motivi di salute, preferiva Rapallo per la sua aria dimessa: niente spiagge interminabili, niente casinò, niente porto per yachts di lusso...) una fitta di rete di corrispondenza con artisti disposti ad ascoltarlo fin dai tempi dell'imagismo e rimastigli fedeli oltre la cesura del primo conflitto mondiale. Tornando ad occuparsi di un argomento non nuovo, la Arrington, in dissenso con chi confina l'autore dei Cantos nel ruolo abusato d'illuso e mancato consigliere del Principe, consultando archivi, confrontando memorie e diari, puntualizza rapporti e circostanze dell'ala “destra” del tardo modernismo, sottolineando l'importanza della scena rapallina per la svolta maturata, tra consensi e rotture, nei tardi anni venti-metà anni trenta (più precisamente, qui, dal 1924 al 1934).

Per sottrarre Pound alla sbrigativa sentenza “strada per Rapallo=strada per il manicomio” Arrington evidenzia silenzi, omissioni o amnesie che colpirono la memoria di chi partecipò agli eventi e denuncia l'impulso retrospettivo ad isolare Pound per salvare Yeats, quasi a proteggere il secondo dalla politica intossicata del primo. Un crimine passionale, quello delle relazioni tra Pound e fascismo (e di cui l'oltranza verbale segnalava la crescente irrilevanza politica) per il quale invocare la clemenza dei giurati (così Hilda Doolittle). Una cosa è certa: arduo per i viandanti ed ospiti conservare compostezza davanti agli sgarbi poundiani spinti fino alla definizione del duce come artista plastico, mentre sventra Roma, paragonato, tanto per stare tra i moderni, a Brancusi. Se quelle vette erano irraggiungibili si ricorda comunque il coinvolgimento di Yeats nel movimento delle “Blueshirts” irlandesi (solite salutarsi con l'inequivocabile “Hail O'Duffy”) anche lui frustrato da un ideale di fascismo ondivago ma sempre mitigato dalla religione, attratto, per così dire, dal fascismo estetico ma respinto dalle sue strutture politiche. Quel miscuglio di cesarismo spengleriano e idealismo berkeleyano, esplicitato negli anni trenta, aveva trovato terreno fertile nel futuro poeta di A Vision che già nel '24 brindava, col duce, al corpo in putrefazione della “Dea della Libertà”. Un altro irlandese, G. B. Shaw, nel 1929 avrebbe dichiarato “chi può biasimare il Signor Mussolini per aver descritto la democrazia come un cadavere putrefatto?” L'eccesso di libertà, secondo un certo nazionalismo, avrebbe nuociuto al giovane stato irlandese, per cui era preferibile il governo autorevole-autoritario, fermo (dolcemente tirannico) delle menti migliori spalleggiate da un sistema mitologico totalizzante, magari sognando di replicare felicemente a Dublino una più duratura “impresa fiumana”.

Quando giunse la prima volta a Rapallo, Yeats era amareggiato e deluso anche per le pieghe assunte dalla situazione politica irlandese (che fare se il parlamento irlandese si riempiva di ignoranti e zotici cattolici?) e la consonanza con le “viste” poundiane s'avviò su una condivisa pars destruens. Si disputava piuttosto intorno al possibile uso politico della ballata e all'eredità di Robert Burns che non cantava per una cricca e non lasciava scuole. Emozioni universali contro tradizione dotta: living speech ma evitando le insidie della bardolatria. Il modernismo andava riformato, nel suo voluto appartarsi dal mondo, rimodellandone i talenti secondo una messa in piega fascista che della tradizione scegliesse certi risultati senza sottomettersi eliotianamente alla Tradizione Cristiana.

Altri scrittori si recarono sulla riviera ligure per allontanarsi dal clima inglese e da una cultura avvertita come sempre più marginale, ritrovandosi, proprio grazie a Pound, con un invito a frequentare l'English Tennis Club! Tra gli ammiratori (e non adulatori) l'imagista Richard Aldington che ivi scrisse, come a superare l'incomunicabilità della sua recente esperienza bellica, il novel Morte di un Eroe. Ma spuntano pure James Laughlin o Basil Bunting, poeta marginale e un poco ”segretario informale” di Pound, che collaborò alle pagine letterarie de “Il Mare”. Lo stesso, insieme a Louis Zukofsky, cominciò a pensare ad un'antologia poetica leftist, poi non concretizzatasi, Workers Anthology, in esplicito controcanto a quelle, sempre più totalizzanti e mussoliniane, edite da Pound. Lontani tutti da quel “turismo letterario” che accomunava in uno stesso e diverso accecamento i viaggiatori nel Terzo Reich e in Urss, anche se le improbabili teorie di Pound, poeta in azione, sul credito sociale col senno di poi ne avrebbero dannato la memoria tra i vecchi frequentatori (“il troglodita di Rapallo” arrivò a definirlo R. Aldington nel '41).

In quegli anni, la semplice convenienza economica, spingeva a ricorrere, per libri e stampati in genere, ai servizi delle tipografie italiane. Pound a Rapallo curò quattro numeri (tra il 27-28) della rivista “Exile, che fin dal titolo rivendicava la posizione di “outsider” del suo editore, preoccupato delle premesse sociali ed economiche del suo lavoro culturale, convinto che la vita di una nazione dipendesse anche dalla cultura dei suoi periodici, la letteratura un bene pubblico permanente parte integrante della vita di una nazione. Preso atto della sordità e cecità del pubblico d'oltreoceano (verso il suo franco discorrere di vita americana e il suo “modello di nuova civiltà” e verso il collagismo delle sue pagine) Pound decise per una via meno indiretta e più prescrittiva che lo avrebbe portato alla pubblicazione del Guide to Kulchur nel 1938.

Non tutti gli scrittori e poeti si fermavano a Rapallo espressamente per omaggiare Pound e discutere di Frobenius o Spengler. C'era chi (come Sigfried Sasson) si fermava a salutare Yeats, che magari se ne sarebbe ricordato preparando il suo Oxford Book of Modern Verse, e chi faceva visita al più eccentrico Max Beerbohm, anch'egli illustre ospite della riviera (per tacere dell'altro nobelato Gerhardt Hauptmann, a tratti preso di mira dagli inglesi).

Al di là di Bunting che diede a Pound del farabutto per alcune opinioni antisemite espresse nella corrispondenza con Zukofsky (il quale nel dopoguerra dichiarava la sua impotenza nel salvare “un vecchio in difficoltà” internato a Pisa) a sancire la fine di legami e a sanzionare definitivamente l'avvenuto distacco della nuova leva resta il giudizio retrospettivo di R. Aldington su Pound come figlio problematico della modernità poetica, cui fu negata la crescita dalla mancata partecipazione all'esperienza bellica del '14-'18. Perciò lui e Yeats rimasero eterni adolescenti, accomunati entrambi da una scarsa influenza ed una sostanziale inefficacia politica.

Per “fogli di via”