Carlo Romano

Questi, Giulio

Giulio Questi: SE NON RICORDO MALE. Frammenti autobiografici. Rubbettino, 2014

Raccolti da Domenico Monetti e Luca Pallanich, questi frammenti escono – come i racconti resistenziali di Uomini e Comandanti pubblicati da Einaudi - nell’anno della morte di Giulio Questi, “protagonista silenzioso della vita culturale italiana”, come viene definito nel succinto spazio della quarta di copertina del volume. “Silenzioso” davvero benché banditore di nuove esperienze umorali e visive fra coloro che – e fra questi c’ero anch’io - videro all’uscita nelle sale La morte ha fatto l’uovo (1968) un’immersione nel macabro delittuoso combinata a un’abbacinante elevazione psichedelica, più ancora che nella “cultura pop” alla quale rimanderà lo stesso regista in una testimonianza resa nel 1980 a Enrico Ghezzi e Marco Giusti. Nel 1968 Questi aveva già diretto, a partire da un ventennio indietro, un buon numero di documentari. I suoi film a soggetto prodotti per il cinema, che si avvalsero della collaborazione di Kim ArcallI, nonostante le più che incoraggianti premesse, rimasero soltanto tre: quello citato, il precedente autarchico western - capolavoro del genere con pieghe buñueliane e surrealiste – Se sei vivo spara (1966) e il successivo Arcana (1972) che virava al kitsch sadico e decadente le austere ricerche antropologiche su “sud e magia”. Lavorò inoltre per la pubblicità televisiva (a cominciare dal “carosello” per la Barilla col Pulcinella rivisto da Gianini e Luzzati nel 1959) e per la televisone realizzò alcuni film e fra questi una nuova versione – vent’anni dopo il successo RAI con la regia di Majano – de Il segno del comando. Negli ultimi tempi si era dedicato a brevi opere cinematografiche stampate direttamente in formato digitale.

Di tutto quanto sopra parla in ogni caso con dovizia di particolari la filmografia annessa al volume (che accoglie inoltre un buon mazzo di materiali fotografici).

Ma l’interesse principale è riposto ovviamente nei frammenti che costituiscono il corpo, e il motivo, della pubblicazione. Sono lampi di memoria che coinvolgono la natia Bergamo, papà e mamma, l’avventura partigiana, gli studi (“mi sono laureato con una tesi su Dino Campana. Ho avuto come insegnante di letteratura il prof. Bosco e come controrelatore nella discussione di laurea il filosofo Antonio Banfi, mio professore di “estetica”) per introdurre una saporita sequenza di bozzetti relativi al mondo del cinema che con toni ora affettuosi (“A lezione di Whisky con Orson Welles”, per esempio, oppure “Germi, il mio sosia”) ora polemici (come su Pasolini: “non mi piacciono i suoi romanzi e i suoi film, che ci posso fare?”) mettono in risalto un’amabile ma dissacrante e spesso annoiata personalità che non si smentisce neppure nelle scelte ideali così da consegnare una decisione importante come l’iscrizione al Partito comunista –avvenuta per giunta nel fatidico 1956 – al più scoraggiato tran tran (“ho rinnovato la tessera per una decina d’anni. L’ho lasciata non per qualche trauma politico, ma perché il mio pessimismo si era stemperato nelle nuove speranze dei secondi anni Sessanta”).

“Fogli di Via”, marzo luglio 2015