Carlo Luigi Lagomarsino
cretti sociali e artistico
grigiore
Alessandro Dal Lago - Serena Giordano: L'ARTISTA E IL
POTERE. Episodi di una relazione equivoca. Il Mulino, 2014
Anche se non manca il
punto di vista del potere, questo libro di Alessandro Dal Lago e Serena Giordano
- che già hanno collaborato in passato - riguarda in particolare le velleità
degli artisti, i loro opportunismi, la vanagloria, l'interesse, la concezione
estetica, l'impotenza sociale e politica che alle stesse velleità fa da
corredo. In poche parole, e pochi ma significativi episodi, si entra nelle
relazioni fra arte e potere attraverso il modo in cui sono "oscurate e in
parte falsificate dal discorso dell’arte, ovvero dall’incessante
autocostruzione di sé da parte degli attori del mondo dell’arte". Il
discorso è ovviamente serio, oltre che ben argomentato, ma come ogni discorso
che affianchi la solennità dei proclami ai fatti è anche tale da risvegliare la
canzonatura, seppure con qualche differenza di vigore fra l'ingenua se non
babbea predicazione di un Beuys e la prudente
doppiezza di un Picasso - che poi è magari più ampia di quella che corre fra le
speranze riposte dal Soviet supremo nella "colomba" picassiana e quelle della CIA nel dripping
di Jackson Pollock, con tanto di Corea, Sputnik, "sorpassi" nel giro
di vent'anni, Ungheria, braccio di ferro a Cuba, "nuova frontiera" kennediana e il "mandatemi Vogue all'ambasciata di
Mosca" lanciato da Pamela Tiffin appena avanti
la costruzione del muro nell'Un due tre wilderiano.
Era il XX secolo e
c'erano state le Avanguardie. Nel loro ambito le finalità politiche arrivarono
a coincidere con la loro missione nell'arte. Ma - e ne sono ben consapevoli gli
autori - le differenze fra loro si fecero sentire, benché tutte dichiarassero
di volerla far finita con l'accademia e l'arte pura e semplice e benché non
mancassero ammiccamenti e anche mescolanze. Una certa tendenza rimandava al
costruttivismo sociale prima ancora che a quello artistico inneggiando così al
ruolo degli artisti quali tecnici. Da propositi del genere discendeva tutto un
filone di sventurate utopie - i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti -
incarnate all'ennesima potenza da architetti e urbanisti la cui ispirazione si
può dire la trovassero nei formicai, senza per altro quel grado di perfezione
che è tipico di questi. Affine è anche il caso del Futurismo italiano, almeno
in certe dichiarazioni di gruppo e nei manifesti politici, il quale tuttavia in
parte li dissimulava negli atteggiamenti buffoneschi. Diverso il casa di Dada e
del Surrealismo e, per gli autori, soprattutto di Dada. Ciò nondimeno penso
vada rimarcato che non ci furono soltanto Aragon e Sadoul a rimanere folgorati sulla via di Karkov, quando anche uno Tzara
finì per abbracciare la causa stalinista. E se la centrale surrealista si
orientò verso Trotzsky, val poco ricordare che
all'epoca era il principale oppositore di Stalin quando non si ricordino anche
le sue non celate tendenze militariste. Come d'altra parte val poco ricordare
la sua finezza intellettuale e letteraria quando non si ricordi che scrisse che
col contributo dell'arte nel comunismo "la vita, anche quella puramente
fisiologica, assumerà un carattere sperimentale... l'uomo diventerà
infinitamente più forte, intelligente e raffinato, il suo corpo più armonioso,
i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più melodiosa... Su questo crinale si
eleveranno nuove vette". Menzionati sono anche i Situazionisti,
ma attraverso una poco rappresentativa citazione di Pinot Gallizio
il cui tenore più che altro surrealizzante troverà ad
ogni modo asilo - con non di rado un vivace spirito neo-dadaista - anche fra i
successivi e numerosi esclusi, mentre gli osservanti si sarebbero raccolti attorno
a sopravvalutate teorie neo-marxiste dopo che - soprattutto coi membri di
formazione lettrista - si era inizialmente delineata
un'ambigua sintesi delle precedenti avanguardie di ogni tendenza attraverso
l'"urbanismo unitario".
Sento tuttavia l'obbligo
a questo punto di precisare che fin qui, seppur prendendovi spunto, ho
probabilmente un po' forzato il pensiero degli autori i quali non mancano di
puntualizzare che il loro non è un discorso contro l'arte contemporanea.
Nemmeno il mio lo è fin tanto che non incorre in quel genere di scemenze di
alta considerazione (vale a dire l'ancor più marcata scemenza di chi le
considera) che hanno la pretesa di dire chissà cosa sul nostro povero mondo (e
senza rifarmi a Jean Clair, a proposito del quale le mie opinioni non sono
troppo diverse da quelle dei due autori, mi tornano in mente due o tre
paginette di Raymond Boudon che per poltroneria non
mi sono sforzato di andare a ritrovare). A dire il vero in L'artista e il
potere non mancano gli spunti per discorsi ancor più viscerali giustificati
tanto dal mecenatismo di Miuccia Prada quanto dall'eccellente escursione nel
"falso d'arte" (ma le ragioni sul piano umoristico sono assai
differenti).
Cruciali, anche per lo
spazio che occupano nel corpo del volume, sono in ogni caso i capitoli dedicati
al Belice, regione della Sicilia che fu colpita da uno spaventoso terremoto nel
1968, dove artisti e architetti si sbizzarrirono al momento della
"ricostruzione". Dal Lago e Giordano cominciano col raccontare ciò che
nel corso di un viaggio in quei luoghi provarono di fronte alla scultura
frontale di Pietro Consagra ("la porta del
Belice") che il sindaco di Gibellina Ludovico Corrao dichiarò rappresentare lo spirito della rinascita:
sia di trovarsi al cospetto di monumenti come quello eretto a Baghdad (le due
spade) da Saddam Hussein sia di fronte ai tripodi de La guerra dei mondi
(che gli autori collegano semplicemente al film di Spielberg mentre sono la
riproduzione delle vecchie illustrazioni del romanzo di Wells). Questa porta
introduce alla "rinata" Gibellina, posta a
18 chilometri dal raso al suolo sito originale, poi ricoperto da Alberto Burri con un'ebete colata di cemento (un "grande
cretto"). "La figura centrale nella creazione di Gibellina
Nuova", ricordano Dal Lago e Giordano, "è Ludovico Corrao (1927-2011), avvocato, sindaco e in seguito senatore
del Pci, a cui si deve l’idea fondamentale di chiamare architetti e artisti a
fondare una sorta di città ideale, che offrisse alloggi confortevoli agli
abitanti – costretti per anni, dopo il sisma, a vivere in baracche malsane – e
rappresentasse allo stesso tempo un gigantesco museo all’aria aperta di arte
architettura. Il principio di fondo era, insomma, che l’arte in quanto tale
avesse il potere di umanizzare il territorio e riscattare gli abitanti".
Abitanti dei quali si sono naturalmente disconosciute abitudini e gusti mentre
ad artisti e architetti importava soltanto di se stessi (e fu proprio Consagra ad affermarlo). Di cosa si è trattato in fin dei
conti se non di una nuova formulazione del togliattismo
anche se diversi degli artisti convenuti furono a suo tempo sbeffeggiati dallo
stesso Togliatti? Con qualche cautela gli autori del libro ci fanno capire che
le cose stanno così, e in fondo non sbagliano. Aggiungerei però che non mancano
di confondervisi anche certe idee più o meno
sessantottine di apertura dell'arte alla vita che nell'imbecillità della
commemorazione si tramutano nella pietra tombale del "grande cretto".
“Fogli di Via”, marzo-luglio
2016