Wolf Bruno

postilla a Corvaglia

Se non si ammette che nella libertà va contemplato anche chi la vuole sopprimere si rischia di non capire di cosa si sta parlando. Mi sfugge il senso profondo del saggio appena pubblicato su queste pagine da Luigi Corvaglia*. O meglio, ho capito che egli è fautore di un magnanimo ecumenismo per cui i libertari delle diverse scuole avrebbero di che riunirsi nel nome di Proudhon, accettando con la proprietà la cooperativa, con il libero mercato il credito sociale. Bastasse questo, in definitiva avremmo già avuto tutto, proprio tutto. Non mi pare del resto che ci si angusti nell’appurare se la proprietà privata (connubio di parole che dà da pensare) corrisponda per davvero all’avere degli averi, se il libero mercato sia il naturale scambio degli stessi e se tutto assieme formi la libertà. Al solidarismo cooperativo, si dirà, sono mancate le opportune condizioni e il libero mercato ha patito ogni sorta di intralcio per compiersi realmente, cosicché resta l’attesa. Il formidabile motore del capitalismo - con tutti i nomi del caso, siano essi i Churchill o i Pol Pot - ha già macinato innumerevoli scorte concettuali, eppure c’è sempre chi, in una strana eternità, si industria ad amministrare l’avvenire. Sembra che tutti abbiano da vivere il loro personalissimo Reich millenario. La verità è che ognuno, anche lo stronzo, fa, facendo quel che vuole, soltanto quel che può, e non lo può fare a lungo. Ci si sbizzarrisce in fantasiose concezioni per eludere la pura e semplice libertà di ogni giorno al punto che anche la “quotidianità” diventa un concetto filosoficamente rispettabile, a patto che non sia vissuto. Che poi si possa accordare Emile Armand con Murray N. Rothbard e che qualcuno ne faccia il suo tema di vita è possibile, per una buona metà anche certo, lo dimostra Corvaglia, ma farei attenzione nel consultare la cabala dell’anarchia. A guardar bene non c’è poi molta differenza – già che Corvaglia allude ai Talebani – fra le dottrine di Quţb, ideologo dei Fratelli musulmani, e quelle di Rothbard, ed è solo un dettaglio se le preferenze di quest’ultimo vanno ai vecchi tomisti e a Lysander Spooner. Tutto il gusto sembra risiedere nel comprendere i vizi eliminando i viziosi. Si torna così al problema iniziale, per il quale l’ebete diligenza sparsa in migliaia e migliaia di noiosissime pagine insipienti, l’una uguale (nel senso di uguale) all’altra, allunga semplicemente la vaga ragioneria della giustificazione (teologica e teleologica) senza raggiungere, nemmeno per un attimo, l’intrinsecità di una frase di James Hadley Chase o di Cesare Pavese, pensatori più stringenti, non c’è dubbio. E più istruttivi.

luglio 2005

*Si veda Talebani libertari