Carlo Romano
Voi, Perniola
Mario Perniola: DEL TERRORISMO
COME UNA DELLE BELLE ARTI. Storiette. Mimesis, 2016
Non
racconti né rivelazioni autobiografiche, nemmeno "metaromanzo"
(argomento del suo primo libro pubblicato da un acuto editore genovese, Silva,
del quale ingiustamente non parla più nessuno) ma, ben differenziando da
"storielle", che potrebbe anche voler dire "fandonie",
Mario Perniola opta per "storiette",
come si trattasse di un trascurabile genere cadetto della Storia con la
maiuscola. Del terrorismo come una delle belle arti è in realtà tutto
quello che abbiamo detto non vuole essere, cioè un insieme di racconti autobiografici
che potrebbero in un certo senso sconfinare nel "metaromanzo".
Nel
libro, con un effetto curioso e straniante, Perniola
si dà del "voi". Il perché di questa scelta è tutt'altro che chiaro -
genera per altro degli oscuri contraccolpi nel lettore - sebbene un'ipotesi mi
sia balzata in mente. Tempo fa Perniola scrisse un
libro sul "Sessantotto" dove riprendeva in sostanza una tesi - oggi
comune ma formulata presto negli ambienti del cosiddetto "bordighismo" - nella quale si sosteneva che quanto era
avvenuto alla fine degli anni Sessanta corrispondeva allo scollamento definitivo
del Capitale dal virtuismo borghese. Nella nuova
fatica abbandona quel campo teoretico, quantunque espresso con ironica serietà,
e si affida a fatti e persone conosciuti in quel tempo che si vuole avvolto da
un'aura di mitologia, riscattandolo. Non rinuncia naturalmente a ricorrere
all'ironia, malcelandola tuttavia dietro l'umorismo
di impianto surrealista, giustapponendo cioè fatti a persone e ambizioni a
fatti in maniera flemmatica, ma perciò stesso ancor più esilarante.
Riguardo
al Surrealismo Perniola ammette oggi quanto gli sia
rimasto prossimo e ricordando la sua partecipazione al colloquio di Cerisy-la-Salle del 1966 un po' si rammarica del documento
che insieme ad altri tre compagni stese in quell'occasione per rivendicare la
fiaccola rivoluzionaria, essendo rimasto deluso dai surrealisti - che va detto
in quanto gruppo erano finiti per esser rappresentati da Jean Schuster, figura certamente prodiga ma confusa in materia
di teorie rivoluzionarie.
I
punti di riferimento di Perniola erano allora quelli
dell'Internazionale Situazionista, alla quale dedicò
un numero di "Agaragar", la rivista di cui racconta le vicissitudini
dopo averne passate tante incontrando i protagonisti del movimento. Gli
incontri a quell'epoca avvenivano con personaggi assai pittoreschi e Perniola non si risparmia accattivanti descrizioni (con
quel genere d'umorismo cui si è accennato) tanto che anch'io ne ho riconosciuto
(e conosciuto) diversi anche quando non se ne è fatto nome e cognome. In quegli
anni nei quali la facilità delle relazioni contribuì ad alimentarne la
mitologia accadeva che si manifestassero grottesche deplorazioni di gruppo che
andavano a colpire chi si riteneva colpevole di scarsa rivoluzionarietà,
per esempio una bella ragazza che non smetteva di truccare il volto. In un
gruppo giapponese (capitanato per giunta da una donna) accadde che la
deplorazione si rovesciasse senza alcun pentimento nell'eliminazione fisica.
Ma,
si intende, non è solo il macabro che giustifica l'ironia di Perniola e non sono solamente gli anni indicati a
interessarlo in questo libro e non c'è solo ironia, ci sono tenerezza e
confronto come quando si ritrova a parlare della famiglia - dove spicca il
ritratto di uno zio tisico e timido avventuriero sciupafemmine
- e della moglie morta. E quando parla di se stesso come rispettato professore
universitario di estetica nel fondo rimasto un outsider.
Credetemi
Perniola, con questo libro "voi" avete
scritto il vostro capolavoro, e non sono storielle o storiette.
“Fogli di Via”, marzo-luglio
2016