Sul n.32 di “Alfabeta2” (settembre-ottobre 2013) comparivano alcuni testi sotto la dicitura “ri-situazionismo”:
Quella che segue (“Ciò che è vivo e
ciò che è morto”) è la messa a punto di Mario Perniola
Mario
Perniola
il paradosso situazionista
Che cos’è il
movimento situazionista?
Occorre innanzitutto precisare che cosa s’intende
per «movimento situazionista» e per «situazionismo». Si possono intendere tre
cose differenti. La prima è l’Internazionale situazionista, un gruppo
d’avanguardia artistico-politica che si è costituito in Italia a Cosio
d’Aroscia (Cuneo) nel luglio 1957 e si è dissolto nell’aprile 1972. Questa è
stata un’associazione chiusa, cui hanno partecipato complessivamente nei
quindici anni della sua esistenza 70 persone (63 uomini e 7 donne). La pratica
delle esclusioni e delle dimissioni fece sì che nel gruppo fossero
contemporaneamente presenti non più di una decina di membri. Il leader del
gruppo è stato il francese, di origine italiana per parte di madre, Guy Debord
(1931-1994) che ha svolto un ruolo egemonico per tutto il periodo della sua
esistenza. La frequenza delle espulsioni (45 membri su 70 furono espulsi),
unitamente alla pratica delle «rotture a catena» e al dogmatismo esasperato per
cui le affermazioni di ognuno impegnavano anche tutti gli altri, conferì a
questo gruppo quel carattere settario cui sono sempre stato refrattario: perciò
nel periodo in cui fui in stretto rapporto con loro (tra il 1966 e il ’69) non
entrai a farvi parte. Il gruppo produsse tra il giugno 1958 e il settembre ’69
dodici numeri di una rivista, il cui direttore fu sempre Guy Debord.
L’Internazionale situazionista ha fin dall’inizio rifiutato di riconoscersi nel
termine «situazionismo», attribuendo a questa parola un significato negativo:
essa, infatti, sarebbe stata connessa col ricupero da parte del mercato
artistico delle produzioni dei membri del movimento.
Nel mio testo I
situazionisti (Castelvecchi,
2005) ho raccontato la storia di questo gruppo artistico-politico.
Altra cosa invece è la storia della ricezione e
dell’influenza che l’Internazionale situazionista ha avuto sul maggio francese
del 1968, sulla cultura e sulla controcultura dei decenni successivi. Bisogna
pertanto distinguere i situazionisti (cioè i membri dell’Internazionale
situazionista) dai situs, che sarebbero quanti hanno sostenuto e sviluppato le
prospettive situazioniste al di fuori dell’Is. Fino al ’66 l’Is era conosciuta
da pochissime persone: io venni a conoscenza della sua esistenza in occasione
della Décade sul surrealismo che si tenne
presso il Centre Culturel International di Cerisy-la-Salle (10-18 luglio 1966).
Nel dicembre dello stesso anno scoppia lo scandalo di Strasburgo, che è la
prima manifestazione della contestazione studentesca in Europa. Con due
compagni mi precipito in auto a Strasburgo, dove osservo con una certa amarezza
e disappunto che l’accordo tra i situazionisti e gli studenti locali si è già
incrinato e nel mese successivo si rompe definitivamente: segue una serie di
accuse e insulti reciproci. Questa piccola vicenda è indicativa perché anticipa
uno dei tratti caratteristici della mentalità rivoluzionaria dell’epoca: la
tendenza a mettere sotto accusa e a escludere con critiche infamanti e insulti
chi non sarebbe degno di fare la rivoluzione.
C’è infine un terzo aspetto da considerare: gli
individui da cui era formata l’Internazionale situazionista. Questi erano molto
diversi tra loro e ben pochi sono stati coloro che si possono considerare
«geniali», se appunto questa era una condizione di appartenenza (Is IX, 43).
Tra chi ne fece parte nel primo periodo indubbiamente geniali furono l’artista
danese Asger Jorn e l’architetto olandese Constant. In seguito la personalità
di Debord ha marcato il movimento. Si tende generalmente a porre l’accento sul
rapporto di Debord col suo tempo,
mentre si trascura il suo rapporto con la tradizione culturale e con la
geografia. In un atlante inglese degli anni Trenta Debord ha indicato gli
autori che sono stati importanti per la sua formazione culturale, divisi per
nazione. Alcuni sono segnati in lettere capitali: tra questi l’Ecclesiaste,
Tucidide, Dante, Machiavelli, Montaigne, Bossuet, Cervantes, Shakespeare,
Stendhal, Hegel, Marx, Novalis. Vale a dire buona parte del canone occidentale.
Questo ancoramento nella tradizione è ciò che distingue Debord dai situs,
unitamente a un culto della precisione e della forma che appartiene a ciò che
Nietzsche chiamava «il grande stile», quanto mai estraneo al vitalismo
spontaneistico e comunicativo che caratterizzò la contestazione e la
controcultura della sua epoca.
Quando si parla di movimento situazionista, esistono
pertanto tre soggetti: il gruppo Internazionale situazionista, che ha prodotto
la rivist omonima; l’insieme dei simpatizzanti (i situs); e infine Guy Debord,
senza il quale il movimento non sarebbe esistito.
Debord è
«riuscito»?
Quale destino storico si suppone possa avere avuto
Debord, il pensatore più estremista della seconda metà del Novecento? Uno che
si definiva «nato virtualmente rovinato» (D 1661), «dottore in niente», amico
dei ribelli, completamente estraneo e aspramente ostile al mondo
dell’università, dell’editoria, del giornalismo, della politica, dei media e di
qualsiasi tipo di lavoro, grande spregiatore dello Stato, dell’economia, della
Chiesa, dell’arte e di tutte le istituzioni esistenti, per di più in guerra
costantemente col mondo intero? Chi avrebbe predetto a un simile individuo una
fine oscura e miserevole sarebbe stato facile profeta. Eppure sarebbe stato un
falso profeta. Perché il 29 gennaio 2009 gli archivi di Debord, che era morto
quindici anni prima, sono proclamati dal ministro della Cultura della
Repubblica Francese dell’epoca, Christine Albanel, «tesoro nazionale»: e in quanto
tali accolti nella Bibliothèque Nationale de France. Dunque Debord avrebbe
raggiunto la massima «riuscita» inimmaginabile, specie se si considera che essa
proviene da quello Stato la cui distruzione egli auspicò con estremo
accanimento senza mai alcuna esitazione.
Consideriamo la questione da un punto di vista più
serio. La vera domanda riguarda, per adoperare l’interrogativo che Benedetto
Croce si poneva a proposito di Hegel, «ciò che è vivo e ciò che è morto» del
pensiero di Debord. Quanto i testi di Debord possono essere utili alla critica
radicale del capitalismo odierno? Quella che mi sembra superata è una teoria
rivoluzionaria che consideri come opposizione fondamentale (in termini marxianiHauptwiderspruch)
quella tra borghesia e proletariato. Il nuovo spirito del capitalismo tende a
eliminare tanto l’una quanto l’altro.La prima perché il mantenimento delle
categorie socio-professionali è troppo costoso e il neoliberismo non è più
disposto a pagare il cosiddetto «salario dell’ideale»: il primo colpo al
vecchio ordinamento è assestato con la distruzione del sistema universitario,
la liberalizzazione delle professioni colte, l’eliminazione delle piccole
imprese e del piccolo commercio e gli ostacoli posti alla mobilità sociale
verticale attraverso il capitale umano. Il neoliberismo non ha più bisogno di
una classe media, né di un bagaglio di conoscenze, né di saper-fare diffusi e
generalizzati. Esso mira altresì all’abolizione del proletariato attraverso la
marginalizzazione dei sindacati, la precarizzazione del lavoro e la
deindustrializzazione. Ne deriva che quanto in Debord appartiene ancora
all’eredità della tradizione dei Consigli operai mi sembra debba essere
lasciato da parte.Ci sono però molte altre cose in Debord che meritano, anzi
obbligano a una lettura
integrale della sua
opera. Per esempio, è importante chiarire il malinteso che riguarda il rapporto
tra Debord e la contestazione studentesca del ’68. Sul suo esito positivo
Debord non si fece nessuna illusione, come risulta dalle lettere che mi scrisse
proprio nel maggio. A luglio di quell’anno, quando fui con lui e altri
situazionisti a Bruxelles, mi parve già evidente che esisteva uno iato tra lui
e lo spontaneismo insurrezionale del gauchisme. Nei tempi successivi mi sono
reso conto che la ragione di quello iato fosse da ricercare nella confusione
tra autoritarismo e autorevolezza. Debord è sempre stato critico del primo, ma
ovviamente non poteva accettare di essere considerato lui stesso come
autoritario per il semplice fatto di avere delle idee ben precise e saperle
scrivere! Perciò tendo a credere che egli sia stato una vittima del gauchisme – non diversamente da Adorno. Un altro punto d’importanza decisiva è
l’attenzione che egli dedica in un testo del 1971, La planète malade, alle trasformazioni
del capitalismo: questo «non
può più sviluppare le forze produttive […] qualitativamente, ma solo quantitativamente» (D 1065).
Così cogliendo con molto anticipo un aspetto fondamentale del mondo attuale,
che si rivela oggi di estrema attualità. Quando il capitalismo non riesce a
fornire più nulla di qualitativamente
valido, la spinta progressiva da cui è nato, e che ha ancora mantenuto
fino agli anni Settanta del Novecento, si è completamente esaurita. Oggi
avviene proprio ciò che Debord descrive: per la società dello spettacolo «solo
il quantitativo è il serio, il misurabile, l’effettivo; il qualitativo non è
che l’incerta decorazione soggettiva o artistica del vero reale stimato al suo
vero prezzo. Per il pensiero dialettico al contrario […] il qualitativo è la
più decisiva dimensione dello sviluppo reale». L’ottimismo scientifico del XIX
secolo è crollato: «Oggi la paura è ovunque, e non se ne uscirà che confidando
sulle nostre proprie forze» (D 1069). Puntare sul qualitativo sembra perciò
l’unica strategia possibile. A chi considera questa strategia come una
manifestazione di passatismo, bisogna ricordare che «l’essere assolutamente
moderno» è diventato la legge speciale proclamata dal tiranno!In conclusione,
in cosa consiste il paradosso situazionista? Nell’avere portato
contemporaneamente all’estremo i due opposti orientamenti del-la modernità:
l’uno verso l’eccellenza, la lotta peril riconoscimento, la competizione;
l’altro versol’egualitarismo, il livellamento, la negazione delledifferenze. Il
progresso dipende dalla capacità ditrovare un punto di equilibrio tra queste
due istanze.
Testi citati
D = Guy Debord, Œuvres, Gallimard, Parigi, 2006.
Is = «Internationale situationniste» 1957-1969, Fayard,
Parigi, 1997.