Segnaliamo
che Mario Perniola ha recentemente pubblicato L'avventura situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia del XX secolo (Mimesis,
2013).
Giuliano Galletta
con Mario Perniola
In occasione della conferenza tenuta a Genova, Palazzo
Ducale, nel maggio 2013 sul tema “Arte e Anti-arte”. La conferenza inaugurava
il ciclo“La fine dell’immagine. Un percorso tra media, neuroscienze e
filosofia”, organizzato dalla Fondazione Palazzo Ducale e dal Museo del caos.
Professor Perniola le immagini ci dominano?
«Lo
stordimento in cui è immersa la società attuale non è un fatto recentissimo.
Già negli anni Sessanta del Novecento, il pensatore canadese Marshall McLuhan
riteneva che una delle conseguenze più importanti della tecnologia fosse il
numbing effect, cioè una specie di narcosi, di amputazione delle nostre facoltà
sensitive e affettive. Questo processo è andato via via aumentando di intensità
e di estensione fino alla totale immersione e dipendenza da Internet e dai “social
network” in cui vediamo sprofondate oggi tante persone di tutte le condizioni
socio-economiche».
La condizione che lei ha definito delle
tre A?
«Sì. A come
autismo, addiction (tossicomania), anedonia (incapacità di provare
piacere). Il risultato è l’impossibilità di avere una vera esperienza sia
dell’immagine che del suono».
Esistono oggi nuove forme di
iconoclastia, di “odio” per le immagini?
«L’opposizione
“iconoclastia-iconofilia” appartiene alla storia religiosa, politica e
filosofica dell’Occidente, a cominciare dal sospetto ebraico nei confronti
delle immagini e dalla condanna platonica dell’arte, considerata come copia di
una copia. Non si può affrontare questa problematica in modo ingenuo, senza
conoscere i momenti fondamentali di questa solenne e canonica questione: dalla
controversia iconoclastica scoppiata a Bisanzio nel VII e nell’ VIII secolo
d.C. alle tendenze più radicali della Riforma protestante nel XVI secolo, dai
bogomili all’Islam, da Cromwell a Rousseau, dall’iconofilia del cristianesimo
ortodosso all’astrattismo artistico. Anche l’ultima manifestazione
dell’avanguardia storica, l’Internazionale Situazionista, si pone
consapevolmente come erede dei cosiddetti “Spregevoli”, cioè quegli artisti che
nel Cinquecento abbandonarono i loro laboratori per unirsi ai contadini in
lotta».
Oggi tutti fotografiamo di continuo…
«Fotografiamo
di continuo, ma scriviamo anche di continuo e sentiamo musica di continuo;
questo non vuol dire che abbiamo imparato a fotografare, a scrivere o ad
ascoltare. Anzi è il contrario. Ci sono tre parole del gergo anglosassone della
comunicazione che illustrano molto bene questo processo di abbrutimento
generalizzato: edutainment, cioè
trasformazione dei programmi educativi in intrattenimento, infotainment, cioè
scadimento del giornalismo a intrattenimento, e infine dumbing down,
abbrutimento, istupidimento e ammutolimento, della società nel suo complesso.
Quest’ultimo termine caratterizza la vita quotidiana, i media, la cultura,
l’amministrazione, la scuola, l’università».
E la politica?
«Per
la quale è stato creato il neologismo dumbocracy, termine che non ha niente che vedere con
Dumbo, il noto cartone animato di Walt Disney, ma proviene dall’aggettivo dumbo
che vuol dire “muto” e per estensione “stupido”».
Jean Baudrillard diceva che la foto è il
nostro nuovo esorcismo.
«Credo
che volesse dire che la mania di fotografare continuamente ci esonera dal
vedere. Così oltre che muti e sordi, saremmo anche ciechi! In altre parole, non
sono più io che vedo qualcosa, ma è l’estensione tecnologica della mia facoltà
che vede al mio posto. La tecnologia quindi si oppone a me: io non la riconosco
come una mia estensione, come qualcosa che mi appartiene. Essa è l’idolo che mi
sostituisce. Così abbiamo posto fuori di noi il nostro sistema nervoso
centrale. Nel mio libro “Del sentire” (Einaudi), ho definito questa situazione
col termine di sensologia. Il posto delle ideologie è stato preso da un
universo affettivo, impersonale, nella quale tutto si dà, per così dire come
“già sentito”».
Pensa che le immagini mantengano un loro
“potere”?
«L’inflazione
delle immagini ha tolto loro qualsiasi potere; le ha completamente svalutate,
così come moltissime altre cose. Ma la difesa è la forma più forte della
guerra; nulla è definitivamente perduto. Ci sarà sempre qualcuno capace di
quella contemplazione festiva e festosa che il grande studioso delle religioni
Kark Kerényi attribuiva alla religione greca e che talora si coglie negli occhi
di alcune bambine nei primissimi anni di vita: lo splendido e magnifico
apparire dei fenomeni».
“Fogli di Via”, novembre
2013