Questo articolo, apparso su “il
Giornale” alla fine del 1997 e presto trasferito
su una rivista di universitari triestini, “il Bargello”, che riprendeva il titolo di quella
fiorentina diretta da Pavolini negli anni Trenta, pur
nella densissima brevità, si inserisce con autorità in quella letteratura, dove
spiccano i libri di Zangrandi e di Tripodi, sui
trascorsi fascisti e l’avvenire democratico-progressista
di intellettuali e artisti.
Maurizio Cabona
perdenti di successo
Raimondo Vianello lo ha detto chiaro: "Io non
rinnego niente". Riaprire la questione del servizio militare prestato,
oltre mezzo secolo fa, nella Repubblica Sociale, poteva costargli caro alla
vigilia del Festival di Sanremo che deve presentare. Eppure Vianello ha scelto
la dignità, non l'opportunità. Sarebbe bello se a Sanremo '98 ci fossero con
lui anche l'ex iscritto al M.S.I. di Milano (1956) Adriano Celentano; l'ex
frequentatore della Giovane Italia a Bologna nei primi anni '60 Lucio Dalla; il
presunto finanziatore del Soccorso Tricolore de "Il Borghese" dei primi anni ' 70, Lucio Battisti con
Mogol, alias Giulio Rapetti, che per i testi di
qualche sua canzone ha preso in prestito parole di Robert Brasillach...
Lasciamoli cantare, e dimenticare, come si è dimenticato che, nel 1958, Johny Halliday attaccava a Parigi
manifesti per il gruppo di "Jeune Nation". Restiamo agli attori, come il tenente della
Legione Tagliamento Giorgio Albertazzi, fucilatore di disertori, uno che oggi
fa il radicale, ma che, come Vianello, ha detto quello che Walter Chiari
(Decima MAS) e Ugo Tognazzi (Brigata Nera Cremona) avevano dovuto tacere. Anche
Enrico Maria Salerno, ex della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.), che era
stato trattenuto per quasi due anni in un campo di concentramento dopo la fine
della guerra (non si lasciava "defascistizzare") aveva dovuto tacere
e mimetizzarsi: in un film di Florestano Vancini, Le stagioni
del nostro amore (1966) recitava da antifascista e prendeva addirittura a
male parole un lettore de "Il
Borghese". E il regista Marco Ferreri, reduce anche lui dalla G.N.R.,
era diventato un idolo della sinistra intellettuale, anche se negli anni '50
era andato a girare i suoi film migliori, El pisito e El cochecito nella Spagna di Franco. Aveva
dovuto tacere anche Marcello Mastroianni, l'attore italiano più noto al mondo,
ma prima militare a Dobbiaco all'Istituto geografico
militare della R.S.I. e poi passato con i Tedeschi nelle file
dell'Organizzazione "Todt". Quando Mastroianni morì, sul “Corriere della Sera” Ernesto Galli
Della Loggia rimproverò al Polo l'assenza ai suoi funerali, perché anche un
attore può incarnare l'Italia. Il professore non immaginava quanto fosse vicino
al vero, sia pure per ragioni diverse da quelle che lui sosteneva. Hugo Pratt non aveva dovuto tacere fino all'ultimo, ma quasi.
Non si era mai vergognato di essser passato
attraverso la Decima MAS e la polizia tedesca dello S.D. Solo che, dopo, aveva
confuso le piste alla maniera del suo Corto Maltese, che si definisce un
"gentiluomo di ventura", cioè un pirata, un rinnegato, ma è stato lo
stesso adottato come un'icona dalla sinistra intellettuale. Che è rimasta molto
delusa quando "Il Giornale"
ha pubblicato una dedica di Pratt a un suo editore
francese. Con la sua calligrafia inconfondibile scriveva : "De votre fasciste Hugo Pratt".
Non era del 1944, ma del 1988.
Oggi i tempi sono cambiati e l'ex paracadutista della G.N.R. Dario Fo ha vinto
il Nobel che, più di lui, avrebbero meritato altri aderenti alla Repubblica di
Mussolini, come Filippo Tommaso Marinetti o Ezra Pound. E il regista Piero Vivarelli,
oggi comunista come Fo, può ammettere di essere stato anche lui nella Decima
MAS e non solo di aver diretto un film come Il
dio serpente (1970), memorabile solo per l'altra faccia di Nadia Cassini. I
fascisti dell'altro ieri, diventati gli antifascisti di ieri, oggi si
manifestano. La gente chic direbbe che "fanno outing", come gli
omosessuali. Nel mondo del pensiero unico, essere fascista equivale oramai a
essere in qualche modo dei "diversi". Ma Renzo Montagnani
se ne infischiava, lui che era in buoni rapporti con l'ex ministro missino Altiero Matteoli. Ma non tutti hanno deciso di reindossare simbolicamente la camicia nera prima di morire.
Alcuni non se la sono mai levata, come l'ex cronista radiofonico di "Tutto il calcio minuto per
minuto", Enrico Ameri. Il giornalista
sportivo e paracadutista Gianni Brera, che aveva cominciato la propria carriera
al "Popolo d'Italia",
ricordava volentieri il suo passato di partigiano in Val
d'Ossola. Ricordava meno volentieri, ma non smentiva, che l'anno prima aveva
fatto tranquillamente il suo mestiere nella R.S.I. E i suoi articoli e i suoi
libri sono intrisi di una saggezza volkisch molto più
spinta di quella leghista.
Di altri personaggi famosi il passato compromettente è stato dimenticato, come
nel caso di Paolo Carlini, star dei primi romanzi sceneggiati in tv negli anni
'50; di Paolo Ferrari, l'Archie Goodwin accanto al
Nero Wolfe di Tino Buazzelli
nella tv degli anni '70; dell'idolo della tv dei ragazzi di allora, Febo Conti (Chissà chi lo sa?). Quanto a Doris Duranti, è
stata considerata una "sventurata", più che una fascista, per il suo
rapporto con Alessandro Pavolini, segretario del
Partito Fascista Repubblicano. Lei lo ricorda così : "Ho avuto molti
uomini, ho amato solo lui!". Non si ha bisogno di molte parole quando si
hanno le idee chiare. La morte invece non ha diviso altri due attori, Osvaldo
Valenti e Luisa Ferida: insieme vissero intensamente,
insieme vennero fucilati a Milano. Nuto Navarrini e Vera Roll, grandi
nomi del teatro di rivista, furono più fortunati: nel 1945 lui finì in
prigione, lei venne rapata a zero come "collaborazionista". Si espose
meno (e quindi se la cavò meglio) Gilberto Govi, che
dal palcoscenico del Teatro Universale di Genova - nel cui atrio era esposto il
motore di una fortezza volante abbattuta dalla contraerea - esortava i giovani
ad arruolarsi nella X M.A.S. Anche Eduardo De
Filippo, che sarebbe diventato un idolo del progressismo, nel 1943-44 lavorava
per il fronte interno della R.S.I., con suo fratello Peppino (che ancora nel
1972, però, non avrebbe nascosto le proprie simpatie per il M.S.I.) Se la guerra fosse finita diversamente,
l'opera teatrale Filumena Marturano magari sarebbe stata presentata
da Eduardo come la storia di un'eroina della campagna demografica finita
vittima di un borghese opportunista; quanto al film che ne sarebbe stato
tratto, avrebbe avuto come protagonista sempre Marcello Mastroianni, come è
accaduto per Matrimonio all'italiana
di Vittorio De Sica...Proprio De Sica, affermatosi come attore e regista sotto
il fascismo, nel dopoguerra costituì un sodalizio artistico d'intonazione
populista con l'ex fascista Cesare Zavattini (Miracolo a Milano, Umberto D.).
Ma nei primi anni '60 si sarebbe candidato alle elezioni nel suo paesino
natale, nelle liste dei monarchici. Secondo le malelingue, invece, dal paesello
sarebbe dovuta fuggire nel 1944 una quindicenne che aveva tenuto alto, molto
alto il morale di un reparto della Wehrmacht : esule
a Roma, Gina Lollobrigida avrebbe intrapreso così la carriera cinematografica.
Un altro tipo di bellezza, più nordico e altero, era quello di Alida Valli.
Nata Alida Maria Altenburger, a Pola
nel 1921, figlia di un barone di origine austriaca amico del prefetto Ettore Tolomei, l'italianizzatore dei
nomi delle località dell'Alto Adige, poi fatto senatore da Mussolini. Lanciata
da Alessandro Blasetti e da Mario Soldati, che era
geloso del flirt che Alida aveva con l'assistente alla regia Dino Risi, la
Valli sarebbe stata poi sospettata di avere una tresca perfino con il Duce. Anche
per questo, nel 1954, la Mostra del Cinema di Venezia [la stessa Mostra del
Cinema fondata da Benito Mussolini] le negò il premio per il film Senso di Luchino Visconti. Nel 1997 la
Mostra ha cercato di farsi perdonare, conferendole il Leone d'Oro alla
carriera. La Valli lo ha accettato, ma ha mormorato: " Potevano pensarci
prima..."