Bo Botto
maestri senza ragione
Luciano Pellicani: CATTIVI MAESTRI DELLA SINISTRA.
Gramsci, Togliatti, Lukacs, Sartre e Marcuse. Rubbettino, 2017
Leggo sempre con piacere
e interesse ciò che scrive Luciano Pellicani. Ogni circostanza gli dà motivo di
applicare con stupefacente rigore delle non comuni capacità di riflessione. Ciò
nondimeno tiene così alta la ragione da escludere le sfumature che stanno alla
base motivazionale - e di vita - delle ragioni altrui, quando queste son quelle
di coloro che attacca con la sua logica spietata ma alla fine un po' mutila.
Un'obiezione come la mia, se mai la prendesse in considerazione, suppongo gli
farebbe scrollare le spalle o, in un'ipotesi più ottimista, la ricondurrebbe
come scontata a un tema prevedibile non immune da qualche infestante germoglio
nichilista o giù di lì.
Ho fretta comunque di
affermare che, alla grossa, sono d'accordo con tutto o quasi quello che
Pellicani decide in sede critica ma, allo stesso tempo, penso ci possa essere
dell'altro da valutare, e non per fare l'indulgente. Lukacs,
per esempio, ed è tutt'altro che una novità, viene ricondotto all'
"orribile Naphta", il gesuita de La
montagna incantata di Thomas Mann. Il discorso consiste nel ritrovare nel
filosofo ungherese un percorso di fede che messo da parte il buon dio finisce
con l'investire - avendo sacrificato l'intelletto - il Partito, la nuova
religione che in quanto tale è da deplorare. Ho idea che messe così le cose ci
si vada a smarrire nel semplicismo. Al di fuori delle varie rivelazioni - ma
anche di costrutti come il buddismo - la religione è presente nei rapporti fra
gli uomini con le ritualità quotidiane, con l'animo del sacro, con la forza del
simbolo, con dio o senza dio, nella sicurezza del fedele come nell'incredulità
dell'ateo e di chi, come Pellicani, se ne infischia. Senza contare che il
"gesuitismo" non è prerogativa dei soli gesuiti.
Nella premura che
Pellicani mette nell'illuminare è facile indovinare quale razza di oscurantisti
si trovi a combattere. Uno di questi, Herbert Marcuse,
contrariamente al lobotomizzato stalinista Lucaks,
ebbe gran fama di libertarismo. Già Leszek Kolakowski nella sua storia del marxismo (che lo stesso
Pellicani inserì nella preziosa collana che curava decenni fa per Sugar) si ingegnò a classificarlo fra gli ideologi più
retrivi. Marcuse altro non sarebbe che un critico
della "modernità" al pari di Evola e Guenon.
Con simili compagnie niente lo può assolvere. Tuttavia mi chiedo se fra le
meraviglie che l'anzidetta epoca ci ha portato - che sono effettivamente tali
e, beninteso, generalmente confortevoli - non ci siano elementi anche di fondo
da sottoporre a critica come hanno fatto da punti di vista diversi, che li si
condivida o meno, per l’appunto Guenon, Evola e Marcuse - e non solo loro, sia chiaro. Se lo fosse chiesto
anche Pellicani mi avrebbe risparmiato lo sforzo di scrivere queste righe.
Direi che però su Gramsci
si sia chiesto le cose giuste. "La rivoluzione" - e quella russa
avveniva contro le presunte regole marxiste, contro "il Capitale" di
Carlo Marx - doveva essere secondo Gramsci come la
guerra "minuziosamente preparata da uno stato maggiore
dell'esercito". All'impostazione gramsciana e dell'"Ordine
Nuovo" Pellicani oppone - un po' sorprendentemente per un critico del marxismo
- la conclamata "ortodossia" della Seconda Internazionale
utilizzando, e direi con qualche forzatura, Rodolfo Mondolfo
come suo interprete attendibile di contro l'inattendibilità idealistica della
lettura che di Marx fece Giovanni Gentile
("all'Ordine Nuovo eravamo un po' tutti gentiliani"
affermò una volta Umberto Terracini). Rispetto al
riduzionismo umanistico e democraticista tipico della
rappresentazione che ne diede strumentalmente il PCI togliattiano,
quella di Pellicani è ad ogni modo un toccasana. E, ribadisco, un toccasana,
qualunque idea ci si possa fare delle obiezioni che gli ho mosso, rimane in
linea generale il suo non confessionale orientamento critico. Il difetto è
tuttavia congenito alla certezza che verità e ragione ci rendano più liberi e
migliori.
“Fogli di Via”, marzo-luglio
2017