Nicola Caricola

Addio a Pasolini Zanelli, il raffinato giornalista che da Washington raccontava il mondo

A 22 anni Alberto Pasolini Zanelli, bolognese, al Grand Prix Monte-Carlo incontrò Brigitte Bardot (di anni 21). A 36 anni, al Giornale, incontrò Indro Montanelli; a 50, alla Casa Bianca incontrò Ronald Reagan. Passato dagli Appennini agli Appalachi, Pasolini Zanelli aveva, come Giuseppe Prezzolini,  “l’America sotto’occhio” e guardava l’Europa “col cannocchiale”.

Ieri Pasolini Zanelli era vicino a compiere i 92 anni  ha incontrato la morte a Washington. Vi abitava dal 1991: Spring Valley, quartiere dei senatori. Henry Kissinger abitava nelle adiacenze, dove gli scoiattoli, come Cip e Ciop, si inseguono su e giù dagli alberi.

Cominciata la carriera giornalistica al Resto del Carlino, seguendo l’automobilismo, Pasolini Zanelli ne era poi stato “vice” della critica cinematografica senza amare troppo i film, quindi corrispondente da Bonn e successivamente da Washington. Ciò accadeva sotto la direzione di Giovanni Spadolini e poi di Domenico Bartoli.

Il passaggio al Giornale di Pasolini Zanelli venne nel 1978, prima all’effimera redazione bolognese, poi – come inviato per l’Europa – a Milano. Nel 1984 divenne il commentatore principe di politica internazionale da Washington, continuando a girare il mondo più volte l’anno.

In una data in particolare ricordo dove fosse: il 14 luglio 1989. Nel bicentenario della rivoluzione francese, Pasolini Zanelli, lettore di autori controrivoluzionari come Pierre Gaxotte e Jean de la Varende, era nella Parigi di Mitterrand. Quel pomeriggio, dalla redazione di  Milano, parlai a lungo con Alberto, cui era stata proposta – dall’ala minoritaria della proprietà, cioè Achille Boroli, e dall’amministratore, cioè Roberto Crespi –  la condirezione de Il Giornale. Più eloquente era però il silenzio del principale azionista, Silvio Belrusconi,. “E poi – mi disse Alberto – sto troppo bene a Washington e a girare il mondo per venire a Milano a prender ordini”.

Come contraddirlo?  Poiché tutto finisce, a congedare Pasolini Zanelli dal Giornale nel 2008 fu Mario Giordano, che rimase direttore per poco.  Restano, invece, i libri di Pasolini Zanelli: Dalla parte di Lee (ried. Facco); I liberal cristianiLa rivolta blu La caduta dei profeti (De Agostini); La città e il sogno e L’ombelico della Luna (Crocetti); Americani (Mondadori); Imperi, Imperi II e L’ora di Telemaco (Settecolori); Il genocidio dimenticato. La Cina da Mao a Deng (Ideazione).

Un anticomunista come tanti? Un conservatore come pochi? Per Pasolini Zanelli sarebbe un giudizio superficiale. Durante le guerre neocoloniali, cominciate con l’Irak nel 1991, comincia anche la divaricazione tra Pasolini Zanelli e gli ambienti che l’avevano coccolato durante la Guerra Fredda.

A uno dei suoi libri sono affezionato per il suo significato: con Giulio Andreotti, Sergio Romano, Maurice Couve de Murville, Alain Peyrefitte, Alain de Benoist, Jean-Jacques Langendorf, Harold Pinter, Giovanni Sartori, Nico Perrone, Luciano Canfora, Marco Tarchi, Pasolini Zanelli è stato autore di Ditelo a Sparta. Serbia ed Europa. Contro l’aggressione della Nato (Graphos). Nella guerra, col pretesto del Kosovo, scatenata dai Clinton, Pasolini Zanelli coglieva il prologo balcanico, quello di Madeleine Albright, del nostro sempre più drammatico presente, quello di Victoria Nuland, in Ucraina.