Achille Ragazzoni

Parodi e la Moto Guzzi

È il centenario della Moto Guzzi, fondata con sede legale in corso Andrea Podestà a Genova fino al 1953 e con sede operativa a Mandello del Lario (Como). Dal 2003 il prestigioso marchio dell’aquila è del Gruppo Piaggio. Costituita il 15 marzo 1921, la Guzzi partecipò poco dopo alla gara Milano – Napoli avendo come pilota Aldo Finzi, già portaordini motorizzato durante la Grande Guerra e partecipante al volo dannunziano su Vienna.

Per avere un’idea della complessità del ‘900 italiano, l’aviatore, poi motociclista Finzi diverrà sottosegretario agli Interni nel primo governo Mussolini dell’autunno 1922; nell’estate 1924 sarà coinvolto nel caso Matteotti; nell’inverno 1944 verrà arrestato a Palestrina dai tedeschi occupanti e in marzo sarà ucciso alle Fosse Ardeatine, come racconta la biografia che gli ha dedicato Domizia Carafoli e Gustavo Bocchini (Mursia, 2004). Nella storia patria che cosa resta di Finzi: lo squadrista (fascista) o il martire (ebreo) antifascista? 

Ma torniamo alla Moto Guzzi. Negli anni ‘50, parroci e graduati dei carabinieri erano comunemente raffigurati nell’iconografia giornalistica e cinematografica a cavallo del “Galletto”, un modello Guzzi inizialmente da 100cc, carrozzato, un ibrido tra la motocicletta e lo scooter. Il “Galletto” è stato un simbolo dell’Italia democristiana, che si è sovrapposto a quello del “Falcone” da 500 cc, che nella versione militare aveva accompagnato le campagne belliche italiane su ogni fronte dal 1934 al 1945. Il modello Guzzi “S” del 1939, con motocarrozzetta, è cavalcato dal fascista repubblicano impersonato da Ugo Tognazzi nel film Il federale di Luciano Salce (1961), ambientato nelle primavera 1944, due mesi dopo la morte di Finzi. Il modello “S” andrebbe perciò radiato dalla storia patria?

Quando, nel 1965, apparve la poderosa “V7” di 750 cc (poi di 850 cc), l’Italia e la sua tecnica avevano ripreso piede nel mondo. Quella Moto Guzzi fu subito adottata da vari corpi militari italiani (anche la polizia era tale, allora) e sostituirà nel giro di pochi anno le Harley-Davidson Electra-Glide di 1200 cc in vari Stati e metropoli americane. Erano gli anni della guerra americana in Indocina. Moto Guzzi come azienda (Parodi era morto da un pezzo) è corresponsabile di quel conflitto?

Lasciamo i paradossi politici e torniamo alla storia. Tra i fondatori della Moto Guzzi – con l’aviatore Carlo Guzzi che le diede il nome – c’erano l’armatore Emanuele Vittorio Parodi e il figlio Giorgio, genovese, ma nato a Venezia. Giorgio Parodi (1897 – 1955) aveva partecipato, volontario, alla Grande Guerra, meritandosi tre medaglie d’argento al Valor Militare (quelle d’Oro erano conferite, di norma, alla memoria). Nel 1923 Parodi passò dalla Regia Marina all’appena costituita Regia Aeronautica.

Nel 1935, allo scoppio della Guerra d’Etiopia, Parodi fu richiamato. Rischiando la vita sul cielo di Addis Abeba contro reparti etiopici di stanza all’aeroporto – non certo bombardando civili inermi – Parodi ricevette la medaglia di bronzo. In Africa Orientale, Parodi non rimase comunque molto, impiegato com’era più che altro nell’addestramento e nella ricognizione. Fu richiamato ancora nel 1940, all’entrata in guerra dell’Italia, ricevendo altre due medaglie d’argento: una per un’azione sui cieli di Tolone; l’altra per un’azione in Africa Settentrionale, a causa della quale perse un occhio.

Oltre alle capacità militari e imprenditoriali va ricordata anche l’attività, tutta documentata, di benefattore e filantropo nel dopoguerra (soprattutto, ma non solo, tramite il finanziamento di istituzioni educative). Anche per questo qualche giorno fa si è inaugurata a Genova la statua a Giorgio Parodi dello scultore marchigiano Ettore Gambioli. Una cerimonia significativa, col passaggio dei velivoli della Pattuglia acrobatica (le “Frecce Tricolori”).

Vi sono stati lungo la settimana seguente strascichi penosi. Secondo l’uso della storia come strumento politico, contro il monumento si è scagliata una reduce delle “radiose giornate” genovesi del G8 del luglio 2001; una consigliera comunale; uno storico dell’arte; e, infine, l’Anpi, secondo cui Parodi sarebbe andato in Africa nel 1935-36 a bombardare donne e bambini inermi. Dove sono le prove? In questi giorni nessuno le ha esibite. Poiché a pensar male si ha quasi sempre ragione, dietro questo episodio molti a Genova vedono uno sfondo elettorale, avente come bersaglio il sindaco di Genova, Marco Bucci. Che cosa gli si rimprovera? Che il nuovo monumento – sul belvedere delle Mura Cappuccine – raffiguri Parodi in uniforme della Regia Aeronautica. “Uniforme fascista”, si è scritto. Ma quella era l’uniforme di Parodi: non avrebbe potuto metterne un’altra.

Di contributo personale al chiarire la vicenda, aggiungo di aver conosciuto figlia e nipote di Giorgio Parodi, che sposò la contessina Elena Cais di Pierlas, dello stesso ceppo dell’insigne storico nizzardo Eugenio Cais di Pierlas (1842 – 1900), i cui studi sul Medioevo della città natale e dell’estrema Liguria occidentale fanno ancora testo.

Nel 2015 a Bolzano su Eugenio Cais di Pierlas ho organizzato un convegno a lui intitolato, nel corso del quale sono stati sviscerati biografia, opere e rigore scientifico del personaggio, il quale scriveva di storia basandosi esclusivamente su documenti autentici. Inoltre due libri – uno è edito nel 2016 dall’Archivio Comunale di Mandello sul Lario; l’altro è una biografia di Parodi pubblicata dall’editore Tormena – dimostrano come molti operai della Guzzi, partigiani o comunque antifascisti, vennero salvati nel 1943 – 1945 dall’azione discreta, compiuta dietro le quinte, di Giorgio Parodi. Come per Finzi, per Parodi vale il quesito: nella storia patria che cosa resta di lui?

https://www.barbadillo.it/,  23 Maggio 2021