Impiegato nell’amministrazione pubblica, Jules de Gaultier
(1858-1942) collaborava ciò nondimeno alla "Revue blanche" e al "Mercure de France". Autore di svariati saggi (Nietzsche
e Bergson fra i suoi interessi) si dedicò a Flaubert componendo una sorta di
"filosofia del bovarismo", in seguito tratta dal dimenticatoio da
René Girard. La philosophie du Bovarysme : Jules de Gaultier (1924) è il titolo del libro che Georges
Palante consacrò all'autore che a tempo debito aveva recensito il suo Combat
pour l'individu (nel 2001 abbiamo tratto
giusto da qui, proponendolo nella sezione “archivio”, un saggio di Palante). E’ questa recensione,
apparsa nel 1904 sulla "Revue philosophique", che di seguito pubblichiamo.
Jules de Gaultier
ragguagli su Combat pour l'individu di Georges
Palante
E' un fatto che
l'individuo non può esser conosciuto fuori della società e, a dire il vero, già
la biologia, mostrandolo attraverso le leggi della riproduzione, lo consegna
allo sguardo del filosofo nella sua veste sociale. L'individuo, l'uno, l'Unico
di Stirner, si configura necessariamente insieme agli altri individui che
compongono la società alla quale appartiene. La volontà collettiva limita
quella di ciascuno. Ciò avviene in due maniere: attraverso le leggi e
attraverso le consuetudini. Ambedue tendono a realizzare il conformismo,
assecondate dalla segreta aspirazione che risiede nel cuore di tutti di
confondere la propria volontà con quella collettiva in modo da addolcire i
limiti che in effetti la opprimono. A sostegno di questa tirannia dei fatti, la
volontà collettiva invoca il soccorso della religione e della filosofia: è al
loro intervento che si devono i dogmatismi sociali. Il filosofo che parteggia
per l'individuo contro la collettività ha dunque un primo compito da adempiere.
Egli deve dimostrare che tali dogmatismi sono illogici, che si pasciano di
chimere. Vengono così espugnate al dogmatismo le sue ragioni.
Palante non ha eluso
questo compito. Attraverso i diversi studi che compongono il suo libro - quelli
che mettono nel titolo l'idolo pedagogista, la Teologia sociale e il suo
meccanismo, i Dogmatismi e la liberazione dell'individuo - sono attaccate nei
loro differenti aspetti le dottrine che, secondo la definizione data
dall'autore, "attribuiscono alla società in quanto tale, un'esistenza
anteriore e superiore agli individui, un valore morale e assoluto".
Palante mostra agevolmente come questi dogmatismi costituiscano un realismo
sociale. Essi tendono, dice, a suscitare fra gli individui e la società la
stessa serie di rapporti che la teologia ha istituito fra l'individuo e Dio e,
sulla base di interessanti sviluppi, conclude che la legge sociale non regola
gli individui come un imperativo esteriore e dispotico, che essa non è
implicata nel fatto collettivo - come vorrebbe qualche sociologo -
indipendentemente dagli individui, che non ha la vocazione di essere questo o
quello, che non obbedisce a finalità immanenti o trascendenti che siano. Il
divenire sociale è concepito dall'autore come un fatto eminentemente plastico,
pronto a prendere non importa qual forma gli sarà impressa dalla combinazione
degli istinti e dei desideri individuali, in base al loro ardore e alla loro forza,
secondo circostanze che determineranno fortunosamente la tale o la talaltra
combinazione. L'idea di finalità, questa "cittadella del Dogmatismo
sociologico", non si fonda su alcun valido argomento e mostra piuttosto la
vacuità, riempita dal solo empirismo, delle diverse concezioni di teologi e
filosofi: compimento della volontà divina, trionfo dell'Idea nel mondo,
progresso della Specie, Felicità universale. Si potrebbe aggiungere che la
collettività non prende mai coscienza dei propri fini e delle sue
vocazioni se non attraverso la coscienza
individuale, che tutti i punti di vista sociologici - quelli stessi secondo i
quali la società è superiore ai singoli - promanano da un individuo, da un
egoismo che trova vantaggioso di universalizzare i suoi propri interessi e
desideri. Tutto nasce nell'individuo e tutto vi termina: è da qui che conviene
valutare il fatto collettivo.
Dopo che si sono
scartati i dogmatismi, la questione dei rapporti fra individuo e società, vale
a dire quelli fra l'uno e i molti, resta tuttavia ancora aperta. Quantunque si
rifiuti la sua legittimazione metafisica, l'oppressione esercitata
sull'individuo dalla Società in tutte le sue espressioni resta comunque un
fatto, e Palante vi si scaglia contro. Prescindendo dalla tirannia politica che
Herbert Spencer ha criticato in Individuo e stato, Palante tratta soltanto
quella costituita dalle sfumature
sociali, "quella delle solite opinioni, dello spirito di clan, di gruppo,
di classe", stimando d'altra parte che tale influenze morali siano
oppressive quanto la costrizione che con in fondo maggior franchezza esercita
lo Stato.
Palante ha dunque
cercato le diverse forme di cui si è abbigliata la costrizione dell'individuo,
tutte espresse dallo spirito di corpo, vale a dire, nel senso ampio
dell'espressione, la disposizione che fa concedere maggior importanza alle
qualità condivise piuttosto che a quelle più particolari e personali. E' in
questa ampia accezione che esiste uno spirito di corpo dei maritati, delle
donne, dei borghesi, anche dei proletari. Chi è animato da questo spirito può
contare sugli altri, fintanto che appartengono alla sua stessa categoria.
Palante mostra la sua azione negli ambienti burocratici, nelle piccole città,
in tutte le esclusive e minuscole associazioni di borghesi e di aristocratici
che si appellano al mondo. Nel contempo ne mostra con ironia le caratteristiche
spesso miserabili: vigliaccheria, ipocrisia, stupidità.
Va riconosciuto tuttavia
il punto di vista positivo del Palante per ritrovare ancora l'individuo nel
gruppo dove si forma lo spirito di corpo. La lotta fra l'individuale e il
collettivo si risolve nella lotta fra individui che concepiscono in vario modo
la volontà di potenza. E' in effetti il desiderio di potenza che fa muovere gli
uni e gli altri: ma c'è chi non vuole ostacoli alla propria attività e vuol
perseguire i propri obbiettivi restando fedele alla sincerità dei propri
desideri mentre resta infedele ai mutamenti, cosicché oggi possa distruggere
quello che ieri ha costruito. Altri invece, meno sollecitati alle variazioni,
assestano i loro sentimenti di potenza nella possibilità di poter soddisfare
con sicurezza un certo numero di istinti fondamentali, sempre gli stessi, e
sono dunque portati ad associarsi a chi gli somiglia in un'alleanza che, a
carico di accettabili sacrifici, dà protezione. I primi vogliono arricchire
continuamente la loro personalità attraverso nuove acquisizioni, esponendosi
senza sosta al rischio dell'eccesso; gli altri puntano a compiere, a
consolidare, ad appagare il retaggio dei bisogni e tendono ad allargarsi orizzontalmente.
L'antagonismo fra
l'individuo e lo spirito di corpo non fa che prolungare la lotta che si
manifesta nel cuore stesso dell'individuo e che lo obbliga, per sopravvivere, a
potare i rami golosi che rischiano di sottrarre al tronco la linfa preziosa, a
scegliere fra le varie tendenze che lo sollecitano a soddisfare quelle
essenziali. Se si pensa che tale lotta è cominciata coi primi balbettii della
vita, bisogna riconoscere che chi è stato capace di associarsi ha saputo
salvare la vita individuale. Lo spirito di corpo contrapposto all'iniziativa
individuale rappresenta dunque lo spirito di conservazione opposto
all'avventura. Rappresenta la ripetizione che consolida le acquisizioni in
contrasto con l'inventiva.
Ponendosi dal punto di
vista morale deducibile dai soli interessi individuali, sembrerebbe dunque di
dover premiare lo spirito collettivo poiché esso condiziona l'esistenza
individuale, fosse anche la più ribelle. Ciò non vuol essere una critica al
libro di Palante. Non va dimenticato che tutti i gruppi sociali reagiscono
conformisticamente. Una società ha interesse a far spazio alle individualità
capaci di rimescolare l'ambiente, è interessata a correre tutti i rischi capaci
di arricchirla. Se i gruppi o l'iniziativa eccedono, la società corre il
rischio di destabilizzarsi. Comunque la si veda, è chiaro che gli interessi
individuali e collettivi interagiscono e, nell'eccesso, gli uni e gli altri
possono essere distruttivi verso se stessi; gli eccessi collettivi vanno a
distruggere la collettività come quelli individuali portano alla rovina gli
individui.
Non c'è da prendere
partito per l'uno o l'altro di questi punti di vista assoluti. Combat
pour l'individu non è in effetti che un'opera puramente teorica, una
vivace protesta contro uno stato di fatto. Palante ha appuntato i suoi
argomenti più decisivi nello studio dell'impunità del gruppo. Egli mostra come
la responsabilità individuale sia stata sostituita, nella nostra società, da
un'altra - quella del gruppo e della funzione -
che è astratta, illusoria, impersonale. Le rivendicazioni individuali
cozzano in un meccanismo inflessibile. Ne consegue una diminuzione della
spontaneità e dell'energia. Gli stessi partigiani dell'egemonia sociale dovrebbero
esser grati a Palante per aver messo in luce a cosa porta l'oppressione
dell'individuo. Chiunque dovrebbe trar profitto da questo autore.
Il libro di Palante
seduce per la viva sensibilità che lo anima fino al grido della rivolta. Esso
evita la scolastica con la sincerità e l'utopia col buon senso. Esso mostra
qual tipo umano mediocre produca l'eccesso di società. Non si dovrà dunque
esitare nel lodare questo libro.