Domenico Letizia

peace and love

Manuela Fabbro: UN LESSICO PER LA PACE. Parole e concetti fondamentali. Antonio Stango, 2014

Parliamo del nuovo lavoro della Professoressa Manuela Fabbro, dottoressa di ricerca in scienze linguistiche e letterarie e collaboratrice da molti anni con l’Università degli Studi di Udine. Il volume pubblicato dalla “Antonio Stango Editore” è intitolato Un lessico per la pace. Parole e concetti fondamentali. In questi mesi il volume è stato presentato il 29 Gennaio a Milano, presso la Società Umanitaria, il 7 Novembre 2014 presso la sede romana della Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo e il 21 Settembre presso la libreria “Edison” di Arezzo.

Anche il linguaggio, ci fa riflettere la professoressa Fabbro, influisce sul rapporto tra politica e società civile nell’analizzare e capire la “pace”. L’accordo che sancì la fine della Prima Guerra Mondiale viene ancora chiamato “Pace di Versailles”, equiparando così il significato di pace a quello di patto. Lo stesso si può dire per termini come “missione di pace” e peace keeping, che spesso non hanno nulla a che vedere con la pace. O anche come “sicurezza”, che non dovrebbe essere perseguita a danno della sicurezza altrui, altrimenti l’eventuale controparte si sentirà minacciata e ricorrerà alla violenza illudendosi così di ottenere la propria. Per “violenza”, inoltre, non si intende solo quella materiale e visibile; anche la menzogna, la discriminazione, l’offesa, l’esclusione dalle opportunità, il mancato accesso a risorse fondamentali per la dignità della persona e l’ingiustizia sono forme di violenza. Quando si parla di “nonviolenza”, invece, si finisce sempre nella discussione se sia giusto o no l’impiego di armi nella soluzione dei conflitti, specialmente quando una o più parti coinvolte si servono di mezzi bellici particolarmente potenti e aggressivi. Alcuni esperti propongono a questo proposito, oltre alla conosciuta disobbedienza civile, il peace keeping civile, la difesa popolare nonviolenta e altre forme di lotta (tutte analizzate nel libro).

Il volume sofferma la sua analisi anche sul tipo di lotta nonviolenta praticata da Gandhi: il Satyagraha. Un termine sanscrito, che di solito non viene tradotto, e si compone di satya, verità, e agraha, fermezza, forza. Significa quindi fermezza, forza nella verità. Il termine apparve per la prima volta nel 1907, in seguito ad un bando, pubblicato sul giornale “Indian Opinion”, per la ricerca di una nuova parola che designasse lo spirito e il fondamento della nonviolenza gandhiana. Precedentemente veniva usata l’espressione resistenza passiva, di cui Gandhi non era soddisfatto, poiché non c’è nulla di passivo nel suo metodo di lotta; motivo questo che lo portò alla ricerca di un nuovo termine. Il concetto implica due principi rivoluzionari: la forza non è una caratteristica del violento, anzi, nell’azione nonviolenta è richiesta molta più forza e più capacità di resistenza alla sofferenza e al dolore; in secondo luogo, la lotta per la giustizia diventa lotta per la verità, la disobbedienza ad una legge ingiusta viene attuata in nome dell’obbedienza alla verità. Nel concreto, il Satyagraha si traduce in azioni come la non-collaborazione nonviolenta, il boicottaggio, la disobbedienza, l’obiezione di coscienza, l’azione diretta nonviolenta, il digiuno.

Queste forme di lotta, sperimentate per la prima volta da Gandhi, sono state più volte attuate con efficacia fino ai giorni nostri, come testimoniano anche le azioni di Marco Pannella. La forza propositiva di questo volume sta nel scrutare e analizzare, tentando di costituire, una base teorica per tutti coloro che si occupano di nonviolenza, di gestione dei conflitti, di educazione alla pace: quindi non solo attivisti e militanti, ma anche insegnanti ed educatori a vario livello, impegnati in progetti per i quali è utile una certa conoscenza di questo tipico linguaggio. Il volume avrebbe tutte le caratteristiche per produrre dibattiti interessanti. Oggi, impegniamoci a farlo conoscere.

“Fogli di Via”, marzo-luglio 2015